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Il Foglio Rassegna Stampa
18.06.2022 Ucraina e Moldavia sono un passo più vicine a Bruxelles
Analisi di David Carretta

Testata: Il Foglio
Data: 18 giugno 2022
Pagina: 1
Autore: David Carretta
Titolo: «Ucraina e Moldavia sono un passo più vicine a Bruxelles»

Riprendiamo dal FOGLIO  di oggi, 18/06/2022, a pag. 1, con il titolo "Ucraina e Moldavia sono un passo più vicine a Bruxelles", il commento di David Carretta.

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David Carretta


Bruxelles. “Gli ucraini sono pronti a morire per la prospettiva europea. Vogliamo che vivano con noi il sogno europeo”, ha detto ieri Ursula von der Leyen, annunciando il parere positivo della Commissione alla concessione dello status di paese candidato per l’Ucraina e la Moldavia. La decisione spetterà ai capi di stato e di governo nel Consiglio europeo del 23 e 24 giugno. Serve l’unanimità ma, a uno a uno, anche gli stati membri più restii ad aprire le porte a un paese in guerra si stanno convincendo. E’ “una decisione storica”, ha detto Volodymyr Zelensky. Chi lo avrebbe mai immaginato il 28 febbraio, quando il presidente ucraino firmò la richiesta di adesione davanti ai sacchi di sabbia al pian terreno del suo palazzo, mentre la periferia di Kyiv era assediata dai soldati russi e l’Ucraina sembrava sul punto di cadere? “Il primo passo sul percorso per l’adesione all’Ue”, ha spiegato Zelensky, “sicuramente ci avvicinerà alla nostra vittoria” nella guerra di aggressione della Russia. Il parere positivo della Commissione allo status di candidato per l’Ucraina è un incoraggiamento alla resistenza contro la Russia e ha un forte valore simbolico. La guerra russa alle aspirazioni europee ucraine ha origini nel 2013, quando scoppiò la rivolta di Euromaidan per il rifiuto del presidente filorusso dell’epoca, Viktor Yanukovich, di firmare l’accordo di associazione con l’Ue a seguito di un ordine diretto del Cremlino. I manifestanti uccisi dai cecchini a Maidan erano avvolti nella bandiera europea. L’Ue inizialmente reagì con entusiasmo. Ma, al rovesciamento di Yanukovich, nel 2014 Vladimir Putin rispose prima con l’occupazione della Crimea da parte degli omini verdi (e l’annessione), poi con l’intervento militare a sostegno delle milizie prorusse di Luhansk e Donetsk. Il conflitto del Donbas ha permesso all’Ue di dimenticarsi delle aspirazioni europee degli ucraini per otto anni. E’ stato Putin a riportarle nel cuore dell’agenda lanciando la sua invasione il 24 febbraio. E’ stata l’inaspettata resistenza di Zelensky e del suo popolo a imporre la concessione dello status di candidato. Il 28 febbraio, quando il presidente ucraino ha inviato la richiesta di adesione, nemmeno Polonia e Baltici (i principali sponsor) ci credevano davvero. A marzo è arrivato il sostegno del primo paese fondatore: “L’Italia vuole l’Ucraina nell’Ue”, ha detto Mario Draghi in Parlamento.

I capi di stato e di governo, che spiegavano che gli ucraini si battevano non solo per il loro paese, ma anche per la democrazia e i valori europei, hanno dovuto dare concretezza alle loro parole. Convincerli non è stato semplice. Emmanuel Macron e Olaf Scholz sono rimasti nel campo dei contrari, fino alla loro visita a Kyiv di giovedì, insieme a Draghi. Il presidente francese diceva che era meglio invitare l’Ucraina in una “Comunità politica europea”. Il cancelliere tedesco si nascondeva dietro la necessità di dare priorità ai Balcani. Oltre a Francia e Germania, c’era un blocco risolutamente contrario: Paesi Bassi, Austria, Danimarca e Portogallo. Per superare le resistenze, la Commissione ha dovuto mettere delle “condizionalità” allo status di candidato dell’Ucraina. Per avviare i negoziati di adesione, in un processo che durerà molti anni, Kyiv dovrà rafforzare l’indipendenza della giustizia e gli organismi anticorruzione, attuare la “de-oligarchizzazione”, adottare la legge per la protezione delle minoranze. “Molto è stato fatto, ma rimane un importante lavoro”, ha detto von der Leyen. Nel suo parere, la Commissione insiste sulla “reversibilità” del processo. Se l’Ucraina farà passi indietro, “il Consiglio europeo potrebbe decidere di revocare lo status di candidato”, spiega al Foglio un funzionario. La condizionalità e la reversibilità sono “un lucchetto alla porta d’ingresso”, dice un diplomatico di uno dei paesi titubanti. Ma, salvo sorprese, dovrebbe bastare per il via libera al Consiglio europeo, dove serve l’unanimità. Il premier olandese, Mark Rutte, ieri ha annunciato che dirà “sì”. “Abbiamo tenuto conto di ciò che sta accadendo in Europa e nel mondo”, ha spiegato il suo ministro degli Esteri, Wopke Hoekstra. La dimensione geopolitica è prevalsa anche per lo status di candidato alla Moldavia, che rischia di essere trascinata nella guerra da Putin. Per la Georgia, la Commissione raccomanda di riconoscere solo le “aspirazioni europee” perché la politica interna è troppo polarizzata. Ma rimane il fatto che la guerra di Putin e la resistenza di Zelensky hanno ridato all’Ue la consapevolezza di essere un faro di democrazia, libertà e prosperità.

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