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Il Foglio Rassegna Stampa
19.07.2022 La guerra delle spie russe a Bruxelles
Analisi di Giulia Pompili

Testata: Il Foglio
Data: 19 luglio 2022
Pagina: 1
Autore: Giulia Pompili
Titolo: «Sotto copertura»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 19/07/2022, a pag.1, con il titolo "Sotto copertura" l'analisi di Giulia Pompili.

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Giulia Pompili

Por que Bruxelas ganhou fama de capital europeia da espionagem?

Roma. Alexei Kuksov era il rappresentante del commercio all’ambasciata russa di Bruxelles. Era il diplomatico – con passaporto diplomatico e valigetta diplomatica – che curava i rapporti commerciali della Russia con il Belgio, ma anche con i rappresentanti dell’establishment europeo nella capitale dell’Unione. L’agenzia del controspionaggio belga ha scoperto che Alexei Kuksov era in realtà un membro dell’intelligence militare russa, il Gru. E si era formato nell’unità 54726, che poi è stata trasformata nel Centro di ricerca sul potenziale militare dei paesi stranieri. Kuksov è una spia. Arseny Nedyak, 44 anni, faceva il consigliere diplomatico alla rappresentanza permanente della Federazione russa all’Unione europea, a Bruxelles. Ma in realtà è un operativo – col grado di tenente colonnello – dell’Svr, l’agenzia di intelligence per l’estero del Cremlino. Anche Nedyak è una spia e il suo ruolo a Bruxelles era quello di orchestrare e dirigere, direttamente dal quartier generale delle istituzioni europee, la propaganda anti Ue e anti Ucraina, supervisionando i programmi di propaganda su Sputnik e Russia Today. Sia Kuksov sia Nedyak sono stati espulsi dal Belgio all’inizio di aprile, quando il governo belga e il Servizio europeo per l’azione esterna guidato da Josep Borrell hanno dichiarato persona non grata rispettivamente 21 e 19 rappresentanti russi dalle sedi diplomatiche di Bruxelles. A rivelare l’identità degli espulsi, il loro background e quindi l’importanza delle operazioni messe in atto dal Cremlino all’interno delle istituzioni europee sono in questi giorni EUobserver e Dossier Center, l’importante ong londinese che fa parte della Open Russia Foundation del dissidente russo Mikhail Khodorkovsky. Tra marzo e aprile, cioè nei mesi successivi all’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, decine di diplomatici russi sono stati espulsi dai paesi dell’Unione europea. L’ultima è stata la Bulgaria, che un paio di settimane fa ha espulso settanta dipendenti dell’ambasciata della Federazione russa a Sofia. Il 5 aprile scorso l’Italia aveva fatto lo stesso con trenta diplomatici.

In totale, si stima che sin dal 24 febbraio scorso siano quattrocento i diplomatici del Cremlino che sono stati allontanati o dichiarati persona non grata. Ma le espulsioni promosse dai governi dell’Unione non sono state soltanto una reazione contro i crimini di guerra e le azioni terroristiche che Mosca sta compiendo sul suolo ucraino. Non solo almeno. C’è una ragione ulteriore, e più politica, che riguarda la sovrapposizione tra il ruolo diplomatico e quello di spia, una sovrapposizione che sono soprattutto i paesi autoritari a fare. A Bruxelles tutti sanno chi sono le spie, ma fino a un po’ di tempo fa si parlava spesso di una specie di accordo di non belligeranza: io chiudo un occhio sui tuoi membri dell’intelligence sotto copertura, tu fai lo stesso con i nostri, in modo che in caso di emergenza sappiamo esattamente a chi rivolgerci e su chi fare pressioni (i cosiddetti “canali informali”). Una fonte del Foglio a Bruxelles spiega però che ultimamente, già prima della guerra, la situazione era degenerata e diventata insostenibile con i russi e anche con i cinesi. C’erano stati vari allarmi sulla possibile fuga di notizie e sulla strategia di raccolta informazioni, Bruxelles era stata identificata più volte come il centro dell’intelligence internazionale. Politico la chiamò la capitale delle spie, con tanto di ristoranti preferiti da russi e cinesi da evitare per evitare le orecchie lunghe. Il 6 ottobre del 2021 il Belgio aveva espulso otto membri della rappresentanza diplomatica russa presso la Nato il cui accreditamento era stato revocato per spionaggio. Tra di loro c’era anche l’ex traduttore personale del ministro della Difesa Sergei Shoigu, Alexander Smushko, un volto noto nei corridoi del quartier generale della Nato a Bruxelles. In risposta, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov aveva annunciato la chiusura di tutti i canali di cooperazione tra la Nato e la Russia (i pochi rimasti dopo l’invasione del 2014). Oggi però le necessità sono completamente cambiate e c’è una nuova consapevolezza sulla necessità di mettere in sicurezza i luoghi dove si prendono le decisioni: forse anche per questo circola da qualche giorno il progetto della costruzione, dentro al Consiglio dell’Ue, di una stanza di massima sicurezza – un bunker – che secondo chi ha visionato il documento dovrebbe costare circa otto milioni di euro. Non solo. Dopo l’inizio della guerra la Commissione speciale sulle interferenze straniere del Parlamento europeo aveva chiesto alle autorità belghe di potenziare le operazioni di controspionaggio, per prevenire le infiltrazioni all’interno delle istituzioni Ue, e si ricomincia a parlare della possibilità di stabilire un’unità d’intelligence europea specializzata nel controspionaggio. Nel frattempo, nel suo report annuale, l’Europol prevede che ci sarà una intensificazione delle campagne di disinformazione che potrebbero finire per fomentare la violenza e finanziare attività illecite. Il progetto russo di dividere l’Ue non è finito.

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