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Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 23/02/2011, a pag. 5, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " L’Iran a Suez: ecco il dopo Mubarak ". Dall'OPINIONE l'articolo di Stefano Magni dal titolo "La bandiera iraniana sul Canale di Suez". Dal FOGLIO, a pag. I, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " I Fratelli musulmani contro i cristiani: Mai un loro presidente ". Dal MANIFESTO, quotidiano di Rocca Cannuccia, a pag. 6, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " Suez, navi da guerra iraniane nel canale ", preceduto dal nostro commento. Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " L’Iran a Suez: ecco il dopo Mubarak "
Guardiamole bene quelle due navi iraniane che sono entrate alle quattro del pomeriggio nel Mediterraneo. È uno spettacolo del tutto nuovo, ed è tutto dedicato a noi, europei, israeliani e americani, messo in scena per farci digrignare i denti: dal 1979 l’Egitto non lasciava passare dal suo prezioso corridoio le navi dell’Iran khomeinista, il Paese della rivoluzione sciita integralista e nemica acerrima del potere sunnita, se non di quello estremista di Hamas, dei Fratelli Musulmani e di Al Qaeda e altri compagni del genere. Adesso, invece, ecco il primo gesto dell’Egitto post-rivoluzionario: visto che l’alleato americano si è scansato appena la folla si è messa in marcia, il nuovo-vecchio potere militare immagina prudentemente nuove alleanze. Meglio non litigare con Ahmadinejad che riempie di lodi la rivoluzione egiziana. Anche i sauditi, anch’essi sunniti, non hanno mai avuto simpatia per l’Iran khomeinista, al contrario. Anzi, ultimamente si sono battuti per difendere Mubarak: il re Abdullah ha fatto una telefonata durissima a Obama per dirgli di non umiliare il suo amico. Ma il presidente americano l’ha abbandonato, ed ecco che anche i sauditi tastano nuove possibilità strategiche: le navi iraniane hanno fatto scalo, sembra, al porto saudita di Jedda. L'OPINIONE - Stefano Magni : " La bandiera iraniana sul Canale di Suez "
Il dado è tratto, ma non è il Rubicone ad essere attraversato: due navi da guerra iraniane (una fregata e una nave d’appoggio logistico) hanno passato il Canale di Suez. Attenti a quanto succede in Libia, appena sull’altra sponda del Mediterraneo, gli europei forse si sono lasciati sfuggire la gravità immensa di questa provocazione navale. L’Iran sta cercando niente meno che porre il suo sigillo sulla rivoluzione egiziana, ottenere l’alleanza del nuovo governo, condizionare le prossime elezioni al Cairo e, soprattutto, allungare le sue mani sul Mediterraneo. Gaza, governata da Hamas, era già un avamposto, ma era isolato. La Siria era già un alleato, ma poteva essere raggiunta solo attraverso un lungo ponte aereo che passava dalla Turchia (un membro della Nato) o dall’Iraq (controllato dagli Usa). La possibilità di attraversare il Mar Rosso e il Canale di Suez dà all’Iran una capacità di proiettare la sua potenza, di ricongiungersi direttamente con Hamas e con il regime siriano. E di isolare Israele. Oltre che bloccare le vie di rifornimento dell’Europa, quando e se sarà necessario. Sull’onda dell’insurrezione che ha rovesciato il regime di Mubarak, insomma, cambia la geopolitica del Mediterraneo orientale e rischia di cambiare a favore del totalitarismo islamico di Teheran. Il FOGLIO - Giulio Meotti : " I Fratelli musulmani contro i cristiani: Mai un loro presidente "
Roma. In Egitto il solo pensiero che i Fratelli musulmani possano prendere il sopravvento è vissuto come un incubo dalla comunità cristiana, che forma ben il quindici per cento dell’intera popolazione. Ieri, l’Alta corte amministrativa egiziana ha ammesso il primo partito islamico alla tornata elettorale. Si tratta del Wassat, una formazione nata dai Fratelli musulmani che per anni aveva invano cercato di partecipare alle elezioni. Anche un leader dei Fratelli musulmani è chiamato a partecipare alla stesura della nuova Costituzione egiziana, ma i copti ne sono stati esclusi. “Milioni di copti si oppongono alla Commissione formata dal Consiglio supremo delle Forze armate”, ha dichiarato il presidente dell’Unione per i diritti dell’Uomo egiziana, Naguib Guebral. “L’inclusione di elementi dei Fratelli musulmani senza che vi siano dei copti rinnega i principi della rivoluzione del 25 