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Il Giornale Rassegna Stampa
18.05.2021 L'odio contro Israele e gli ebrei è il vero ostacolo alla pace
Due analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 18 maggio 2021
Pagina: 1
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Quell'odio contro gli ebrei che non passa mai - Che cosa serve per arrivare a una tregua»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 18/05/2021, a pag. 1 con i titoli "Quell'odio contro gli ebrei che non passa mai", "Che cosa serve per arrivare a una tregua" due analisi di Fiamma Nirenstein.

A destra: la manifestazione contro Israele e a favore del terrorismo di Hamas a Milano

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Fiamma Nirenstein

"Quell'odio contro gli ebrei che non passa mai"

Ditemi dunque, che cosa dovrebbe fare Israele? Voi che marciate nelle strade italiane, o inglesi o tedesche con le bandiere palestinesi e urlate slogan che accusano Israele di crimini contro l'umanità, di essere uno Stato d'apartheid, di pulizia etnica, voi che difendete Hamas a Parigi, a Berlino, a Londra e a Roma, che  inondate Israele di accuse  storiche e fattuali sui social media; che, persino, con demenziali teorie della cospirazione suggerite che Netanyahu, diabolico principe del male, avrebbe scatenato la guerra d'accordo con Hamas per ragioni di potere... Voi che finché i terroristi bombardano le case, i kibbutz, le scuole, Gerusalemme e Tel Aviv non uscite per strada per denunciare i palesi crimini contro l'umanità contenuti nel prendere di mira la popolazione civile; voi che quando il terrorismo suicida fece duemila morti nelle strade di Israele con la Seconda Intifada trovaste il tempo, paradossalmente, solo per condannare, anche allora, il diritto alla difesa contro l'omicidio di massa della gente d'Israele che saltava per aria negli autobus e nelle pizzerie... Ditemi se avete un'idea su come fermare Hamas che non prendere di mira le strutture e gli uomini di chi progetta e opera i bombardamenti. Hamas ha attaccato Israele senza nessuna ragione, un altro round in cui, ormai liberata da 16 anni di qualsiasi presenza israeliana, tortura l'intera popolazione civile prendendola a caso di mira, senza altro obiettivo che quello di terrorizzare, uccidere, distruggere. Lo fa tenendo in ostaggio la sua popolazione: due milioni di persone. Quando la usa come scudi umani, tuttavia sta in quel momento lanciando missili o organizzandosi per farlo: se l'esercito israeliano si ferma proprio in quel momento davanti alla guerra asimmetrica, il missile di Hamas parte. E quale Governo, quale esercito, ha il diritto di decidere di abbandonarsi all'eventualità che quel missile colpisca i suoi concittadini? Sarebbe pura complicità con il crimine. La verità è nella semplicità di questa vicenda e la sua manipolazione ha un carattere ideologico, è frutto di un pregiudizio contro lo Stato d'Israele come stato delegittimato, indegno di esistere e di battersi per la sua esistenza. È antisemitismo. Proprio come gli ebrei erano considerati indegni di esistere e di battersi per la propria esistenza e quella dei propri figli. Nessun Paese ha dovuto sopportare più a lungo, con pazienza e ritegno pur avendo grandi potenzialità belliche, senza perdere la propria umanità, i colpi che il terrore gli ha inflitto. La scelta ideologica di Hamas è definitiva, la stessa di Haj Amin al Husseini, l'amico di Hitler, negli anni ‘30. Si è abbeverata nei decenni a tutte le fonti dell'antisemitismo: quello religioso, con le teorie jihadiste del martirio, quelle naziste della inferiorità e dannosità degli ebrei, quella comunista dell'imperialismo e infine quella, convergente, del rovesciamento dei diritti umani, la paradossale scelta di sostenere il terrorismo come fronte di una lotta di liberazione. Israele ha opposto in prima linea uno scudo mondiale di protezione anche morale con la forza della legge, della moralità delle armi, e di una società aperta. La disputa territoriale coi palestinesi è un elemento minore rispetto al morbo ideologico che fa di Israele un rappresentante del colonialismo, un "oppressore" abominevole. Se si trattasse di scontro territoriale, l'ONU non si baloccherebbe dal 1975 con risoluzioni che ripropongono l'idea che "sionismo è uguale razzismo". È vero il contrario: il sionismo di un qualsiasi israeliano, e anche di Netanyahu che da ignorante presuntuoso, un ministro e vicepresidente del PD, Provenzano, accusa di essere un reazionario, è fiducia nella apertura della propria casa, come provano le tante offerte di pace sempre rifiutate dai palestinesi, nella democrazia così costosa… Ma è anche identificazione chiara del nemico che ti vuole uccidere. Delegittimando Israele dal suo diritti alla difesa, si sottintende la legittimità, per con verso, dell'eliminazione del Popolo ebraico. Israele deve  fermare Hamas, anche se la guerra asimmetrica è terribile e dolorosa: fingere di non capirne il significato evidente significa alla fine condividere almeno in un angolo del proprio cuore l'idea che nella parola ebreo esista un contenuto di illegittimità, specie nel momento dell'autodifesa contro l'aggressione e la violenza armata.

