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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Repubblica - Il Foglio Rassegna Stampa
30.09.2022 Iran, governo criminale
Cronaca di Gabriella Colarusso, commento di Tatiana Boutourline

Testata:La Repubblica - Il Foglio
Autore: Gabriella Colarusso - Tatiana Boutourline
Titolo: «Le voci dall’Iran in piazza con le donne: 'La nostra disobbedienza per i diritti e la libertà' - Imbarazzo d’Iran»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 26/09/2022, a pag.22, con il titolo "Le voci dall’Iran in piazza con le donne: 'La nostra disobbedienza per i diritti e la libertà' ", la cronaca di Gabriella Colarusso; dal FOGLIO, a pag. 1, con il titolo "Imbarazzo d’Iran", l'analisi di Tatiana Boutourline.

Ecco gli articoli:

Gabriella Colarusso: "Le voci dall’Iran in piazza con le donne: 'La nostra disobbedienza per i diritti e la libertà' "

Gabriella Colarusso (@gabriella_roux) | Twitter
Gabriella Colarusso

È l’ora di pranzo a Teheran, e in un ghaza khori del centro, le piccole trattorie dove gli iraniani si affollano per mangiare un buon pasto a poco prezzo, due ragazze siedono l’una accanto all’altra: ordinano, consumano e vanno via. Senza velo, con i capelli scoperti. «Se ne vedono decine di scene così negli ultimi giorni, e credimi: non succedeva prima », racconta Hossein, che a Teheran studia e lavora. Da 14 giorni l’Iran è in tumulto, una protesta di piazza e di singoli gesti, disobbedienza civile iniziata il 13 settembre scorso quando Mahsa Amini, una 22enne di origini curde, è stata arrestata dalla polizia morale perché vestiva impropriamente, secondo i rigidi criteri di abbigliamento che la Repubblica Islamica impone alle donne: è spirata dopo due giorni all’ospedale Kasra di Teheran. Nelle ore successive, la polizia ha tentato di accreditare l’idea che fosse morta per un infarto. La rabbia è esplosa. A migliaia sono scesi in strada in 80 città del Paese, molti 20enni: “la generazione TikTok”, la chiamano, che ha conosciuto solo la Repubblica Islamica ma non se ne cura: le donne sventolano in alto i loro hijab, li bruciano, si tagliano i capelli, gli uomini le affiancano e le proteggono. Ci sono stati anche scontri violenti con le forze di sicurezza, a Teheran e in alcune città curde i manifestanti hanno bruciato auto della polizia e uffici delle banche legate ai Pasdaran, il potente corpo dei Guardiani della Rivoluzione. «Quando ho sentito che avevano ucciso quella povera ragazza ho pianto per giorni, con mia madre e mia nonna. Ne parlavano tutti, è stato un trauma», racconta Sheryl, 32 anni, da una città del nord dell’Iran dove lavora come guida turistica. Comunicazioni difficili, perché il governo ha isolato l’Internet iraniano dalla rete globale. Amini non faceva politica, era cresciuta in una famiglia religiosa. Avrebbe potuto essere la figlia di «chiunque», dice Sheryl. Molti commercianti, ibazari che nel 1978 furono colonna della rivoluzione islamica, hanno chiuso le serrande o si sono uniti ai cortei animati dagli studenti. La protesta è cresciuta, contagiando le élite e le professioni. Si sono schierati gli artisti come il regista premio Oscar AsgharFarhadi; i musicisti come Shervin Hajpour: la ballata che ha composto mettendo in musica i tweet della protesta ha avuto 16 milioni di visualizzazioni in 12 ore. Ieri sera si è diffusa la notizia che sia stato arrestato ma non ci sono conferme. L’attrice