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Riprendiamo dal BOLLETTINO della Comunità ebraica di Milano, ottobre 2014, l'analisi di Davide Romano dal titolo "Francia, così laica, così snob: l'odio mai sopito nel paese dei lumi spenti".
Riunione di famiglia, due genitori si rivolgono ai propri figli: «Questo Paese non è più vivibile per noi ebrei, – abbiamo deciso che è tempo di andare via». Questa terribile scena si è ripetuta tante, troppe volte nel corso della storia del popolo ebraico. All’alba del ventunesimo secolo, in pochi avrebbero pensato potesse accadere di nuovo. Incredibilmente invece, queste situazioni che ci auguravamo fossero consegnate alla storia, tornano oggi sotto forma di drammatica cronaca in alcuni Stati della civilissima e democratica Europa. Ma cosa spinge gli ebrei di oggi a lasciare le proprie case, il proprio lavoro, la scuola dei figli, gli amici e i parenti, per andare a vivere in Israele? Anzi, visti i continui attacchi subiti dallo Stato ebraico, la domanda può essere formulata in maniera ancora più terribile: perché gli ebrei francesi o belgi preferiscono lasciare il luogo dove sono nati e cresciuti per andare in Israele, e diventare un possibile bersaglio delle periodiche aggressioni di Hamas e Hezbollah? La risposta sta in più fattori. In primo luogo, il presente: il clima sociale in diversi Paesi europei è evidentemente cambiato in peggio e le comunità ebraiche si sentono nel mirino. Basta pensare alle recenti manifestazioni anti-israeliane colme di violenza che in varie città europee hanno come obiettivo le sinagoghe (a conferma che la teorica differenza tra antisionismo e antisemitismo è assai labile), o alle vere e proprie aggressioni fisiche nei confronti di cittadini di fede ebraica. Se a questo sommiamo i diversi attentati a centri ebraici (a cui andrebbero aggiunti quelli sventati, di cui si perde inevitabilmente memoria), ne emerge un quadro di giustificato allarme. Un altro fattore determinante è relativo al futuro che non sembra offrire speranze di miglioramenti, anzi.
Tutti questi problemi toccano diversi Paesi del nostro continente, dalla Germania alla Svezia, ma una particolare gravità va riconosciuta alla Francia, su cui ci concentreremo. Il Crif (Consiglio delle istituzioni ebraiche francesi),ha denunciato in un comunicato raggelante del 12 settembre scorso come gli atti di antisemitismo nella terra dei lumi siano raddoppiati nei primi sei mesi del 2014, 527 episodi gravi contro i 276 dell’anno 2013, una crescita del 91 per cento. E anche l’Anti-Defamation League ha recentemente pubblicato una ricerca sull’antisemitismo nel mondo. Se all’interno dell’Unione Europea il livello di popolazione antisemita è pari in media al 24%, la Francia raggiunge l’inquietante cifra del 37%. Seconda solo alla Grecia (69%), che non a caso ha portato in Parlamento i neonazisti di Alba Dorata. In questa ricerca, per la cronaca, il nostro Paese si ferma al 20%, quindi al di sotto della media continentale. È bene ricordare come questi dati siano stati raccolti prima del recente conflitto tra Hamas e Israele, che ha con ogni probabilità peggiorato la situazione. Qualcuno potrebbe obiettare che i dati sono eccessivamente pessimisti. Ma anche a leggere i dati dall’opposta angolazione, i risultati non cambiano. Secondo un sondaggio realizzato dall’organizzazione sefardita francese Siona, il 74,2% degli ebrei d’oltralpe sta prendendo in considerazione l’idea di emigrare. Riguardo al futuro, ben il 57,5% ha dichiarato che “non c’è futuro per gli ebrei in Francia”, mentre solo il 30,6% ha manifestato ancora fiducia nel proprio Paese. Questi sondaggi trovano un riscontro nella realtà da fonti dell’Agenzia Ebraica: se nel 2013 il numero di ebrei emigrati in Israele dalla Francia era arrivato a 2.904 (il 175% in più rispetto all’anno precedente), si prevede che nel 2014 la cifra si attesterà ben oltre la quota di 5 mila. Qualche cocciuto negatore della realtà potrebbe dubitare di questi dati, ipotizzando che si tratti di una sorta di isteria collettiva ebraica che vede antisemiti ovunque. A