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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Informazione Corretta Rassegna Stampa
24.12.2015 Maurizio Molinari: da New York a Gerusalemme alla direzione della 'Stampa'
Lo intervista Menachem Gantz su Yediot Aharonot in ebraico (qui in italiano)

Testata: Informazione Corretta
Data: 24 dicembre 2015
Pagina: 1
Autore:
Titolo: «»

Riprendiamo da Yediot Aharonot del 15/12/2015, a  pag. 14, l'intervista di Menachem Ganz a Maurizio Molinari dal titolo "Conoscere ISIS".

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Menachem Ganz

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Maurizio Molinari

 “I palestinesi sentono il pericolo di ISIS che aleggia su di loro. Comprendono che, malgrado l’occupazione israeliana, sono più al sicuro che da qualsiasi altra parte nella regione”. Il giornalista italiano ebreo Maurizio Molinari ha coperto Israele ed il Medio Oriente per oltre 15 anni. Ora, con la nomina a Direttore dell’importante quotidiano italiano La Stampa, esce il suo libro “Jihad”, in cui espone analisi sorprendenti del terrorismo islamico.

La telefonata è arrivata a Maurizio Molinari, inviato de La Stampa in Medio Oriente, mentre era all’aeroporto di Roma, giusto all’imbarco del volo per Israele. Era il proprietario del giornale, John Elkann, presidente della Fiat e rampollo della famiglia nobile italiana. Aveva una proposta irrifiutabile: rinunciare al volo per Tel Aviv, e prendere invece il volo per la redazione di Torino, direttamente alla poltrona del Direttore.

“La nomina mi ha colto totalmente di sorpresa”, racconta Molinari, 53 anni, che negli ultimi 15 anni è stato corrispondente del suo giornale a Bruxelles, New York, Washington e Gerusalemme. Certamente non il modo tradizionale per prendere le redini del terzo quotidiano d’Italia. “Da una parte, ritorno in redazione dopo 15 anni e ho molto da imparare sulla macchina che mi hanno affidato”, usa la metafora d’obbligo trattandosi dell’organo più riconosciuto con Alfa Romeo, Ferrari ed altri marchi automobilistici italiani. “Dall’altra, ho ottimi strumenti per spiegare ai lettori i due processi che detteranno il corso dei prossimi anni – l’economia globale ed il terrorismo islamico”. Molinari, uno dei più autorevoli membri della comunità ebraica di Roma, ha una conoscenza profonda e radicata di Israele. Ha visitato Gerusalemme per la prima volta all’età di 13 anni. Negli ultimi due anni, assieme alla famiglia, Gerusalemme è diventata la sua casa. “Vivere in Israele è una sfida enorme – qualunque cittadino incontri per strada è più intelligente di te”, dà un complimento agli israeliani. “Israele è un luogo molto intenso. Ognuno ha un’identità molto forte, ognuno ha una storia da raccontare. Quasi non esistono qui le persone banali”.

Addirittura?
“Ho vissuto per oltre dieci anni in USA e, sotto questo aspetto, è l’opposto di Israele. Lì, per trovare una persona che abbia una storia di vita interessante, devi faticare. In Israele basta montare su un autobus ed ascoltare la vecchietta trovata lì per caso per scoprire la storia di una vita straordinaria. Da corrispondente estero in Israele, non devi mai essere indifferente nei confronti di chi incontri, perché quella persona potrebbe costituire la base del miglior servizio che farai mai. E quando lo dico, mi riferisco sia ad ebrei che ad arabi”.

Non si ferma qui il bagaglio di esperienza che Molinari si porterà dietro al posto di Direttore del quotidiano di Torino. “Intervistando un inventore ed imprenditore israeliano gli ho chiesto ‘Che cosa caratterizza la tua impresa unica?’, e lui ha risposto ‘Correggere e migliorare’. Questo motto mi è rimasto impresso. Intendo stamparlo in caratteri cubitali e affiggerlo nella mia redazione, perché è applicabile in qualsiasi settore e qualsiasi attività. Obbliga ogni impiegato dell’organizzazione ad usare la testa e pensare per espletare meglio i propri compiti”.