Fatemeh Motamed-Arya ha parlato a un funerale pubblico senza il velo obbligatorio. Duecento professori universitari hanno firmato un appello: non terranno più lezioni fino a quando non verranno rilasciati tutti gli studenti arrestati. Persino la nazionale è scesa in campo vestita di nero, in solidarietà con le donne iraniane. «Prenderemo provvedimenticontro le celebrità che hanno soffiato sul fuoco dei disordini», ha dichiarato il governatore provinciale di TeheranMohsen Mansouri all’agenziadi stampa Isna. Le università rispondono in un abbraccio virtuale tra ragazzi e ragazze. “Donna, vita, libertà”, cantano gli studenti a Shiraz, lo slogan delle proteste. “Uomo, patria, prosperità”, rispondono le studentesse. «Mahsa è diventata il simbolo dell’oppressione. Il fulcro delle manifestazioni è stata la protesta contro l’hijab obbligatorio: questa generazione che non si riconosce nel sistema e non ha leader dice che se il velo è un obbligo religioso, chi non è religioso non dovrebbe essere costretto a fingere di esserlo. Ma non si limitano a questo: le richieste sono una vita normale, prosperità economica, libertà civili, rispetto e pari diritti, tutto quello di cui gli iraniani non hanno goduto in questi anni», dice aRepubblica una nota giornalista di Teheran che accetta di parlare con la garanzia dell’anonimato. La chiameremo Jima. «Ci sono pressioni fortissime sui giornalisti, più di 30 sono stati arrestati e molti sono stati minacciati. I media non possono coprire liberamente le manifestazioni». A dare la notizia della mortedi Amini è stata una donna, la reporter Niloufar Hamedi, e a raccontare il funerale è stata un’altra donna, la giornalista Elahé Mohammadi: entrambe sono in carcere. La repressione è dura e colpisce tutti: 41 i morti, ammette la tv di Stato, la ong Iran Human Right parla invece di almeno 70 vittime civili. Nella sola Teheran sono quasi 3mila gli arresti, secondo il sitoIran Wire . Ma il messaggio resta dirompente e il governo organizza la risposta. Le autorità accusano i manifestanti di essere la quinta colonna di europei e americani che vogliono destabilizzare la Repubblica Islamica. Migliaia di sostenitori della Repubblica Islamica si radunano a Teheran, aQom e in altre città contro quelli che definiscono «teppisti e sacrileghi». Dice Jima: «una parte significativa della società sostiene le proteste, ma non partecipa perché ha paura della violenza delle forze di sicurezza ». Il presidente Raisi, eletto nelle elezioni con la più bassa affluenza dal 1978, è costretto ad andare in tv: promette trasparenza sulle indagini, ma ribadisce: non saranno tollerati «disordini». «Quando arriva la sera usciamo, qualcuna inizia a camminare senza velo e gli altri si uniscono. Se siamo un gruppo consistente non abbiamopaura di affrontare le forze di sicurezza», racconta Parvaneh, 32 anni, dottorato in ingegneria, dal Nord. «Ibasij sanno cosa hanno fatto, picchiano, uccidono, ma sono i nostri vicini di casa, durante il giorno li incontriamo in fila dal fornaio, devono guardarci in faccia». Qualcuno scrive: è una rivoluzione. Jima dissente: «Non credo che si possa dire rivoluzione al momento. Queste proteste non porteranno a un cambio di regime o a un cambiamento reale nel comportamento oltraggioso del governo. Ma metteranno in discussione la legittimità del sistema più di prima e porteranno a una maggiore disobbedienza civile ». Nella notte iraniana si continuaa protestare.

