Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 17/11/2023, a pag. 1, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo " 'La guerra non finirà con una cerimonia'. Parla Barnea, il re dei giornalisti israeliani".
Giulio Meotti
Roma. “Dal giorno uno, Israele ha due dilemmi: gli ostaggi, se sono la priorità numero uno o due, se fare un grande scambio o tanti piccoli scambi, e quale sarà il prezzo per il cessate il fuoco; e lo smantellamento di Hamas, la pressione internazionale”. Così al Foglio Nahum Barnea, il più famoso giornalista israeliano, veterano di Yedioth Ahronoth. “Ci sarà un parziale scambio di prigionieri e un cessate il fuoco. Stiamo avendo a che fare con un nemico crudele. Ora l’esercito ha il controllo del nord di Gaza, ma c’è un dilemma perché Hamas controlla centro e sud. Hanno perso la capitale ma non significa che non possano controllare la popolazione da Khan Yunis e Rafah”. I tempi della guerra. “L’esercito e Netanyahu parlano di un anno, ma non possiamo tenere i riservisti per più di qualche mese. Nove, forse. La guerra evolverà. Ho definito l’attacco del 7 ottobre come un domino”. “La situazione è cambiata drammaticamente, anche per 200mila israeliani che se ne sono andati dalle proprie case. E la situazione è cambiata anche con i paesi arabi moderati”. Veniamo ai fatti oltre la retorica. “In un primo momento, il governo aveva affermato che gli aiuti umanitari non sarebbero arrivati nella Striscia senza il rilascio degli ostaggi, poi ha aperto la porta agli aiuti umanitari e l’ha anche benedetta” continua al Foglio il giornalista israeliano Nahum Barnea. “Il governo aveva detto che non avrebbe accettato un cessate il fuoco, ora è d’accordo. Il governo aveva detto che non avrebbe permesso al carburante di entrare nella Striscia; poi approva la fornitura di 24 mila litri di carburante, con la motivazione che il carburante è necessario per consentire ai camion dell’Unrwa di portare aiuti ai rifugiati. L’esercito non ha dubbi che una parte del carburante raggiungerà Hamas. Ma è il prezzo per allentare la pressione della Casa Bianca, dell’Unione europea, dell’Egitto e delle organizzazioni internazionali. E l’esercito ha bisogno di molto tempo per fare quello che deve. Israele non ha linee rosse: si tracciano linee rosse, poi si attraversano e si traccia una nuova linea. Le linee rosse del governo sono come le onde del Mar di Galilea: salgono e scendono”. Che fare con Hamas? “Dobbiamo creare una situazione in cui Hamas non controllerà più la vita delle persone, israeliani o arabi. Hamas è parte della vita palestinese e sarà molto più difficile che smantellare l’Isis. L’idea non è uccidere ogni membro di Hamas”. Per ora non vediamo scenari simili in Cisgiordania. “Ma c’è un potenziale terribile e questa è la ragione per cui il governo dovrà fare ogni sforzo per non provocare nella regione. E non aprire un fronte”. Barnea non vede ragioni per celebrare. “Lo stato di Israele ne uscirà forte e torneremo a giorni migliori, come l’Italia dopo la Seconda guerra mondiale. Ma dovremo pagare un prezzo, incluso un prezzo per lo scambio degli ostaggi con i terroristi nelle carceri, senza consentire a Hamas di rifiorire”. L’esercito ha appena ottenuto un risultato operativo impressionante, che rappresenta una pietra miliare nella guerra. “Mi riferisco al modo in cui ha preso il controllo del complesso ospedaliero di al Shifa. Due settimane fa 30 mila richiedenti asilo affollavano la piazza del complesso. Un attacco al complesso si sarebbe concluso con un massacro: la morte dei bambini di Gaza, dei medici, dei malati, avrebbe privato Israele della sua restante legittimità nel mondo e avrebbe cancellato la memoria del massacro nei kibbutz. L’uccisione di civili da parte dell’esercito è meno perdonabile dell’uccisione di civili da parte degli shabab palestinesi. Quando le unità speciali hanno fatto irruzione nel complesso c’erano 1.700 persone. Tra coloro che si fingevano civili e sono fuggiti a sud, c’erano molti membri di Hamas. Il danno della loro fuga è lieve rispetto al danno che sarebbe stato causato da un massacro al Shifa, che avrebbe posto fine alla guerra. Al Shifa era considerata una struttura invulnerabile: prenderne il controllo aveva un valore simbolico. Ha dimostrato che l’esercito può raggiungere qualsiasi punto della Striscia di Gaza e, cosa più importante, il luogo è stato preso senza che un solo soldato sia rimasto ferito e senza che un solo paziente o membro dello staff sia rimasto ferito. Ora arriva la delusione: dove sono i capi? Dov’è la battaglia? Dove sono gli Hamasnik con la bandiera bianca? Ci vorrà molto tempo e non finirà con una cerimonia della vittoria, con una bandiera”.
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