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La Repubblica - La Stampa Rassegna Stampa
31.07.2022 Orbán: i diritti calpestati dall'autocrate che sogna un impero
Analisi di Fabio Tonacci, Monica Perosino

Testata:La Repubblica - La Stampa
Autore: Fabio Tonacci - Monica Perosino
Titolo: «'Non sei ungherese? Via'. Così il 'modello Orbán' calpesta il diritto d’asilo - Il sogno di un impero»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 31/07/2022, a pag. 9, con il titolo " 'Non sei ungherese? Via'. Così il 'modello Orbán' calpesta il diritto d’asilo", l'analisi di Fabio Tonacci; dalla STAMPA, a pag. 15, con il titolo "Il sogno di un impero", l'analisi di Monica Perosino.

Ecco gli articoli:

Fabio Tonacci: " 'Non sei ungherese? Via'. Così il 'modello Orbán' calpesta il diritto d’asilo"


Fabio Tonacci

Far-right Hungarian PM Orban decries European 'race-mixing,' sparking  outrage | The Times of Israel
Viktor Orbán

Almeno con i profughi Victor Orbán è, in un certo senso, veramente democratico: li caccia tutti. Non fa distinzioni. Passeggia su diritti umani e leggi dell’Unione Europea convinto dei suoi personali principi etici, come il «non ci vogliamo mischiare ad altre razze» enunciato in Romania qualche giorno fa davanti alla platea esterrefatta. Sei scappato dalla guerra? Fuori. Sei malato e non riesci a camminare? Ti trascini fuori. Sei incinta? Fuori lo stesso. Sei un bambino? Fuori. «Il governo non ha pietà, questo è il paese dove il diritto all’asilo è stato cancellato. Dove si rischia un anno di carcere se distribuisci volantini con le istruzioni per fare la domanda di protezione». Messa come la mette András Léderer, direttore dell’Comitato Helsinki per la tutela dei rifugiati, fa apparire il posto dove ci troviamo come un covo di resistenza. Secondo piano di un palazzo che affaccia su via Dohany, centro di Budapest, non lontano dalla sinagoga. La sezione ungherese del Comitato Helsinki (dieci volontari, tre stanze, molti schedari) prova a fare quel che nell’Ungheria del premier Orbán è diventata utopia: difendere diritti. Impresa ardua, quando hai un Parlamento monopolizzato dal partito Fidesz (135 deputati su 199) che nel 2018 approva la legge “Stop Soros” che criminalizza l’assistenza, minacciando il carcere per chi assiste i richiedenti asilo. La Corte di Giustizia dell’Ue ha stabilito che viola l’ordinamento, Orbán ha risposto fischiettando. La legge è ancora lì, intonsa. «La polizia le chiama “scorte”», racconta il 36 enne direttore del Comitato Helsinki. «Se un agente trovasul territorio ungherese una persona priva di permesso di soggiorno, la porta al muro con la Serbia, la spinge oltre uno dei varchi e le dice: siediti sull’erba, qualcosa prima o poi succederà». Dal 2016 al 28 luglio di quest’anno, le autorità hanno collezionato 197.392 “scorte”. Sono a tutti gli effetti dei respingimenti