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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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Correte a vedere questo film 28/07/2019

L’Holodomor, il “genocidio per fame” voluto da Stalin contro gli ucraini, è rimasta una pagina colpevolmente oscurata e portata alla luce solo dopo la fine dell’URSS. Una tragedia che ha ucciso 10 milioni di persone. 
Georges Mendeluk, il regista di Raccolto amaro è canadese, nato in Germania e di origini ucraine, e ha ambientato il suo film negli anni dello stermino.
Le recensioni uscite in questi giorni rivelano la pessima accoglienza che “Raccolto Amaro” ha ricevuto in Italia e confermano il giudizio che Susan Sontag diede del comunismo negli anni ’80: “Il fascismo che ha avuto successo”.
Ancora oggi la stessa parola comunismo, che dovrebbe in quanto ideologia criminale non dissimile dal nazismo suscitare la più forte condanna, trova ancora estimatori, soprattutto fra coloro che in Occidente hanno scelto di condividerla, da iscritti al Partito o fra gli ‘utili idioti’ come a Mosca chiamavano i cosiddetti ‘indipendenti di sinistra’.

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“Raccolto Amaro” è invece una altissima testimonianza – un film da proiettare nelle scuole – che rivela come l’URSS abbia potuto sterminare popolazioni e categorie sociali, ad esempio i contadini e gli agricoltori, non solo in Ucrania, senza che le democrazie occidentali pubblicassero alcunché. 
Anzi, nel film si vede di sfuggita una prima pagina del New York Times che negava qualsiasi sterminio in Ucraina.

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 Tra la stagione estiva e le recensioni negative, il film rischia una breve programmazione nei cinema. Dire la verità sul comunismo è ancora un atto di coraggio, correte a vederlo e raccomandatelo.
Dopo che l’avrete visto, rileggetevi le critiche che seguono, è questo il clima culturale che sul comunismo è ancora dominante in Italia.
Naturalmente i giudizi negativi si nasconderanno dietro una lecita recensione, una certa sinistra ha sempre saputo come rimanere a galla senza l’applauso aperto al ‘fascismo che ha avuto successo’.

 Eccone alcune: 

1. Mendeluk, nei cui trascorsi c’è molta televisione e poco cinema, non sembra smentirsi e traduce in sillabe un racconto che avrebbe meritato un respiro maggiore e una migliore meditazione. Mendeluk salta qualsiasi filosofia espressiva e si rifugia in una visione finto popolare, piena di luoghi comuni e in una cornice di antiquati canoni televisivi che riconducono ogni riflessione esclusivamente ad una narrazione sempre superficiale e corriva.

2. Il racconto storico non acquista mai lo spessore del dramma collettivo, restando quasi una questione privata della famiglia di Yuri. La drammaturgia del racconto cinematografico si fa da subito inutilmente enfatica con frasi del tipo: L’inferno è non sapere amare, con i personaggi tutti sopra le righe pronti a declamare frasi da consegnare direttamente alla storia. L’amore tra i due giovani protagonisti è disperso e invisibile. Le melense immagini subacquee iniziali non sono sufficienti a tratteggiare un amore infinito come quello che sembrano promettersi i due ragazzini.

3. La lotta tra buoni e cattivi non conosce sfumature e la scrittura del film riduce a semplicità forzata la complessità della storia. Stalin non è neppure un genio del male, ma un replicante senza alcuno spessore e il conflitto con Bucharin, che si opponeva alla decisione di affamare l’Ucraina, condensato e liquidato in una battuta. 

4. Raccolto Amaro non sa ricomporre alcun dramma tra le sue immagini, non sa comunicare con lo spettatore, non apre conflitti e non sa sanare ferite, non sa immaginare alcuna emozione, vaneggiando un’epica senza eroismo né tragedia. 

5. Un’operina senza vita, fredda come le distese russe dalle quali ha tratto origine, senza empatia e senza sapere scavare nella storia, senza sapere raccontare con le sue immagini e con il suo narrare frettoloso e a fior d’acqua, il dolore profondo di quel genocidio, che resta, dopo la visione, cosa lontana e soprattutto e colpevolmente, solo personale e mai collettiva.

E qui mi fermo

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Angelo Pezzana


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