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Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 20/09/2022, a pag. 1, con il titolo "Il mondo in una stanza", l'analisi di Paola Peduzzi. Paola Peduzzi Volodymyr Zelensky Milano. Volodymyr Zelensky parlerà all’Assemblea generale delle Nazioni Unite che si apre oggi a New York, collegato da Kyiv naturalmente. La Russia ha cercato in ogni modo di boicottare il discorso del presidente ucraino, appigliandosi al fatto che, dopo due anni di Assemblea da remoto, quest’anno c’è la regola per i leader dei 199 paesi dell’Onu di presenziare di persona. Venerdì è stata votata a grande maggioranza una mozione per consentire a Zelensky di intervenire: 19 paesi si sono astenuti, tra cui la Cina, e 7 hanno votato contro – Russia, Siria, Corea del nord, Bielorussia, Cuba, Eritrea e Nicaragua. Per Zelensky e i suoi alleati questo discorso è molto rilevante. A Izyum, la città del nord-est liberata dall’esercito ucraino, ci vorranno ancora due settimane per fare un resoconto accurato dell’orrore commesso dai russi. Ma le immagini e i racconti che ci sono arrivati mostrano che anche lì, come in molte altre parti dell’Ucraina che hanno subìto l’occupazione russa, sono stati commessi dei crimini di guerra. Questo dirà e ribadirà Zelensky – il suo discorso è previsto per mercoledì – davanti al mondo riunito in una stanza: stiamo raccogliendo le prove dei crimini commessi dall’esercito di Vladimir Putin, e la comunità internazionale, tutta intera, non soltanto non potrà voltarsi dall’altra parte, ma dovrà prendere delle decisioni su come punire questi crimini. Quel che sta facendo la Russia in Ucraina è “una barbarie”, ha detto il presidente americano, Joe Biden, che ha ritardato il suo intervento all’Onu di un giorno per partecipare al funerale della regina (tradizione vuole che l’America parli per seconda, dopo il Brasile che apre sempre l’Assemblea perché fu il paese che si offrì volontario la prima volta, quando nessuno voleva cominciare). La Russia nega, come fa sempre, dice che le prove non esistono, che gli orrori di cui “si lamenta” l’Ucraina sono falsi: sta preparando la risposta a quelle che considera “le accuse infondate” dell’occidente (Putin non sarà a New York, è stato concesso un visto al suo ministro degli Esteri, Sergei Lavrov). Non è la prima volta che nel consesso onusiano c’è un confronto diretto con la Russia e i suoi crimini, è accaduto in passato con la Siria (dove lo scempio russo continua), ma per l’alleanza contro Mosca non si tratta soltanto di dover stabilire i dettagli delle barbarie, bensì di definire i prossimi passi della propria strategia, ora che sul campo la forza dei russi è compromessa e ora che è ritornato forte il timore che, in difficoltà, Putin possa ricorrere all’arma nucleare. “Don’t don’t don’t”, ha scandito Biden rivolgendosi a Mosca durante l’intervista a “60 Minutes” domenica sera, “cambierebbe la faccia della guerra in un modo che non abbiamo più visto dalla Seconda guerra mondiale”. Il presidente americano ha già detto in passato che un’escalation del genere porterebbe a conseguenze gravi, e il capo di stato maggiore americano, il generale Mark Milley, ha ribadito: “La guerra non sta andando troppo bene per la Russia in questo momento. Quindi spetta a tutti noi mantenere alta l’allerta e stare pronti”. L’America e i suoi alleati si devono preparare anche a un’altra eventualità molto più concreta ora di quanto non lo fosse soltanto dieci giorni fa: la vittoria dell’Ucraina. Sembra strano che, dopo sei mesi che la diplomazia occidentale ripete di voler fare tutto il possibile perché Mosca non vinca la guerra in Ucraina, non ci sia una reale consapevolezza delle conseguenze di una sconfitta dei russi. Kori Schake, direttrice del dipartimento Difesa e Affari esteri dell’American Enterprise Institute, scrive sull’Atlantic: “Ora che cominciamo a pensare a un’Ucraina del dopo guerra, non dobbiamo permettere che le debolezze dell’Ucraina prima della guerra limitino la nostra consapevolezza su chi sono gli ucraini e di che cosa sono capaci”. In questa settimana di incontri e di faccia a faccia con l’orrore russo, Biden cercherà di rafforzare la determinazione occidentale e di convincere le nazioni che sono rimaste (nel migliore dei casi) un passo indietro che l’esito della guerra conta anche per loro.
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