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Il Foglio Rassegna Stampa
11.06.2022 L’occidente non si farà umiliare da Putin
Commento di Claudio Cerasa

Testata: Il Foglio
Data: 11 giugno 2022
Pagina: 1
Autore: Claudio Cerasa
Titolo: «'No, l’Occidente non si farà umiliare da Putin'»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 11/06/2022, a pag. 1, con il titolo 'No, l’Occidente non si farà umiliare da Putin' il commento del direttore Claudio Cerasa.

ClaudioCerasa
Claudio Cerasa

The possible scenarios of EU, US and UK sanctions against Russia

Dice Lorenzo Guerini, ministro della Difesa del governo italiano, che se c’è un problema di umiliazione, nel conflitto in Ucraina, quel problema riguarda unicamente un tema, un mondo, un concetto. Uno e solo uno: il popolo ucraino. Guerini, in un colloquio organizzato con il Foglio in occasione della Festa dell’Innovazione che si aprirà questa mattina a Venezia al Teatro Goldoni, usa parole chiare, nette, coraggiose per ricordare che per quanto la guerra possa essere logorante, per quanto il conflitto possa essere usurante, per quanto la difesa della democrazia possa richiedere un costo ci sono alcuni paletti, fissati sul terreno, che non possono essere mai dimenticati. “L’aggressione di Putin all’Ucraina – dice Guerini – deve essere sempre inquadrata per quello che è: una gravissima violazione del diritto internazionale, una minaccia all’architettura di sicurezza europea. Per questo, sostenere la resistenza ucraina, oggi, significa difendere i princìpi del diritto internazionale e significa consentire all’Ucraina di presentarsi, quando ci sarà l’opportunità, a un tavolo negoziale in una posizione non subalterna, per impostare, quando sarà, un negoziato che sia equo, che sia giusto”.

