|
| ||
|
||
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/10/2019, a pag. 24, con il titolo "Comunisti contro gli operai", il commento di Claudio Gallo; dal SECOLO XIX, a pag. 29, con il titolo "Un insulto equiparare nazismo e comunismo", il commento di Igor Magni, Federico Vesigna, Segretari generali della Cgil Genova e Liguria, preceduto dal commento di IC. Ecco gli articoli: LA STAMPA - Claudio Gallo: "Comunisti contro gli operai"
Gli orrori di due guerre mondiali ancora ci sfidano, il faticoso processo di comprensione del «secolo degli estremi» continua a riscrivere la storia facendoci capire diversamente ciò che sappiamo. Così la mappa dell'immane iceberg staliniano, tra nuovi spunti teorici e documenti emersi dagli archivi, è lungi dall'essere completa. Pioniera di questo lavoro di scavo, Maria Ferretti, slavista, profonda conoscitrice della storia dell'Urss, ha aperto una via nuova e illuminante, prima di morire prematuramente a 59 anni, all'inizio dell'anno scorso. Ora l'editore Viella raccoglie in un volume alcuni suoi scritti cruciali che si aggiungono ai due libri che ha pubblicato sulla Russia del 900: La memoria mutilata (Viella) e la battaglia di Stalingrado (Giunti). I saggi contenuti in L'eredità difficile (pp. 353, € 32) affrontano il tema della memoria della rivoluzione del 1917 e la genesi dello stalinismo. La categoria di totalitarismo di Hannah Arendt che, al di là delle evidenti differenze, legava insieme nazismo e comunismo, suona oggi, dopo l'apertura degli archivi sovietici, troppo angusta. «Il problema - osserva la Ferretti - sta nel fatto che la teoria del totalitarismo, nella sua concezione classica cioè politologica, non solo rende assoluto il ruolo del "Potere" presupponendo che la società resti passiva (…) ma non è in grado di tenere conto delle interrelazioni tra la società e il potere». Nel passaggio verso gli Anni Trenta, la macchina poliziesca dello stalinismo si costituisce progressivamente in rapporto a una società che rifiuta con sorda rabbia, spesso proprio in nome degli ideali della Rivoluzione del ‘17, le imposizioni settarie dei bolscevichi. Più operai e contadini resistono più il partito si arrocca su posizioni estreme, rifugiandosi nell'ideologia per esorcizzare la realtà che non rientra nei suoi schemi. Maria Ferretti ha visto questo percorso incarnato e anticipato dalla storia dell'operaio Vasilij Ivanovich Ljulin. Fuciliere dell'Armata rossa durante la guerra civile, Vassilj Ivanovich era tornitore alla Krasnyj Perekop, storica fabbrica tessile russa a Jaroslavl, città a 250 chilometri a nordest di Mosca. Negli Anni Venti l'azienda dava lavoro a 10 mila persone, il dieci per cento della popolazione cittadina. Attivista comunista dopo la guerra, corsi di formazione all'universià di Sverdlov, viene presto espulso dal partito per non precisate «attività antisovietiche». Passa allora all'attività sindacale nella fabbrica in cui lavora. Diventa il beniamino degli operai nelle proteste contro l'industrializzazione forzata perseguita dal partito. Gli anni tra il 1925 e il 1929 sono fondamentali nella genesi dello stalinismo: i bolscevichi decidono di trasformare a tappe forzate l'antica Russia arcaica e contadina in una moderna potenza industriale. Dopo la rivoluzione e la cancellazione dei debiti esteri, il paese è isolato e dissestato, non può contare sui prestiti, gli investimenti internazionali e l'esportazione che avevano reso possibile il primo sviluppo industriale zarista. Si decide così di spremere gli operai, lasciando all'indottrinamento e alla propaganda il compito di vestire il re nudo. È interessante notare come il partito utilizza per i suoi scopi il meglio dell'armamentario tecnico-organizzativo del capitalismo come il Taylorismo insieme con «riduzione della mano d'opera, intensificazione dei ritmi produttivi, inasprimento della disciplina del lavoro». Si presenta come rifiuto del limite la consonanza segreta del bolscevismo con il progressismo capitalista . La contraddizione esiste d'altra parte già in Marx, nella sua malcelata ammirazione per il potere apparentemente illimitato della macchina industriale e la sua oscillazione tra un perfezionamento del sistema e una critica radicale dei suoi fondamenti. La nota figura del doppio Marx, messa in luce, più recentemente, dai marxisti o postmarxisti della scuola della critica del valore come Robert Kurz e Moishe Postone. Il caso Ljulin diventa emblematico della nascita dello stalinismo, non come dittatura calata dall'alto ma come «spirale della radicalizzazione», secondo la definizione della Ferretti, nel rapporto tra il partito che si era costituito intorno all'idea del potere operaio e gli operai in carne ed ossa che rifiutavano la modernizzazione forzata sulla loro pelle. La crescita dell'apparato repressivo stalinista è in buona misura la storia della negazione della conflittualità operaia e la trasformazione dei lavoratori in una «classe astratta» di cui la setta bolscevica diventa l'unica depositaria. Dal paternalismo minaccioso alle calunnie sui giornali, alla prigione, al gulag la strada è inarrestabile. La contraddizione di un partito operaio fischiato nelle fabbriche è un vergognoso incidente di percorso, presto superato con le acrobazie ideologiche e la polizia segreta. L'11 giugno 1929 Ljulin è arrestato per la prima volta, rilasciato e riarrestato, finisce probabilmente fucilato nel 1937, quando con il Grande Terrore, sono giustiziati moltissimi detenuti condannati per crimini antisovietici. Quest'anno dovrebbero essere scaduti i termini di legge, 75 anni, per poter accedere al suo dossier personale. Riabilitato nel 1993, Ljulin meriterebbe che qualche storico svelasse le circostanze della sua morte. Se, come spiega Maria Ferretti, lo stalinismo si inserisce anche nella «storia lunga» della Russia e si possono trovare consonanze familiari tra Pietro il Grande e Stalin, se lo choc senza precedenti della Prima guerra mondiale aveva aperto la strada, in tutta Europa, a pratiche violente e repressive senza precedenti, l'idea della «spirale di radicalizzazione» inserisce lo stalinismo nell'ambito della storia della modernità occidentale. Fu infatti, sotto questo aspetto, spiega l'autrice, «L'esperimento estremo della modernità occidentale, sedotta dall'idea dell'umana onnipotenza nel forgiare uomini nuovi e paradisi futuri». Il totalitarismo, categoria che non piaceva a Maria Ferretti, diventa così una variante nelle vicende della modernizzazione novecentesca.
IL SECOLO XIX - Igor Magni, Federico Vesigna: "Un insulto equiparare nazismo e comunismo"
E' storicamente infondato e disinformante paragonare comunismo sovietico e nazismo. A patto, però, di chiarire la natura criminale di entrambi i regimi, che in modi diversi hanno provocato la morte di decine di milioni di persone.
A Igor Magni e Federico Vesigna, invece, preme solo ripulire l'immagine del comunismo, "dimenticando" i suoi innumerevoli crimini. E' il politicamente corretto di chi, ancora oggi, si rifiuta di accettare la storia criminale del comunismo. Ecco l'articolo:
Milioni di morti in nome del comunismo Per inviare la propria opinione, telefonare:
La Stampa: 011/ 65681 Il Secolo XIX 010/53881 oppure cliccare sulle e-mail sottostanti lettere@lastampa.it lettere@ilsecoloxix.it |
Condividi sui social network: |
|
Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui |