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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Giornale Rassegna Stampa
26.08.2021 Afghanistan: un disastro firmato Joe Biden
Commento di Paolo Guzzanti, intervista di Gaia Cesare

Testata: Il Giornale
Data: 26 agosto 2021
Pagina: 1
Autore: Paolo Guzzanti - Gaia Cesare
Titolo: «Strategia del terrore: un assist a Biden - 'Io, kamikaze mancato vi racconto l'orrore della vita sotto il regime'»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 26/08/2021, a pag.1, con il titolo "Strategia del terrore: un assist a Biden il commento di Paolo Guzzanti; a pag. 6, con il titolo 'Io, kamikaze mancato vi racconto l'orrore della vita sotto il regime', l'intervista di Gaia Cesare.

Ecco gli articoli:

Paolo Guzzanti: "Strategia del terrore: un assist a Biden"

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Paolo Guzzanti

Sia gli americani che i talebani hanno ieri lasciato trapelare un trepidante allarme per i piani terroristici dell'ISIS-K, una rete dello Stato islamico che progetterebbe un attentato all'aeroporto di Kabul. Si trattava di una ghiotta e quasi incredibile indiscrezione secondo cui lo stesso direttore della Cia William Burns, un ex diplomatico famoso per i suoi rapporti segreti da Mosca, si sarebbe incontrato a Kabul con il leader talebano Basadar. La notizia è stata fatta rimbalzare in un crescendo finché l'emittente Sky britannica l'ha trasmessa come notizia certificata: il capo dell'intelligence americana va dal capo degli ex nemici per una strategia comune ed evitare che l'Isis faccia una strage e ripetere di comune accordo che gli americani debbono sparire senza se e senza ma per il 31 prossimo. Americani e talebani sembrano recitare un duetto della stessa opera lirica il cui ritornello è: «Il trentun d'agosto, dobbiamo, dobbiamo partir» cui il coro talebano risponde appassionato: «Sì! sì! sì! partir, partir». Potrebbe anche essere tutto vero: gli americani non vogliono altri morti e i talebani non vogliono concedere pretesti all'Isis che cerca di tornare protagonista con un attentato che faccia saltare gli accordi. Ad essere maliziosi c'è però da valutare anche l'ipotesi che ieri i talebani abbiano voluto dare un aiutino a Biden che si sente sulla graticola in casa e con gli europei guidati da Draghi e Boris Johnson. I severi chierici talebani che ammazzano bambini e donne e giustiziano collaboratori e magistrati, desiderano in fondo soltanto dedicarsi al commercio dell'eroina di cui l'Afghanistan è il maggior produttore mondiale e non vogliono fra i piedi altri giocatori come l'Isis e al-Qaeda. La Casa Bianca in questi giorni è tenuta sotto scacco dai repubblicani di Trump oltre che dagli alleati che hanno supplicato inutilmente una proroga di qualche giorno per completare le operazioni di soccorso e allestire i corridoi umanitari. Ma Biden ha troppa fretta: le sue quote di consenso crollano mentre i capibastone della sua sinistra minacciano di mollarlo per le elezioni di mid-term. Così ieri è stata varata questa operazione geniale: il viaggio del capo della Cia a Kabul ha risolto un problema di facciata. Quello che permette di dire: non possiamo stare un giorno di più, i talebani stessi ci hanno consigliato di fuggire. Il Times ha pubblicato una vignetta in cui Biden è fra due talebani armati, arreso e impotente.