"Che cosa serve per arrivare a una tregua"


Benjamin Netanyahu

Secondo una logica che può rovesciarsi ad ogni minuto per qualche evento drammatico (e ne accadono) vedremo, ma lo diciamo con cautela, un cessate il fuoco nei prossimi due o tre giorni: avverrà senza una foto della vittoria da nessuna parte, con una sconfitta non ammessa da parte di Hamas, e solo quando Israele potrà garantire un sostanziale periodo di pace. Un cessate il fuoco, con conseguente tregua ideologica: fa bene che alla televisione israeliana ad ogni interruzione dalle notizie di rovine e missili, fianco a fianco, in camice, infermieri e medici arabi e ebrei, tutti israeliani, appaiono ripetendo : insieme noi salviamo la vita. E dopo, vediamo altri negli uffici, nelle banche, nei negozi, come siamo abituati qui a Gerusalemme e nel resto di Israele a vedere dal vivo: insieme, viviamo. Stessi diritti, stessa rappresentatività nelle istituzioni, stesse difficoltà in un Paese speciale e vivo, ma difficile, caldo di temperatura e anche, adesso di missili. Ognuno di loro, ognuno di noi, si domanda in queste ore quando questo scontro con Hamas e quello sulla sua scia si interromperà. Nessuno spera che finisca per sempre: la chiamata alle armi islamista contro il popolo ebraico è cominciata da settant’anni, quando tornava a casa da un esilio forzato e rovinoso, popolo indigeno irriconosciuto. Questo ne è un capitolo. Questo cessate il fuoco non risponderà a domande ideologiche, né alle pressioni internazionali. Si avrà quando Israele potrà promettere ai suoi cittadini, alle famiglie del sud tormentato ogni giorno ma anche a quelle di Gerusalemme e di Tel Aviv, che non dovranno più strappare dal letto i bambini e correre nel rifugio, che le loro case non saranno distrutte, che sarà possibile andare a scuola o al lavoro. Questo è l'obiettivo, tutto il resto sono sciocchezze, il dominio delle Moschee, la pulizia etnica, l'apartheid... Ma nella verità dei fatti, si tratta di togliere a Hamas la possibilità di aggredire Israele, e i fatti non escludono una rapida conclusione. In queste ore Hamas starebbe cercando mediazioni segrete tramite l'Egitto e il Qatar per concludere uno scontro che tuttavia aveva preparato molto a lungo e che ha lanciato solo quando ha intravisto una vera possibilità incendiaria, ma che, a questo nono giorno di guerra, si può dire non gli vada a segno. I segni sono chiari anche se ancora bombarda i civili israeliani e riesce a ferire e distruggere: infatti la sua ricchezza è quella della quantità e la differenziazione di missili ancora nascosti in tutta la Striscia fra cui il grosso "Aiyash", che raggiunge i 250 chilometri di gittata, autoprodotto, di cui però si sono visti pochi esemplari. Tuttavia la svariata dislocazione dei razzi e missili e dei centri decisionali di lancio negli edifici civili obbliga l'attacco dall'aria dell'IDF, per altro sempre annunciato ai cittadini perché escano dalle case. Se guardiamo alla prima sconfitta di Hamas, oltre al crollo degli edifici che contengono arsenali e addetti, essa consiste in Kipat Barzel, il sistema di difesa antimissile di Israele, che difende dai lanci per il 90 per cento; Hamas ha studiato tutti i modi per superarlo, per esempio decidendo per molti missili a pioggia invece che uno per volta, ma il sistema resta sicurissimo, come l'ampia rete di bunker domestici. Mentre Hamas ha colpito per l'inaccuratezza i suoi, inclusi bambini e civili, dentro il suo stesso territorio. In secondo luogo, Hamas è rimasta annichilita dalla distruzione dall'aria di 15 chilometri di quella che viene detta la "metro", ovvero la rete di gallerie sotterranee, la sua vera ricchezza strategica, destinata a contenere armi, officine, uomini, ingegneri e a garantire l'uscita degli attacchi terroristici, scopo strategico di Hamas. È la strada di uscita verso Israele che ora non esiste più in gran parte. Non solo leader e tecnici, tesori nascosti e strutture di cemento da milioni di dollari sono stati cancellati, ma il segnale che i servizi segreti israeliani hanno le idee chiare su dove colpire fa capire che la struttura in cui si è investita gran parte dei 25 milioni di dollari al mese che versa il Qatar a Gaza, e dove si nascondono parte le armi iraniane è tutta sotto tiro e molto più fragile del previsto. Al terzo punto, l'eliminazione di numerosi alti ufficiali sia di Hamas che della Jihad islamica è fondamentale, e Israele li persegue ovunque si nascondano; alcun superboss come Ismail Hanje sono all'estero per proteggersi, mentre all'interno, Muhammed Deif, e Yahya Sinwar, nascosti e costretti a spostarsi continuamente hanno serie difficoltà a comunicare fra di loro, e quindi a dare ordini alle milizie. Hamas ha cercato, e seguita a farlo, di segnalare dispone di una vastissima rete di guerra santa, dagli arabi israeliani alla Giordania da cui anche ieri hanno cercato di penetrare alcuni terroristi, al Libano (da cui Hezbollah ha già tentato almeno una irruzione) alla Siria (da cui si spara) e soprattutto alla Autorità palestinese. Il rischio maggiore è il popolo di Abu Mazen, mentre il mondo arabo israeliano ha aperto una discussione in cui si vede che si rende ben conto che la sua appartenenza a Israele è anche un vantaggio storico fondamentale. Infatti oggi è stato proclamato da Fatah, nella speranza di recuperare consenso in un mondo ormai dominato da Hamas, uno sciopero generale. Questo può indurre grandi violenze e attacchi terroristici a raffica: fino ad ora questa tecnica non ha funzionato. Non è un caso che l'area mediorientale abbia nei mesi scorsi costruito quei Patti d'Abramo che hanno tanto infuriato i palestinesi, e che però non hanno bloccato il processo. Una tregua esiste, non tutto è infuocato: l'altra, deve ancora venire.

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