perché, spiega Léderer, i cacciati non sono «né fotografati, né identificati con le impronte digitali, né è concesso loro di fare domanda per l’asilo». Ancora: la Corte di Giustizia ha sentenziato che tutto ciò è follia normativa, la Ue ha aperto diverse procedure di infrazione contro l’Ungheria, bloccando anche l’erogazione dei fondi del Recovery (sono fermi 7 miliardi), Orbán ha alzato le spalle. Problemi loro, non suoi. Si capisce, dunque, quale affinità elettiva abbia legato Matteo Salvini e Giorgia Meloni al premier ungherese, in carica dal 2010, teorico entusiasta della “democrazia illiberale” . Le storie che il Comitato Helsinki documenta dal 2016, anno della stretta liberticida sui profughi, suonano di un’altra epoca. La scorsa primavera un ragazzo africano senza documenti viene investito da un camion. Lo portano in ospedale, ha il bacino rotto e le ossa delle gambe spezzate, lo salvano prendendo la pelle dagli arti inferiori e coprendo così le ferite alle braccia. Ma aver imboccato la porta di un ospedale vuol dire venire allo scoperto. La polizia è andato a prenderlo che era ancora steso nel letto. «Mi hanno messo sulla sedia a rotelle», ricorda. «Poi in macchina mi hanno portato al muro. Mi hanno ordinato di scendere. Come faccio, non cammino, gli ho risposto. Allora striscia fino in Serbia, mi hanno detto». Quando i serbi lo hanno visto arrancare nella sterpaglia, hanno chiamato l’ambulanza. Lo stesso è capitato ad Hasib, 24 enne afgano. Studiava alla János Kodolanyi University per un programma di scambio studenti con l’Ateneo di Kabul. Complice anche il ritorno dei talebani, la scorsa estate abbandona il corso per cercare un lavoro e mandare soldi alla famiglia. Fa la domanda di asilo, sicuro che — visto che suo padre lavorava con i militari americani — otterrà almeno udienza. Appena inviato il modulo, sono andati a prenderlo e l’hanno respinto in Serbia. «Per come è strutturato il sistema, per chiedere asilo lo si può fare solo presso le ambasciate ungheresi a Belgrado e a Kiev», spiega András Léderer. Nel 2021 il governo ha concesso 21 asili e 17 protezioni sussidiarie. Dall’inizio dell’anno, 4 permessi. Non che entrare in questa élité sia la svolta della vita. «Può stare un mese gratis in un campo rifugiati, sei mesi di assistenza e la possibilità di mandare i figli under 16 a scuola». Nelle strade della capitale ungherese non si incontrano migranti. Neanche gli sfollati ucraini, eppure — secondo Orbán — ne hanno accolti 800 mila. «Ma quale 800 mila!», ride amaro Léderer. «Quella è la cifra dei passaggi di frontiera, la maggior parte degli ucraini se n’è andata a ovest o è tornata a casa. Gonfiare il numero era la grande strategia per ottenere più fondi da Bruxelles». Gli ucraini assistiti sono solo 27 mila. Gli altri sono fuggiti due volte: dalla patria in guerra, e dal Paese che non vuolei profughi.

