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Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 06/08/2024 a pag. 12 il commento di Fiamma Nirenstein con il titolo: "Attesa (con sorpresa). La carta di Netanyahu è spaventare i nemici «Pronti ad attaccare»".
Mentre il ministro della Difesa Gallant incontra nella base sotterranea a Tel Aviv gli alti gradi dell’aviazione, ancora gli ordini del comando centrale non sono cambiati. I bambini vanno ai campi estivi, si va a fare la spesa e in ufficio, il traffico è solo un po' diminuito, i rifugi sono aperti e riforniti con un po' di provviste d’acqua e crackers. Ma le parole di Gallant, come quelle di Netanyahu e di tutto il resto del governo in queste ore non sono tenere né angosciate: non descrivono l’inferno prossimo venturo, ripetono semmai che quando l’Iran e i suoi attaccheranno, per Israele non sarà un problema “passare dalla difesa all’attacco se necessario”. Così ha detto Gallant. È un concetto di cui è ovvia la consistenza: da mercoledì, giorno dell’eliminazione di Haniyeh, sia gli ayatollah che i loro aiutanti Hezbollah, gli iracheni, gli Houty, Hamas, e altri seguitano a promettere la distruzione assoluta, la morte di Israele addirittura in forme inconsuete, inaspettate. “Una grande sorpresa, qualcosa di mai visto prima” ha detto Nasrallah. Israele guarda l’orizzonte al sud, e vede, ieri per la prima volta da tempo, quindici lanci nella zona dei kibbutz straziati a morte dal 7 di ottobre; a nord gli Hezbollah seguitano nell’attacco ossessivo e mortale che irrora di proiettili il nord e ha costretto la popolazione a sgomberare. Dall’Autorità palestinese un terrorista ha ucciso a coltellate due anziani cittadini, una donna e un uomo, che facevano jogging. Si indaga la possibilità di un’Intifada che dovrebbe funzionare da quinta colonna dell’attacco. Israele aspetta. Ma nella nebbia si comincia a disegnare l’idea che i due fronti non hanno da una parte i mitra e i missili puntati in attesa di un segnale, mentre dall’altra le anatre nello stagno attendono i cacciatori. Al contrario, lo stagno, Israele, potrebbe sollevarsi in un attimo in una minacciosa tempesta. I suoi aerei possono volare migliaia di chilometri con estrema abilita e precisione, come è successo per i 1800 chilometri percorsi per colpire i Houty; il suo sistema difensivo può parare la pioggia di più di trecento missili anche balistici dall’Iran, come ad aprile; i suoi proiettili possono distruggere le casematte e le fortezze e anche le gallerie più nascoste, come a Gaza. I suoi servizi segreti, sono ovunque. E adesso si è mosso in forze un formidabile alleato, gli Stati Uniti, capace di operare in loco undici navi da guerra e qualsiasi tipo di aerei, missili, munizioni, e forse anche, si dice, soldati “boots on the ground”. Kurilla, il capo di Stato maggiore che comanda ogni movimento del Pentagono, quello che ad aprile ha guidato la coalizione in breve coalizzata per difendere Israele, ha anticipato il suo arrivo da mercoledì a ieri; quali che siano stati gli scontri telefonici fra Bibi e Biden, che considererebbe molto fattivo e portatore di rapporti positivi col mondo arabo moderato che Netanyahu accettasse un accordo totale, senza condizioni sulla restituzione degli ostaggi, pure alla fine il fronte è solido: fa ombra sulla richiesta del Presidente la foto di quella gigantesca galleria che da Rafah, sul confine, lo Tzir Filadelfi, porta larga come un’autostrada chissà quanti armi, uomini, forse ostaggi, dentro e fuori l’Egitto. Come può Israele rinunciare a quel passaggio? Significherebbe la ricostruzione di Hamas. Biden vuole che Netanyahu gli dica di sì sull’accordo, ed è comprensibile, e Bibi non può lasciare quel confine e quelle gallerie. E gli USA sanno che allontanarsi da Israele in questo momento invece di abbassare la tensione, creerebbe un vuoto in cui un’alleanza malefica sentirebbe che è giunto il suo momento di portare la guerra ovunque possibile, dalla Ucraina a Israele. Ma si può pensare che l’Iran non a caso abbia convocato ieri una conferenza stampa stranamente pacifista, in cui spiegava che deve per forza vendicarsi, ma che la vendetta non è propedeutica a un’esplosione generale, ma solo a una migliore educazione della feroce “entità sionista”. Sa che Israele studia il da farsi, e si interroga. Il fronte più caldo, naturalmente è quello più vicino e più armato, il Libano, con cui non occorre solo consolidare il confine, ma stabilire un fronte che impedisca la continua aggressione. Gli Hezbollah sono l’avamposto del disegno generale dell’Iran di dominio dell’area per una rivoluzione islamica mondiale. In Libano l’Iran ha speso molti soldi, molto impegno, è il numero uno delle sue acquisizioni. Adesso, Khamenei e le Guardie della Rivoluzione certo immaginano che Israele sia abbastanza preparato da potere, nel caso anche di un attacco micidiale di Nasrallah, di distruggere questo grande sforzo strategico. In questi mesi l’esercito si è esercitato, rifornito, rafforzato come dimostrano le recenti imprese nella parte dei servizi segreti. L’Iran ha accusato il colpo, Sergej Shoigu ieri è arrivato dalla Russia a Teheran, probabilmente non solo per aiutare (molte armi e interessi russi sono partiti della strategia iraniana) ma anche per valutare la situazione: Putin non vuole uno scontro frontale che intanto potrebbe sgomberarlo dalla Siria, dove domina. Intanto al confine fra Iran e Afghanistan bruciano da molte ore strutture petrolifere con alte fiamme. Chi, come, perché, anche di questo non si sa niente.… certo il petrolio è l’unica risorsa vera dell’economia iraniana.
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