Ma intendiamoci, oltre ai molti punti positivi che vede in Israele, riconosce chiaramente anche quelli negativi. “Israele si trova al centro di una vera, dolorosa crisi con i palestinesi, senza che si intravveda una soluzione a questa rottura. E questo è in totale contrasto con il motto israeliano positivo che ho appena menzionato. Non entro nel merito di chi sia responsabile della situazione – in che misura lo siano i palestinesi, in che misura lo siano gli israeliani – ma la realtà è che Israele, come società, non ha un piano per correggere e migliorare la situazione attuale. C’è l’impasse”.

Lungo la sua ricca carriera giornalistica, Molinari ha accompagnato i presidenti americani Bush e Obama in ogni possibile viaggio, come parte dell’equipe di giornalisti della Casa Bianca. Ha scritto dall’Iraq ai tempi di Saddam Hussein, ha intervistato alcune volte il leader libico Qaddafi, e la sua conoscenza con i nemici d’Israele non è da sottovalutare. Da inviato in Medio Oriente ha saputo descrivere anche l’andamento delle cose a Gaza e a Ramallah, compresa la vivace vita mondana.


Che cosa hai scoperto lì?
“La maggior parte dei palestinesi vorrebbe vivere in pace con Israele e lasciar perdere la lotta armata. Ma, similmente ad Israele, anche loro non hanno una vera soluzione per mettere questa volontà in pratica. Coloro che incitano alla violenza contro Israele sono una minoranza tra i palestinesi. È vero che la situazione cambia tra le varie città, e c’è differenza tra Jenin e Ramallah, ma Ramallah è il cuore dei palestinesi oggi, e vi si parla soprattutto di affari. Tra gli imprenditori palestinesi c’è concorrenza – chi troverà un interlocutore israeliano con il quale sfondare negli affari, in collaborazione. Ho la sensazione che i due popoli siano molto più prossimi ed interessati alla pace che i loro leader. I palestinesi che vogliono convivere con Israele lo vogliono non perché amano Israele, ma perché comprendono che vivere al suo fianco permette loro di vivere meglio. Quello che manca è uno schema politico”.

Oltre al lavoro giornalistico, Molinari ha scritto 16 libri. L’ultimo, intitolato “Jihad”, è stato pubblicato appena pochi giorni fa. È stato preceduto dal libro “Il Califfato del Terrore”, pubblicato prima del recente attacco a Parigi, in cui Molinari spiega agli europei perché ISIS rappresenta un pericolo per l’occidente. “Agli europei bisogna spiegare quello che agli israeliani pare chiaro. Non esaminano il fenomeno in maniera corretta. Gli europei sono abituati ad organizzazioni terroristiche come le Brigate Rosse, come l’OLP – organizzazioni politiche che cercavano di promuovere i loro valori mediante il terrorismo, e con le quali era possibile condurre trattative e raggiungere accordi. La realtà odierna è del tutto diversa: ISIS è di fatto un miscuglio di tribù che sfruttano l’ideologia islamica per accumulare forza. Diffondono il virus della violenza con l’intento di spargere terrore e distruzione, non per fini politici”.

E dopo l’attacco di Parigi gli europei hanno compreso il messaggio?
“Decisamente sì. Il loro grande timore proviene dalla consapevolezza che ISIS è appoggiato da musulmani che vivono nei Paesi d’Europa, il che rappresenta un pericolo alla loro sicurezza personale. Oggi, a Roma e a Milano, girano per le strade soldati armati. È una cosa senza precedenti. Quello che manca, secondo me, è la comprensione di chi sia il tuo nemico, ed è per questo che ho scritto questi due libri”. I due libri, editi dalla prestigiosa casa editrice Rizzoli, analizzano a fondo il “virus contagioso”, come lo definisce Molinari: “Un’ideologia di terrorismo e violenza divulgata per mezzo di filmati video di decapitazione, fa sì che quelli interessati alla violenza si facciano avanti e si uniscano al gruppo. E questo comprende [anche] cristiani che sfruttano la legittimità che ISIS conferisce loro all’uso della violenza e, a questo fine, si convertono all’Islam e si uniscono all’organizzazione. Perché virus contagioso? Perché vedi la scena della decapitazione e ti dici, ‘Anch’io voglio partecipare a questo bagno di sangue’. Io sono sempre stato contrario al paragone con i nazisti, ma con questo fenomeno certamente si hanno caratteristiche in comune. La seconda identità di questo nemico è il riconoscimento delle tribù – la fine storica dei Paesi arabi noti a noi, e la formazione di tribù con interessi propri, senza una strategia politica”.