Lorenzo Guerini — Wikipédia
Lorenzo Guerini

Da questo punto di vista, ragiona ancora Guerini, è evidente che “il tema dell’umiliazione è un tema ricorrente nelle fasi successive ai conflitti: ci si richiama all’esito della Prima guerra mondiale e ai trattati di pace conseguenti. Ma nel momento in cui ci sono la violazione di un principio e la scelta della comunità internazionale di agire senza intervenire direttamente, ma sostenendo l’eroica resistenza ucraina, io credo che il tema dell’umiliazione qui non c’entri molto. Piuttosto, dobbiamo impegnarci ancora a lungo, perché questo sostegno si accompagni anche a tutti gli altri sforzi per arrivare a soluzioni negoziali: le due cose non si escludono, stanno in piedi insieme”. Guerini, ragionando sulle innovazioni inevitabili innescate dalla gestione del conflitto, sostiene che una grande innovazione, o se volete una grande evoluzione, sia stata la prova di forza offerta in questi mesi dalla comunità internazionale: “I paesi che hanno deciso di sostenere la resistenza ucraina hanno fatto e stanno facendo molto. E’ evidente che la dinamica degli aiuti ha seguìto anche la dinamica delle operazioni militari, con tutte le esigenze che queste operazioni hanno comportato. Lo abbiamo fatto all’interno di alcuni caveat che ci siamo dati: il nostro Parlamento ha chiesto al governo di sostenere la resistenza ucraina, ma ha connotato questo impegno in chiave difensiva, per consentire all’Ucraina di difendersi da un’aggressione. E dentro questa cornice noi siamo rimasti. Siamo di fronte a una situazione sul terreno dal punto di vista militare molto complessa, con un conflitto che si è sviluppato anche con punte di altissima intensità, con l’utilizzo massiccio di strumenti e di armi convenzionali. Io – continua Guerini – non so se tutto ciò finirà presto. L’auspicio che noi tutti facciamo è che si possa concludere in tempi rapidi e il conflitto possa lasciare il posto alla pace. Ma penso che per una serie di questioni ci dovremo confrontare con un quadro complesso ancora per molto tempo”. In questo scenario, sostiene Guerini, a proposito di innovazioni prodotte dalla guerra, si può dire che Putin “abbia preso delle decisioni scellerate basandosi su alcune convinzioni errate: la crisi dell’occidente, la crisi della Nato”. Il drammatico epilogo dei vent’anni di guerra in Afghanistan, sostiene Guerini, “poteva dare l’idea di un occidente indebolito nelle sue strutture e nella relazione transatlantica, ma questo calcolo si è dimostrato sbagliato. Putin voleva meno Nato e ora si trova più Nato: pensate al caso della Svezia e della Finlandia, che oggi chiedono di aderire. Putin puntava su un’Europa divisa negli interessi contrapposti tra gli stati, anche dal punto di vista del rapporto dei paesi europei con la dimensione energetica, e l’Europa invece si è mostrata coesa. Certo, la coesione non è semplice, è faticosa. Deve confrontarsi con gli interessi di paesi diversi tra di loro. Ma io penso che c’è stata fino a questo momento l’espressione di una grande responsabilità da parte dell’Europa, di un grande coraggio e di una grande determinazione. E’ chiaro che quando questo impegno si confronta su periodi non brevi o medio-lunghi, c’è l’esigenza di rafforzarlo. C’è l’esigenza di confrontare questo impegno con i risultati. C’è l’esigenza di spiegare alle opinioni pubbliche, di attenuare le conseguenze negative di alcune decisioni. Sappiamo che questo è difficile e che ha comportato e sta comportando sacrifici. Ma io penso che l’Europa, l’occidente, la comunità internazionale dei paesi che hanno deciso di condannare l’aggressione della Russia all’Ucraina stiano mostrando la forza necessaria”. Nel colloquio con il Foglio, che sarà disponibile questa mattina in formato integrale al Teatro Goldoni di Venezia e sul nostro sito, Guerini accetta anche di discutere di un tema complesso che riguarda la linea sottile che esiste tra scommettere sulla pace e scommettere sul pacifismo. La prima la si persegue difendendosi. La seconda la si persegue disarmandosi. “Penso – dice Guerini – che se vuoi la pace devi dimostrare di volerla difendere e quindi devi saperti confrontare con il contesto e con i fatti ed essere molto chiaro quando ci sono situazioni come quelle che stiamo affrontando. Quando ci sono un paese aggressore e uno aggredito, la comunità internazionale e l’Italia, anche in relazione ai princìpi della Carta costitutiva delle Nazioni Unite, non possono che stare dalla parte dell’aggredito, lavorando però perché vi sia anche la possibilità di arrivare a uno sbocco negoziale che porti poi alla cessazione delle ostilità e alla realizzazione di una pace solida e giusta. Dopo di che, con questi princìpi e queste convinzioni che in me sono molto profonde, spero e auspico e lavoro per fare in modo che vi sia un dibattito vero nel nostro paese, anche su questi temi. La nostra ricchezza è la possibilità di confrontarci con opinioni diverse anche molto critiche, molto distanti da quelle che ciascuno può avere. Questa è la bellezza della democrazia e credo che dobbiamo essere tutti molto equilibrati e molto attenti, anche da questo punto di vista”.