Monica Perosino: "Il sogno di un impero"

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Monica Perosino

Viktor Orban ha un sogno, un sogno di grandezza e gloria che assomiglia pericolosamente al Russkiy mir di Vladimir Putin. La stessa spinta revanchista che infuria al Cremlino, da tempo soffia anche nell'ex chiesa carmelitana di Buda, sede del primo ministro magiaro e dei suoi vagheggiamenti sull'Impero che fu. Nel suo studio la mappa dell'Ungheria è quella del Regno così come appariva nel 1848, che comprende anche territori attualmente in Croazia, Serbia, Slovacchia e Romania. Non vuol dire niente, vuol dire tutto. Infatti, il premier la postò su Facebook nel 2020, facendo allarmare le diplomazie di mezza Europa centrale e poi comparve anche (sotto forma di un tappeto) nel palazzo Justus Lipsius a Bruxelles, l'edificio dove hanno luogo i vertici del Consiglio dell'Unione Europea. Questa fame di gloria (perduta) tradotta in confini da espandere e territori da "riprendersi" assomiglia molto a quella di Putin. E il padre-padrone dell'Ungheria non ha mai fatto mistero di prendere la Russia come modello. D'altronde, sia lui che Putin arrivano da traumi, evidentemente, insuperabili o facilmente sfruttabile: il trattato del Trianon che nel 1920 smembrò il Regno ungherese, e il crollo dell'Unione sovietica. Che la direzione fosse simile era chiaro già il 25 luglio 2014 quando, nel suo famoso discorso a Tusnádfürd?, in Romania, Orban teorizzò la sua «democrazia illiberale» e indicò gli esempi da seguire. La Russia, naturalmente, era uno di questi. Si noti la data, 25 luglio 2014, piena guerra del Donbass. Da allora Orban è stato uno dei protagonisti europei nello smantellamento dello stato di diritto in patria e nello scontro con le democrazie occidentali, secondo lui troppo deboli, corrotte e senza "valori tradizionali". Ha centralizzato i media, come ha fatto Putin, e ha seguito il "modello russo" nella creazione di una Fortezza Ungheria fondata su teorie complottiste e manie di persecuzione che dipingono i magiari come vittime di un disegno occidentale anti-ungherese in cui, tra l'altro, i migranti sono usati come armi. Non basta: la legge che ha colpito le ong finanziate dall'estero («agenti stranieri») ricalca in modo inquietante quella imposta dal Cremlino nel 2012 a tutte le ong attive in Russia per «scongiurare ingerenze negli affari nazionali». Le analogie tra le pratiche ungheresi e quelle russe riempirebbero una lunga lista. Ma la scorsa settimana Orban è tornato a Tusnádfürd?, in Romania, con un nuovo affondo. «Gli ungheresi non vogliono mescolarsi con altre razze», ha detto e ha spiegato che in Europa ormai convivono popolazioni che non sono nazioni, ma un conglomerato etnico di «varie razze, europee ed extraeuropee, che si mescolano». La previsione è che entro il 2050 non esisteranno più nazioni, ma solo l'esito di popolazioni incrociate. Eccolo l'incubo di Orban, la grande sostituzione, e il suo ruolo imprescindibile, proteggere il suo popolo, gli ungheresi. «Qui, nel bacino dei Carpazi, non vogliamo mescolarci ad altre razze». Ancora simboli: nel bacino dei Carpazi, mica in Romania, ha detto Orban ovvero i territori conquistati dai magiari tra il IX e X secolo (in ungherese reso con la parola honfoglalás, conquista della patria), nucleo di quello che attorno al Mille divenne il Regno di Ungheria. Le parole di Orban sono dirette soprattutto agli ungheresi che, dopo il 1920 e i nuovi confini post-bellici, si sono trovati improvvisamente in Romania, Cecoslovacchia, Austria, Croazia, Serbia. In una notte Budapest perdeva metà territorio e la sua popolazione passava da 19 milioni a 7, la Grande Ungheria fondata da Stefano I il Santo era sparita dalle mappe. A loro si rivolge Orban quando parla nelle valli della Transilvania, tra i fedelissimi della comunità Székely, a tutti gli ungheresi che ora vivono fuori dai confini nazionali e che riempiono le urne di voti per Orban (il 95% delle preferenze di voto degli ungheresi oltreconfine va a lui). E nessuno come lui, o quasi, ha saputo tradurre così efficacemente il tema delle minoranze oltreconfine e della grandeur perduta. Le comunità di lingua e cultura ungherese, che in Romania rappresentano, ad esempio, il 7% cento della popolazione, svolgono una funzione importante come dispositivo di consenso. E, almeno politicamente, offrono a Orban un riflesso dei fasti territoriali del passato. Dopo il discorso choc sulle razze lo sdegno internazionale non si è ancora spento. Orban ha tentanto un passo indietro («Mi riferivo alle differenze culturali») che ha convinto solo la sua consigliera della prima ora. Si era dimessa dopo il «discorso nazista», ma ieri, comprensiva, ha cambiato idea. Le condanne internazionali non l'hanno spostato molto, perché dovrebbero del resto, mentre il legame con il sodale Putin è sempre più stretto. Niente sanzioni e vicinanza politica nonostante l'invasione dell'Ucraina, non fosse altro per la dipendenza dell'Ungheria da gas e petrolio russi, portano frutti. Ancora una volta pare che qualcuno, dalle parti del Cremlino, continui ad apprezzare la battaglia di Orban, difensore degli «ungheresi nel mondo corrotto» e della grandezza imperiale che fu: l'ex presidente russo Medvedev ha pubblicato la mappa dell'Ucraina smembrata in diversi territori e annessi, una "previsione" di quello che accadrà dopo la guerra. La gran parte andrà ovviamente alla Russia, ma un «pezzo» spetta all'amico Orban.

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