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Il Foglio - L'Opinione Rassegna Stampa
02.10.2008 Un ayatollah laico in prigione in Iran
mentre un arcivescovo e un giudice sostengono l'introduzione delle sharia in Gran Bretagna

Testata:Il Foglio - L'Opinione
Autore: la redazione - Maurizio De Santis
Titolo: «Un ayatollah in cella scrive al Papa - I tribunali islamici in quel di Londonistan»
Dai giornali del 2 ottobre 2008, riportiamo due articoli relativi al rapporto tra islam e laicità.

Dalla prima pagina del FOGLIO un articolo sull'ayatollah iraniano dissidente Seyyed Hossein Kazeimini Borujerdi :

Roma. Si trova in carcere da due anni, picchiato e torturato. La prigione è quella di Evin, un luogo infame da cui sono passati, e spesso mai usciti, molti accademici, giornalisti e dissidenti iraniani del calibro di Akbar Ganji, Hassan Yussefi Eshkevari, Hossein Ghazian, Abbas Abdi, Alireza Labari, Siamak Pourzand, Taghi Rahmani, Hoda Saber e Alireza Armadi. L’ayatollah Seyyed Hossein Kazeimini Borujerdi, principale spina nel fianco teologica del regime teocratico dei mullah khomeinisti, è costretto a parlare al mondo per mezzo di lettere clandestine, autentici samizdat come avveniva all’epoca del socialismo reale. In un appello fatto uscire dal carcere illegalmente e diffuso dal suo rappresentante in Europa, Borujerdi si è rivolto direttamente a Papa Benedetto XVI, ma anche ai rabbini capo di Israele, al Gran Mufti di al Azhar e agli ulema sauditi di Dar al Fatwa, chiedendo il loro intervento a favore dei prigionieri di coscienza rinchiusi nelle carceri iraniane. Dopo aver descritto la grave situazione in cui versano i dissidenti nelle carceri della Repubblica islamica, l’ayatollah Borujerdi si appella al Pontefice chiedendogli di “spendersi in difesa della credibilità divina e della sacralità spirituale” con un intervento presso le autorità iraniane per chiedere loro di rispettare i diritti umani e la libertà religiosa. Borujerdi mette in guardia anche i mufti e gli ulema egiziani e sauditi, spesso conniventi con la cultura del martirio, sottolineando come “l’islam politico sta cancellando la parola di Allah e del suo profeta Maometto”. Ai rabbini, il religioso iraniano, chiede invece di “far sentire al mondo il grido dei musulmani in catene in Iran, in nome dello stesso Dio che entrambi veneriamo”. Il religioso iraniano è stato arrestato l’8 ottobre 2006, assieme a un gruppo di sostenitori. La sua colpa è aver detto che “l’islam vero è privo di ornamenti politici”. Accusato di attività anticostituzionali e di eresia, secondo Amnesty International Borujerdi sarebbe stato duramente torturato in questi due anni nonostante le gravi condizioni di salute. Come suo padre, l’ayatollah Mohammad Ali Kazeimeini Borujerdi, anche Seyyed Borujerdi si oppone all’islam politico e predica un culto tradizionale che non vede di buon occhio la presenza dei mullah e degli ayatollah al governo e nelle istituzioni. Anche Borujerdi, come suo padre, gode di un grande seguito tra la popolazione: prima del suo arresto, migliaia di persone riempivano gli stadi per ascoltare i suoi sermoni. L’ayatollah crede che, in assenza del dodicesimo imam che deve far ritorno sulla terra come messia, politica e religione devono restare separate e che il potere è del popolo. “Soltanto l’imam ha il potere di giudicare”, ripete Borujerdi. Un affronto capitale alla dittatura religiosa e dei costumi instaurata da Khomeini. E da molti giudicata un’aberrazione nella storia dello sciismo. I guai di Borujerdi sono iniziati quando brandì una spada in mezzo a una folla di fedeli in segno di protesta contro “l’ingiustizia del clero”. La sua moschea, attrattiva per una buona fetta della popolazione iraniana, è stata espropriata dai mullah. Suo padre è stato, assieme all’ayatollah iracheno Ali al Sistani, una figura venerata dello sciismo prerivoluzionario. I suoi seguaci lo hanno sepolto segretamente a Masjid Nour. Ma anche la tomba fu dissacrata dalle guardie rivoluzionarie. “Il regime non è diverso da quello di Osama bin Laden e del mullah Omar”, dice Borujerdi, che ha già subito un processo farsa nella corte di Zafaranieh, a Teheran. Condannato a morte per eresia. Sofferente per il parkinson, è riuscito a difendersi da solo. I frutti del messaggio di Borujerdi rappresenta una speranza. In Iraq questa visione dell’islam ha portato a una Costituzione pluralista che non contempla imamato. Hasan Shariatmadari, il figlio del grande ayatollah Kazem Shariatmadari, ha detto che “in 1.400 anni di storia, lo sciismo ha sempre combattuto l’abbraccio di politica e religione”.