L’aggressione in Ucraina ha spinto i paesi della Nato ad aumentare il proprio impegno nella Difesa, aumentando la quota di investimenti destinata alle spese militari. Si è parlato molto del quanto, in questi mesi, del 2 per cento del pil, ma si è parlato poco del come: a che servono questi investimenti in più? “Il quadro con cui ci confrontiamo – dice Guerini – è un contesto geopolitico molto complesso e con minacce consistenti con le quali ci dobbiamo confrontare ogni giorno. Questo comporta l’esigenza di fare delle scelte. Scelte che derivano dalla nostra collocazione, dal nostro posizionamento nel sistema delle alleanze, dagli impegni che abbiamo assunto nelle sedi internazionali e che l’Italia vuole portare avanti perché rispondono innanzitutto a un criterio, a un principio di credibilità che nelle relazioni internazionali è fondamentale. Su questo si giudica un paese, la sua affidabilità, la sua capacità di essere coerente con le scelte che insieme ad altri ha sottoscritto. E nel contempo dobbiamo confrontarci con un quadro di esigenze che si è modificato nel corso degli anni. Se guardiamo al nostro strumento militare, noi abbiamo alcune lacune che devono essere colmate. Abbiamo alle spalle anni di basso finanziamento, di finanziamenti a singhiozzo che non hanno consentito di sviluppare programmi come devono essere sviluppati: con certezza di risorse, con possibilità di programmazione. E questo produce a volte spesa non buona, perché quando non c’è profondità finanziaria, quando non c’è certezza delle risorse, il rischio è di avviare programmi ma avere poi difficoltà a portarli avanti. E poi nel contesto geopolitico nel quale ci confrontiamo e con le minacce che questo comporta, c’è l’esigenza di alzare il livello della capacità e dell’efficienza dello strumento militare per poter difendere il paese, i suoi interessi, partecipare alla responsabilità della difesa collettiva delle alleanze a cui facciamo riferimento. Infine siamo dentro un passaggio che dal punto di vista tecnologico è molto importante. Oggi ci confrontiamo con domini nuovi che sono domini militari ma anche dello spazio, il dominio cyber. E questo richiede essere dentro quei domini, avere le tecnologie, avere sovranità tecnologica. Da quegli ambienti provengono minacce, e quei domini nuovi sono fondamentali anche per quelli tradizionali. Oggi non ci sono più operazioni di una singola forza armata, non ci sono più neanche operazioni interforze, ci sono ‘operazioni di dominio’, lo vediamo anche nei conflitti in corso. Quindi c’è l’esigenza di investire in queste tecnologie, di stare in questo salto tecnologico, altrimenti la nostra autonomia rischia di essere minata”. In questo contesto, nel nuovo contesto, un punto molto importante per Guerini riguarda il ruolo che l’Italia potrà ricoprire nei prossimi anni nell’ambito di una strategia di sicurezza e difesa per il Mediterraneo, che è uno dei pallini del ministro della Difesa, e solo studiando ciò che l’Italia può fare nel Mediterraneo è possibile capire in che modo può giocare un ruolo cruciale anche nella futura Difesa europea. “La Difesa europea va inquadrata nella sua giusta dimensione: avere l’ambizione come Europa di raggiungere autonomia strategica che non è autonomia da, ma è autonomia per. Non dobbiamo ricercare un’autonomia dal rapporto transatlantico, dalla Nato, ma dobbiamo immaginare un’autonomia per fare alcune cose. Cosa significa fare alcune cose? Significa che l’Europa deve essere più presente dal punto di vista anche della costruzione di interventi di carattere militare, ad esempio nell’area più vicina, nell’area più prossima, nel proprio vicinato. Lì l’Europa può giocare un ruolo fondamentale, perché è un ruolo che associa alla dimensione militare un intervento politico e diplomatico, un intervento economico, un intervento di cooperazione, di costruzione, di capacità civili”. Il Sahel, dove l’Italia negli ultimi anni ha progressivamente incrementato la sua presenza, agendo sia su base bilaterale sia con il contributo alle iniziative di Onu, Ue e multilaterali, puntando forte su una missione bilaterale di assistenza e di addestramento in Niger, la Misin, e costruendo missioni multilaterali all’interno della coalizione Takuba, che agisce anche in Mali, per Guerini “può rappresentare sempre di più la cartina al tornasole delle ambizioni e dei limiti dell’Europa”. Più volte Guerini ha sottolineato come quello sia il vero confine meridionale dell’Europa e più volte ha ricordato che nel Sahel ci sono minacce e problematiche che non andrebbero mai messe in secondo piano: “Penso ad esempio al traffico di esseri umani e ai traffici più disparati. Penso alla minaccia terroristica. Penso alla presenza di attori terzi in quel quadrante, come ci insegna l’esperienza della compagnia russa Wagner. Avere la consapevolezza dell’elemento decisivo di quello scenario per l’interesse di sicurezza europea credo che sia un elemento importante. Il limite è che bisogna andare oltre interventi importanti ma non coordinati e immaginare una lettura fortemente europea dell’intervento”. Fino a oggi, dice Guerini, ci siamo accontentati di interventi bilaterali, di presenze storiche come quelle della Francia, di alcune missioni europee, alcune missioni delle Nazioni Unite: “Tutte cose importanti, ma forse è il momento di un salto di qualità”.