questi inguaribili ottimisti, in buona o cattiva fede, non resta che presentare i dati del Ministero degli Interni francese relativi al 2013 (ben prima dell’operazione “margine di protezione”). Tra tutte le azioni razziste, quelle di natura antisemita ammontano al 40%, sebbene gli ebrei rappresentino solo l’1% della popolazione francese. Gli atti antisemiti sono stati 423, di cui 105 a contenuto violento (50 aggressioni personali e 55 tra incendi o vandalismi vari). Ben oltre uno al giorno, senza contare quelli non denunciati alle autorità. Per intenderci: se fino al 2000 gli atti antisemiti di varia natura erano nell’ordine dell’ottantina all’anno, dall’anno 2000 le statistiche riportano cifre che non scendono mai sotto i 400, e in alcuni anni arrivano a toccare i 900. Dal 2010 a oggi l’agghiacciante bilancio degli ebrei uccisi è arrivato a quota 8. L’evento più sanguinoso è stato senz’altro la strage del 2012 alla scuola ebraica di Tolosa, dove il franco-algerino Mohammed Merah uccise un insegnante e tre bambini dell’età di tre, sei e otto anni. Nel tragico conteggio non rientra peraltro, per motivi cronologici, il terribile omicidio del giovane parigino Ilan Halimi, avvenuto nel 2006. Il 24enne fu sequestrato dalla “banda dei barbari” in quanto ebreo, e sottoposto per 24 giorni a torture indicibili che ne provocarono la morte. Pur essendo di famiglia povera, Ilan ha pagato le convinzioni del capobanda Youssouf Fofana, che era dogmaticamente convinto che “gli ebrei hanno i soldi e sono solidali tra loro”. E neppure la strage al museo ebraico di Bruxelles di quest’anno rientra, per motivi geografici, nel conto degli otto ebrei assassinati. Sebbene sia stata opera del franco-algerino Mehdi Nemmouche.
Un odio antico Siamo quindi di fronte a una storia che si ripete, e che non nasce all’improvviso – come qualcuno può pensare – a causa del conflitto mediorientale. A proposito di quest’ultimo, è doveroso registrare un altro elemento spesso sottovalutato: per decenni l’Europa ha pensato di potere esportare la pace tra arabi e israeliani senza affrontare il tema dell’antigiudaismo. Col risultato che nel frattempo erano proprio quell’odio antiebraico e quell’intolleranza per il diverso propagandati dai regimi arabi a essere importati nel nostro continente con i risultati che oggi vediamo. Come ha avuto modo di dire lo scrittore Marek Halter: «La benzina dell’odio è stata già versata ovunque, e adesso impregna ogni cosa. A questo punto, basta un fiammifero per scatenare un incendio devastante». Il modello francese di integrazione Il modello francese di integrazione punta su lingua, tradizione e scuola come elemento fondamentale nella creazione dell’identità nazionale degli immigrati, cosa che fanno in maniera diversa anche altri Paesi. Rispetto agli altri modelli europei però, quello francese ha alcune peculiarità: innanzitutto afferma fortemente la propria tradizionale laicità arrivando a prevedere la cancellazione di qualunque grado di diversità culturale e religiosa espressa nello spazio pubblico. Come non ricordare, al riguardo, le note polemiche sul divieto di esposizione di qualunque simbolo religioso nelle scuole? C’è poi un altro tema, relativo ai diritti. Laddove in tutta Europa abbiamo commesso lo sbaglio di concedere diritti collettivi agli immigrati senza promuovere nel contempo la cultura dei diritti individuali, in Francia si è commesso un ulteriore errore. Pensando che gli imam fai-da-te equivalessero ai preti, che sono invece l’ultimo anello di una scala gerarchica ben ordinata e istituzionalizzata, si sono delegate loro funzioni improprie. Per esempio, concedendo loro il rinnovo dei visti o la distribuzione di alcuni servizi sociali. Così facendo, si sono portate le parti meno integrate del mondo maghrebino a contatto con moschee la cui funzione non era sempre quella di integrare e aiutare i giovani a progredire, anzi. Per inviare la propria opinione al Bollettino della Comunità ebraica di Milano, cliccare sulla e-mail sottostante bollettino@tin.it |
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