Da L'OPINIONE, un articolo sulle corti islamiche in Gran Bretagna: 

Lo scorso 8 febbraio, il capo della Chiesa anglicana, l’Arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, dichiara che “è inevitabile accettare nella società inglese l’ingresso della Sharia”. Nel dettaglio, il massimo prelato anglicano sponsorizza i tribunali islamici per la soluzione delle vertenze civili, litigi familiari, contese economiche, divorzi, ecc...Apriti cielo (d’altronde, siamo in tema…).
I due terzi della Chiesa anglicana smentiscono e si dissociano (ma un terzo tace. E, narrasi, chi tace acconsente). Il 4% del Sinodo ne chiede le dimissioni. Pochi mesi dopo, il 3 luglio, il capo della magistratura d’Inghilterra e del Galles, Lord Nicholas Addison Philips manifesta la propria convinzione che la Sharia possa svolgere un ruolo utile nell’ambito del sistema giudiziario britannico. Come? Ricorrendovi per la soluzione dei conflitti fra soli musulmani, in una sorta di primo grado giudiziario, per poi eventualmente ripiegare sulla legge britannica in caso fallisca ogni tentativo. Insomma, niente mani mozzate o teste tagliate ed un alleggerimento delle cause civili pendenti. Le polemiche diventano uragano. Ma, in verità, in Gran Bretagna il laboratorio giuridico a “doppio binario” è già avviato. Pur non avendo un riconoscimento legale, circa una decina di tribunali islamici già funzionano, principalmente per arbitrare conflitti familiari. Un po’ come il consiglio degli anziani delle antiche tribù.

Di più. La scorsa estate sono iniziati a Londra, Dewsbury nel West Yorkshire, Birmingham e Rotherham nel South Yorkshire, corsi di diritto islamico. Per lo più incentrati sul diritto di famiglia e le contese economiche. Già molti musulmani britannici si sono avvalsi sistema giuridico ufficioso della Sharia per regolare alcune controversie, di natura non penale. Il Consiglio islamico della Sharia (Isc - Islamic Sharia Council) più influente ha sede a Leyton che, dalla sua creazione, avvenuta nel 1982, ha trattato oltre 7.000 casi di divorzi secondo diritto coranico. Nel contempo, il governo inglese ha normato in modo controverso. Prima con l’esonero fiscale nelle successioni dei matrimoni poligami, poi riconoscendo un sostegno agli harem (come chiamarli? famiglie allargate?) con erogazioni sotto forma di sussidi di disoccupazione. Il dottor Hasan, portavoce dell’Isc ritiene che la Sharia possa essere un mezzo per integrare i musulmani nella società. E’ vero o no, che un sondaggio del 2006 ha rivelato che il 40% dei quasi due milioni di musulmani britannici è favorevole all’introduzione della Sharia? Peccato che il dottor Hasan sia lo stesso che dichiarò lo scorso inverno che “se ci fosse una lapidazione, anche una sola, nessuno commetterebbe più quel crimine”. Il fatto che nei paesi islamici fiocchino lapidazioni lascia dunque supporre che i musulmani siano persone dure di comprendonio? Riesce difficile immaginare una società dove ogni confessione dirime le proprie beghe secondo il proprio canone. Musulmani con la Sharia, cristiani con la Sacra Rota, ebrei con il Beth Din, salvo poi ricorrere a Sua Maestà nelle dispute miste. A Dio piacendo, s’intende.

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