Tatiana Boutourline: "Imbarazzo d’Iran"

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Tatiana Boutourline

Roma. E’ uno strano dialogo quello tra la mullahcrazia e le piazze iraniane, un po’ come quando durante una discussione una persona grida paonazza e perde il filo del discorso e l’altra resta imperturbabile e seguita a ripetere le sue ragioni. Perché la protesta produce simboli e ne trae nutrimento – un ragazzo che canta l’umiliazione delle sorelle, una ragazza che si sfila il foulard in sella a un bicicletta, due giovani donne senza velo che siedono a far colazione in un caffè, le Rosa Parks di Teheran è stato scritto – e a tutta questa vitalità, a tutta questa esuberanza, il regime è capace solo di controbattere con le solite parole d’ordine. E’ tutta colpa degli americani, dei sionisti, di Bbc farsi, dice il regime, e replica alla bellezza e al coraggio con le solite tattiche fatte di arresti, intimidazioni, censure. Mercoledì sera il presidente Ebrahim Raisi è comparso in televisione. “E’ un fatto che rattrista tutti”, ha detto parlando con la consueta espressione monocorde della morte di Mahsa Amini. E ha aggiunto: “Il governo non consentirà alla gente di turbare la pace della nostra società”. Nonostante le minacce, “la pace”, mercoledì sera, pareva ancora irrimediabilmente compromessa. E’ difficile presentare un quadro esaustivo della situazione in mezzo ai continui blackout della rete, al proliferare di immagini, di numeri e di notizie difficili da verificare, ma quel che è certo, al momento, è che le proteste non si placano e che al netto della ferocia, il modo in cui il regime sta dialogando con la piazza è fiacco. L’unica arma che pare intenzionato a sfoderare è la paura: far intendere che quel che si è visto finora è niente, quasi che nelle segrete stanze in cui tutto si decide nessuno credesse nella possibilità di riallacciare una qualsivoglia forma di patto sociale. “E’ probabile che il governo riesca ad adescare un po’ di persone e le trascini qui dai piccoli centri intorno a Teheran per una recita del sostegno”, ha commentato la settimana scorsa il religioso Abolfazl Najafi Tehrani. Poiché di norma è questo quello che accade in Iran quando il nezam ha bisogno di lanciare un messaggio: si riempiono i pulmini con gente attratta dalla prospettiva di una diaria e di un panino al pollo e la si fa marciare nella capitale a favore di telecamera. Il problema è che le piazze finte non hanno mai lo stesso impatto di quelle vere. Gli slogan suonano fasulli e vuoti, e i manifestanti a pagamento prima o poi cominciano a sbadigliare. Voci critiche provenienti dagli ambienti riformisti sottolineano da giorni che la strategia del regime è fallimentare. Secondo il deputato Gholamreza Nouri Ghezeljeh, “cercare di imporre una professione di fede con i manganelli” è inutile e “non è possibile trascinare a forza la gente verso il paradiso”. Said Leilaz, uno degli analisti più ascoltati dalle fazioni a favore di un qualche dialogo immagina che “le camionette della polizia morale si ritireranno dalle strade”. Ma il problema per il regime è che a essere contestato non è soltanto l’obbligo del velo. I ragazzi che in queste ore scandiscono il nome di Mahsa Amini, invece di gridare “Marg bar Amrika” come i figuranti delle piazze finte, gridano “Marg bar diktator”, morte al dittatore – e il dittatore è Ali Khamenei, la Guida suprema. Il problema per il regime è che l’hijab è uno dei totem inviolabili su cui poggia l’architrave khomeinista e se cade quello rischia di crollare anche il resto. E’ per questo che il regime requisisce le ambulanze e le usa per caricarci su i manifestanti, è per questo che seguita un po’ a sparare e un po’ a balbettare schierando ragazzini imberbi nelle strade e accusando gli universitari di essere hooligan e delinquenti. Difficile arginare la perdita di legittimità sparando, difficile pure placare l’opinione pubblica, quando il rapporto con il blocco sociale che dovresti rappresentare si è sfarinato. Il regime reprime ma non affronta i motivi della rivolta, è talmente attorcigliato nelle sue omissioni e nelle sue bugie, talmente abituato a imporre in pubblico una morale che gran parte dei suoi insider non rispetta in privato che si trova in contropiede, in imbarazzo. L’ipocrisia del sistema è sulla bocca di tutti. A suscitare indignazione è tanto la violenza quanto l’ipocrisia, la leggerezza con cui le regole imposte ai cittadini iraniani vengono impunemente violate dai potenti e dai loro famigliari. Ultimo in ordine di tempo lo scandalo che ha travolto il figlio della vicepresidente di Raisi, Ensieh Khazali, che in Canada vende network Vpn per bypassare la censura, mentre a Teheran il governo della madre si balocca con tecnologie approntate per isolare gli iraniani dal resto del mondo. E mentre si tenta di organizzare uno sciopero generale in sostegno delle proteste a cui minacciano di partecipare, dopo professori e camionisti, anche gli operai che lavorano nel settore strategico del petrolio, un ex ufficiale dei pasdaran ha diffuso un file audio in cui dice che il rapporto forense sulla morte di Mahsa indica che la causa è un colpo inferto alla testa.

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