A proposito di salto di qualità, chiediamo ancora a Guerini, possiamo dire che il Parlamento italiano, rispetto al tema dell’invio delle armi in Ucraina, non ha bisogno di fare salti di qualità in quanto il 31 marzo è stata votata una risoluzione che ha validità fino al 31 dicembre e che prevede anche “la cessione di apparati e strumenti militari che consentano all’Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione”? Guerini sorride. “Se le discussioni sono condotte in maniera corretta sono sempre utili. E’ bene che il Parlamento discuta. E mi pare che abbia preso delle decisioni e le abbia prese in maniera molto ampia. E tra le decisioni che sono state votate nella risoluzione c’è anche, appunto, il sostegno all’Ucraina, anche con l’invio di sistemi d’arma. Penso che il Parlamento discuterà e si troverà unito e convergente nel mantenere questo sforzo, accompagnandolo a un sostegno anche finalizzato ai processi negoziali. Ma da questo punto di vista, non vedo minacce nel fatto che si discuta. Va bene che si discuta. L’importante è che si discuta sapendo cosa c’è in gioco”. Nella conversazione con il Foglio, Guerini affronta anche altri temi interessanti, che riguardano il rapporto tra fede e guerra – cosa significa per un cattolico accettare di difendere la pace armando un paese – e che riguardano anche un altro tema gustoso che ha a che fare con un’idea suggestiva condivisa dal ministro: l’urgenza di avere un Elon Musk europeo. Serve, dice Guerini, una grande stagione di innovazioni, anche nel campo dell’industria della Difesa. Serve, dice il ministro, una grande fase di strategie comuni, “per concentrare gli sforzi, anche delle nostre industrie”. Serve, insomma, “un’Europa che sappia diventare innovativa come lo è Musk”, dice Guerini con uno sguardo rivolto ai satelliti prodotti da SpaceX, la società aerospaziale di Elon Musk, che hanno aiutato gli ucraini a difendersi meglio dall’aggressione della Russia. Serve, conclude il ministro, un ecosistema capace di creare interconnessione tra la dimensione civile, la dimensione militare, la dimensione imprenditoriale, che sia in grado di fare squadra, di fare sistema, di unire gli sforzi, di far nascere qui e non altrove i Musk del futuro. “Nei ragionamenti sulla Difesa europea – insiste Guerini – c’è anche una dimensione industriale che è fondamentale perché l’Europa è una realtà in cui ci sono presenze industriali molto importanti. Lavorare sulla Difesa europea significa lavorare su una base tecnologica condivisa e per farlo bisogna accompagnare progetti di cooperazione tra le industrie europee, coniugando la strategia di lungo termine con l’ambizione di difendere il tessuto produttivo nazionale. L’Italia è tra i protagonisti, da questo punto di vista, anche nei progetti di cooperazione che stanno alle nostre spalle, con la nostra industria nazionale. Dobbiamo esserlo sempre di più”. Aggregare. Collaborare. Integrare. Difendersi. Responsabilizzarsi. Il futuro dell’Italia, nell’Europa, in fondo è tutto qui.

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