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Corriere della Sera Sette Rassegna Stampa
13.05.2016 Chi non conosce bene Israele è inutile che si finga 'esperto'
La recensione di Antonio Ferrari è disinformata

Testata: Corriere della Sera Sette
Data: 13 maggio 2016
Pagina: 48
Autore: Antonio Ferrari
Titolo: «Trionfa l'amore che Israele ha messo al bando»

Riprendiamo da SETTE di oggi, 13/05/2016, a pag. 48, con il titolo "Trionfa l'amore che Israele ha messo al bando", il commento di Antonio Ferrari.

Per conoscere i dettagli della polemica sul libro rimandiamo alla pagina http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=6&sez=120&id=62251
L'editore italiano, furbescamente, mette in copertina una fascetta che recita " Il romanzo messo all'indice in Israele", un falso, in Israele non si proibisce un bel niente, tant'è che il libro da quando è uscito è in testa alle classifiche di vendita. Perchè viene letto con tanto interesse ? Perché è inusuale una relazione in Israele tra arabi ed ebrei. Ne esistono, ovviamente, ma sono rarissime e il motivo è facile da capire.
Che poi il libro non sia entrato fra i titoli 'consigliati' per le scuole, è più he comprensibile, non è compito del Ministero dell'istruzione insegnare ai pargoli quant'è piacevole fare sesso a New York.

Ecco l'articolo:

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Antonio Ferrari

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Dorit Rabinyan

Fremiamo di rabbia nel leggere che è stato creato un caso politico su una storia d'amore, che somiglia a quella di Renzo e Lucia, e per qualche dettaglio di Romeo e Giulietta. Ci solleva il pensiero che questa vicenda ha acceso l'indignazione di chi attribuisce ancora interesse all'umanità e al cuore delle persone. La storia è semplice. Liat e Hilmi non sono soltanto due giovani affamati della vita e degli incontri che ne sono l'unico sale. Sono due mondi che si incontrano, in campo neutro, nel ventre di New York. Hanno radici identiche. Probabilmente si somigliano. Amano la luce, i profumi, sono calamitati dalla stessa e struggente malinconia. L'amore il accarezza e li imprigiona dolcemente, con naturalezza. Un amore sensibile trasmesso alla pelle, che nel cercare l'altro non conosce ostacoli e non dimentica. Un amore fatto di odori che attraggono, di emozioni condivise. Ma è un amore con il tassametro tarato sul fine-corsa.

Liat e Hilmi sanno che non potranno sognare, non dico realizzare ma neppure immaginare un futuro assieme. Tra loro c'è un muro costruito dalla violenza e dalla vergogna Lei è israeliana, lui è palestinese. Entrambi, pur condizionati dai tanti limiti tatuati nell'anima dalle rispettive famiglie, cercano la loro strada. Senza rifiutare le radici della loro appartenenza. Come I giovani di oggi sono più fragili, persino romantici. Rifiutano gli schemi o le griglie delle due generazioni precedenti. Per chi ama il Medio Oriente e ha vissuto, da molto vicino, la complessità e l'intimità di un conflitto che in realtà esiste soltanto nella mente ma non nel cuore, il romanzo di Dorit Rabinyan Borderlife (Longanesi, pag 384, euro 16,90) è più vero e doloroso di una profonda ferita. Un amore sacrificato, come il barbaro rito dell'agnello pasquale, sull'altare di egoismi e cecità.

Leader e politici. Israele è un grande Paese, con una democrazia forte, radicata e coriacea. «Prima», dice Dorit, «il Paese era guidato da un leader, per alcuni discutibile, come Ariel Sharon; adesso è guidato da un politico, come Netanyahu». Un politico spregiudicato, Benjamin Netanyahu, assai poco sensibile, però abile nel cullarsi, da attempato superstite con l'immagine dell'ex palestrato, sull'amaca del potere, Una volta lo descrissi come uno che ha il complesso irrisolto d'essere «in bilico tra il micio e il macho». Bibi, tutti lo chiamano così, è il capo del governo che non ha impedito che un suo ministro e le varie commissioni culturali o pseudo-culturali impedissero che il libro di Dorit finisse Ira i testi da indicare come pedagogicamente inadatti ai più giovani. Escluso quindi dalle scuole, come se fosse proibito da un'ottusa dittatura. Mi è venuto in mente Ray Bradbury e il suo Fahrenheit 451, quanto i libri venivano bruciati, e pochi coraggiosi si ritrovavano a tramandarsi i capitoli oralmente, passeggiando nel bosco per non dimenticare.

Da qualche altra parte avremmo assistito al consueto e tremebondo distinguo, visto che il potere è contrario. In Israele no. Nonostante Netanyahu, I politicanti, e una propaganda serva e pulciosa, sostenuta da persone impreparate, che cerca scioccamente di coniugare il Paese con la sua attuale leadership governativa, la società israeliana si è ribellata. «Sì, lo dico con grande soddisfazione», mi dice Dorit Rabinyan. «Dal giorno del rifiuto, le vendite sono salite alle stelle. Hanno corn-prato il libro non soltanto coloro che potevano essere affascinati dalla mia storia e dal mio romanzo, ma anche coloro che, comprando il romanzo, dimostravano che la democrazia Israeliana è più forte di qualsiasi diktat. Pensi che ricevo centinaia di messaggi al giorno. Persino dagli insediamenti c'è chi mi scrive che ha letto il libro e lo farà leggere ai suoi figli. Mi piacerebbe che lo leggessero i soldati che difendono il nostro Stato».

Dorit è un'ebrea quarantenne, che nasce in una famiglia di origine iraniana. Ha la passione delle radici ed è innervata di libertà. Nell'accento della sua voce, mi colpiscono le nuances timbrali tipiche di una ragazza di Tel Aviv, curiosa e ironica. È giustamente fiera del sostegno che le hanno garantito e degli entusiastici apprezzamenti giunti dai tre grandi tenori della letteratura israeliana: Abraham Yoshua, Amos Oz e David Grossman. Ma non solo. La scrittrice è diventata la bandiera di una nuova e pacifica ribellione. Nel romanzo è molto presente, ed evidente, il conflitto tra chi ritiene che la soluzione non possa che essere quella dei due Stati, che vivano l'uno accanto all'altro in pace e sicurezza; e chi, invece, predica pazienza contando sul tempo e sulle suggestioni di uno Stato binazionale. Tanto un giorno il numero degli arabi sarà la maggioranza, come sostengono i demografi più attenti.

Una vicenda vissuta. Il romanzo parla davvero al cuore. Non a cuori induriti dal denaro, dagli interessi, dallegoismo e da un'imbecillità diffusa che spesso è più pericolosa della criminalità. Parla a chi ascolta quel che abbiamo dentro di noi e della gioia di poterlo donare a chi ha saputo aprire con amore la porta dei nostri segreti. Ricordo che nel 2002, se non sbaglio, Dorit Rabinyan scrisse un articolo sul Guardian, ripreso da altri giornali, per raccontare il suo incontro newyorkese con il pittore palestinese Hassan Hou-rani. Un racconto pulsante. «Si», ml dice, «È proprio così. Tutto nasce da lì. Tuttavia nel romanzo, per tracciare e marcare il carattere di Hilmi, quell'incontro non mi è bastato. Ho lavorato per oltre dieci anni innervando il mio Dna a quello del protagonista maschile. L'esperienza personale non è sufficiente». Le chiedo qual è la cosa che la fa sentire così vicina a Hilmi?. La risposta è di una splendida donna che ha saputo vincere i dubbi: «I due non parlano mai di terra divisa, ma del sole condiviso».

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