Tuttavia, l’opinione pubblica in Europa fa una distinzione tra terrorismo “accettabile” contro israeliani ed ebrei in Israele, e terrorismo contro europei innocenti nelle strade di Parigi. Questo, secondo te, potrebbe cambiare?
“Questa distinzione fasulla deriva da un ritardo nel comprendere quanto sta avvenendo nel mondo arabo. Coloro in Europa che hanno quest’opinione credono che la nazionalità sia tuttora un elemento centrale nel mondo arabo. Questo è un terribile errore storico, perché nel mondo arabo di oggi si vive in un’era di Jihad, che annulla completamente il principio degli Stati”. Questa comprensione ha portato Molinari a trarre una conclusione inesorabile: ISIS, secondo lui, crea per Israele ed i palestinesi un’opportunità di collaborare contro un nemico comune, che desidera annientare entrambi. Ed in primo luogo i palestinesi, ancor prima che gli israeliani e gli ebrei. “Per due anni mi sono recato due volte alla settimana nel mio ufficio di Ramallah. Ho cenato con gli abitanti di quella città, nelle loro case, ho sentito telefonate, svolte in mia presenza, ai nonni ad Amman con preghiera di venire a Ramallah, perché a Ramallah si sta più al sicuro. Si tratta di profughi palestinesi che sono andati in Giordania, ed ora le famiglie in Cisgiordania implorano che smettano di esporsi al pericolo in Giordania, dove ISIS è presente, e venire a vivere a Ramallah. Comprendono che Israele, di fatto, li protegge. Mi è capitato di essere invitato a pranzo nel villaggio di Duma, dopo la terribile tragedia della famiglia Dawabshe. Oltre alle esclamazioni di dolore e gli inviti alla vendetta, uno di loro ha detto: “Sì, è vero, gli ebrei sono nostri nemici perché siamo palestinesi, ma loro ammazzano tre [di noi] al giorno. In Siria, tutti i giorni ne ammazzano cento, quindi noi, al confronto, stiamo più sicuri”.

Non è che da questo si possa dedurre che i palestinesi amino Israele, sottolinea Molinari, “ma riconoscono il pericolo, ed è per questo che hanno, e avranno sempre di più, la disponibilità a collaborare con Israele contro ISIS. Per inciso, il primo avversario di ISIS sarà Hamas, ancor prima di Abu Mazen. La loro prima volontà è quella di eliminare i loro simili. Per chi guarda i filmati di ISIS, il messaggio contro Hamas è chiaro: sono accusati di non rispettare la Shari’a. Hamas, è noto, permette di fumare a Gaza”.

E come si prepara l’Europa ad una lotta contro il terrorismo di questo tipo?
“Le forze dell’ordine, soprattutto in Italia, fanno ogni sforzo possibile, ma quello che manca è la partecipazione e la collaborazione della società civile. Da corrispondente ho visto i cittadini di New York dopo l’attentato alle Torri Gemelle, ho visto i cittadini di Londra dopo l’attacco terroristico del luglio 2005, e vedo i cittadini israeliani nelle strade tutti i giorni. Sono tre Paesi in cui i cittadini collaborano con le forze dell’ordine in vari modi, permettendo a questi Paesi alti livelli di sicurezza. Nel resto dei Paesi d’Europa non c’è questa intesa civile con le forze dell’ordine, e pertanto sono più vulnerabili”.


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