Gaia Cesare: 'Io, kamikaze mancato vi racconto l'orrore della vita sotto il regime'

Atai Walimohammad, dall'Afghanistan a Rodi Garganico: la storia
Walimohammad Atai

Ricorda ancora di quando, da bambino, la sua gioia più grande, come quella dei coetanei, era usare le pietre che aveva raccolto con cura, scelte una per una, per partecipare alle lapidazioni in strada, in un villaggio del distretto di Goshta, est di Kabul, Afghanistan. «Gli unici giocattoli che avevamo erano armi vere. La violenza permeava le nostre vite. Tutti i giorni vedevo persone frustate, picchiate a morte, impiccate». Non gli veniva nemmeno consentito di giocare con la sorella, «perché relazionarsi con persone del sesso opposto era peccato». Eppure Walimohammad Atai, classe 1996, oggi è un educatore pedagogico in una comunità per minori nel nostro Paese, traduttore e interprete giurato per i nostri tribunali, che ha raccontato la sua storia nel libro «Il martire mancato» (edito da Multimage), un racconto puntiglioso e agghiacciante della vita sotto i talebani, anche dopo l'arrivo delle forze occidentali. Una storia a lieto fine, la sua, dopo la fuga a 15 anni via Iran e Turchia, e l'arrivo a 17 in Italia, dove ottiene lo status di rifugiato politico.

Quando decise di ribellarsi ai talebani? «Quando scoprii la storia di mio padre, un medico che i talebani li ha contrastati politicamente e per questo è finito impiccato, il corpo fatto a pezzi e chiuso in un sacco».

La storia di suo padre le era stata tenuta nascosta? «Sì, da mia madre e mio zio materno, che era invece un comandante talebano. Furono loro a farmi frequentare due scuole coraniche. Poi venni reclutato da un centro di addestramento per kamikaze, in Afghanistan e poi in Pakistan».

Volevano che dedicasse la sua vita alla guerra santa e diventasse un martire? «Sì, ce n'era uno in ogni famiglia del mio villaggio. Io ero stato scelto, insieme a quattro ragazzi più svegli e attivi, da un gruppo di arabi arrivati apposta. Ero incaricato di costruire bombe. Ma tutto cambiò quando scoprii da mia nonna paterna che mio padre era stato ucciso dalle persone che erano con me in madrasa».

Che fece allora? «Con l'aiuto della famiglia paterna, istruita e illuminata, imparai inglese e informatica e cominciai a insegnarli ai coetanei. I soldati americani ci aiutarono, procurando penne e sedie».

Gli integralisti la presero subito di mira? «Ci fu subito un attentato, con una bomba in cui due miei studenti furono uccisi».

Lei come si salvò? «Ero in bici a comprare del latte. Sentii il boato».

Cosa le insegnavano In madrasa? «Che siamo ospiti in questo mondo e dobbiamo fare quello che vuole Allah, uccidere gli infedeli e fare la jihad per andare in paradiso».

E' vero che dicevano: «Le donne devono stare solo in casa o nella tomba»? «Certo. E nulla è cambiato. Sono peggio del '96, hanno solo imparato a parlare ai media. Le donne per loro non sono esseri umani, sono spazzatura, bestie riproduttive».

Che reazione le fa il ritorno degli integralisti e il ritiro americano? «Sono andati distrutti vent'anni di lavoro. Tutto è stato trasformato in macerie in cinque giorni. Come fosse stato un gioco. L'Occidente ci ha tradito. A questo punto poteva fare anche prima l'accordo con i talebani. Hanno perso miliardi di dollari, le vite dei loro soldati e quelle degli afghani. Per rimetterci nelle mani dei terroristi».

Le cose erano cambiate in questi anni? Un'illusione? «Qualcosa era cambiato. È nato un nazionalismo, gli afghani vivevano sotto una bandiera, molte donne nelle città studiavano e lavoravano, c'era di nuovo una rete commerciale, stavamo diventando a fatica un Paese riconosciuto».

Tutto è perduto? O vede speranza in quei bimbi salvati all'aeroporto? «Se americani e alleati vogliono salvarci, mettano in sicurezza il nostro Paese. Altrimenti anche quei bambini sono solo armi di propaganda».

Da dove può ripartire l'Afghanistan martoriato? «L'istruzione è diventata una questione di vita o di morte per il mio popolo».

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