gennaio, nella quale il sangue copto si è mischiato a quello egiziano”. Intanto il politburo del grande movimento islamista, fino a ieri al bando sotto il regime di Mubarak, fa sapere che i cristiani e le donne non potranno diventare presidenti nel “nuovo Egitto”. Prima delle proteste lo aveva detto Mohammed Habib, uno dei massimi leader dei Fratelli musulmani: “Quando il movimento andrà al potere, sostituirà la presente Costituzione con una islamica, in base alla quale a un non musulmano non sarà concesso di occupare un posto di potere, sia nello stato sia nell’esercito”. La piattaforma dei Fratelli musulmani descrive i cristiani copti come “partner della patria” e “parte della fabbrica della società egiziana”. Ma giustifica anche l’esclusione dei cristiani dalle cariche politiche tramite la teoria del “wilaya kobra”, ovvero il governo della maggioranza. “Donne e cristiani non potranno accedere alla carica di presidente della Repubblica”, ha appena dichiarato uno dei portavoce del movimento, Mohsen Radi, al giornale egiziano al Masri al Yom. Accademici e intellettuali avevano ripetutamente chiesto al gruppo islamico di cambiare opinione su questo, visto che le donne e i cristiani costituiscono metà della popolazione egiziana e la principale e più antica minoranza del paese. E’ stato invano, a giudicare da questa nuova fatwa contro la minoranza cristiana e le donne. “Dopo una lunga discussione, siamo arrivati alla conclusione che queste due categorie di persone non hanno diritto a quel ruolo e che questo è il nostro verdetto definitivo”, hanno fatto sapere i Fratelli musulmani. Una decisione “supportata da tutti i leader spirituali nel movimento”. Nessun “infedele” dovrà quindi mai sognarsi di guidare l’Egitto. “Riteniamo che i doveri della presidenza e del premier vadano contro il credo dei non musulmani. Conseguentemente un non musulmano ne deve essere esentato”. Se sei nato femmina il discorso non cambia. “Riteniamo che il ruolo di presidente e ancor più quello di comandante dell’esercito non possa essere affidato a una donna in quanto in aperta contraddizione con la sua natura”. Secondo i media egiziani, sarebbe stato proprio l’imam Yusuf al Qaradawi, rientrato in Egitto dopo trent’anni di esilio, a decretare il bando della minoranza cristiana. A inizio gennaio, nel corso della sua trasmissione su al Jazeera, Qaradawi aveva attaccato duramente Benedetto XVI: “Voglio dire al Papa, allontana da noi il tuo male”. E lo scorso ottobre l’organizzazione di Qaradawi, l’International Union of Muslim Scholars, aveva accusato i copti di nascondere armi nei monasteri per combattere l’islam. Nel 1980, la Fratellanza rese nota una fatwa che proibiva la costruzione di nuove chiese. Nel 1997, la Guida suprema Mustafa Mashhour affermò che i copti dovevano pagare la “jizya”, la tassa che il califfo imponeva alle minoranze ebraico-cristiane. Nel 2008, il Sindacato dei medici egiziani, controllato dai Fratelli musulmani, ha proibito persino i trapianti tra persone di “diverso credo o nazionalità” – leggi cristiani e musulmani. E da anni i Fratelli musulmani si oppongono a qualsiasi modifica del codice egiziano che prevede la voce “religione” nelle carte di identità. Due anni fa Qaradawi era intervenuto sul caso di Mohammad Hegazi, giovane egiziano convertito al cristianesimo, che voleva essere riconosciuto tale anche dal punto di vista legale. Qaradawi ha concluso che Hegazi deve essere ucciso perché c’è pericolo per il gruppo e il gruppo ha priorità sull’individuo. L’apostasia, la conversione a un’altra religione, verrebbe ancor più duramente combattuta in caso di vittoria dei Fratelli musulmani. Il “papa laico” dei copti Milad Hanna l’aveva detto dopo il clamoroso successo dei Fratelli musulmani alle elezioni del 2005: “Questo è uno dei pochi paesi al mondo dove islam e cristianesimo sono vissuti accanto senza problemi per quattordici secoli, ma ora ci si avvia verso l’integralismo. E se così fosse, emigrerei”. Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " Suez, navi da guerra iraniane nel canale "
Michele Giorgio scrive : "le due unità militari effettueranno solo una visita di «routine» che sarà «di breve durata» in Siria, (...) In sé non c’è niente di strano, il canale di Suez è aperto a ogni passaggio, anche a quello delle navi da guerra.". Contrariamente a quanto sostiene Giorgio, qualcosa di strano c'è, dal momento che sono decenni che l'Egitto non permette a navi da guerra iraniane di attraversare il Canale di Suez. Alla fine, in linea con i regolamenti egiziani, le due navi della Marina militare iraniana, in attesa da giorni nel Mar Rosso, sono entrate nel Canale di Suez e dopo alcune ore di navigazione sono passate nelle acque del Mediterraneo. Nelle prossime ore raggiungeranno le coste della Siria dove, almeno ufficialmente, parteciperanno a quella che Damasco ha descritto come una cerimonia per i cadetti della Marina. È la prima volta dal 1979 che unità da guerra della Repubblica islamica entrano nel Mediterraneo e la novità ha subito riacceso la tensione tra Tehran e Tel Aviv. Israele nei giorni aveva lanciato pesanti avvertimenti, ma non ha potuto impedire il transito delle due navi per Suez. Il Ministero della Difesa del Cairo lo aveva autorizzato già venerdì scorso, a patto che le due navi non trasportassero né armi né altri materiali di natura nucleare o chimica. Ricevute le dovute garanzie da Tehran, le autorità militari egiziane non hanno potuto far altro che dare il via libera definitivo al transito della nave appoggio di classe Kharg e della fregata di classe Alvand (entrambe di fabbricazione britannica e consegnate all’Iran negli anni ’70, quindi prima della rivoluzione islamica). La Kharg ha un equipaggio di 250 persone e può accogliere fino a tre elicotteri; la Alvand è armata di siluri e missili antinavi. Ma le due unità militari effettueranno solo una visita di «routine» che sarà «di breve durata» in Siria, ha spiegato una fonte diplomatica iraniana cercando di ridimensionare la portata della vicenda. In sé non c’è niente di strano, il canale di Suez è aperto a ogni passaggio, anche a quello delle navi da guerra. Ma Israele vi vede un tentativo da parte iraniana di accrescere la propria immagine ed influenza in un’area dove sino ad oggi la Marina di Tehran non si era mai spinta. Il passo, destinato con ogni probabilità a non avere conseguenze, nonostante gli avvertimenti lanciati da Israele, ha una valenza «politica e simbolica» che irrita Tel Aviv. Israele che pure, secondo indiscrezioni riprese dalla stampa internazionale, manterrebbe i suoi sottomarini a portata di tiro dalle coste iraniane, ritiene invece «grave» l’invio delle due navi iraniane nel Mediterraneo che, affermano i dirigenti israeliani, avrebbero a bordo armi destinate al movimento sciita libanese Hezbollah, in particolare missili Scud. «Gli Ayatollah provano ad approfittare della situazione instabile (in MedioOriente) per estendere la loro influenza», ha commentato il premier Netanyahu, mentre il ministro degli esteri, falco della destra ultranazionalista, Avigdor Lieberman, ha parlato di «provocazione» e ha esortato la Comunità internazionale a reagire «con fermezza». Israele ha perciò messo in stato di allerta la sua Marina, annunciando che risponderà immediatamente a ogni «provocazione» da parte delle due unità iraniane che, invece, con ogni probabilità, transiteranno a notevole distanza dalle coste dello Stato ebraico, senza però mancare ad osservarle. Un alto ufficiale israeliano ha detto all’agenzia France presse che le Forze Armate non prenderanno alcuna iniziativa, ma non esiteranno a rispondere a qualsiasi atto ostile, anche a una semplice deviazione della rotta. Ma a Tel Aviv si mastica amaro anche per il via libera dato dalle autorità egiziane al transito delle navi iraniane per il Canale di Suez. Commentatori e analisti si interrogano sull’atteggiamento che adotteranno i vertici militari ora, alla guida dell’Egitto, verso la «sicurezza» di Israele. Ossia se manterranno la stretta collaborazione garantita dall’ex presidente Mubarak che, peraltro, negli ultimi anni, ha contribuito in maniera determinante all’assedio della Striscia di Gaza. Qualcuno fa notare che se da un lato nessun forza politica egiziana di opposizione ha chiesto, dopo la rivoluzione del 25 gennaio, la sospensione degli accordi di pace di Camp David con Israele, dall’altro l’Egitto «futuro» potrebbe rivelarsi meno accondiscendente rispetto a quello di Mubarak. Per inviare il proprio parere a Giornale, Opinione, Foglio e Manifesto, cliccare sulle e-mail sottostanti segreteria@ilgiornale.it diaconale@opinione.it lettere@ilfoglio.it redazione@ilmanifesto.it |
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