Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 09/05/2022, a pag.8, con il titolo "L’ora della verità sul fronte del Donbas", l'analisi di Cecilia Sala.
Cecilia Sala
Dal 18 aprile in Donbas i russi hanno colpito l’intera linea del fronte di 480 chilometri con cannoni, missili e raid aerei praticamente senza sosta. Nei piccoli villaggi e nelle campagne il loro metodo funziona: distruggere con l’artiglieria quello che si incontra (case, capannoni, infrastrutture e posizioni ucraine) e poi occupare con le truppe. Ma rispetto all’obiettivo dichiarato di conquistare tutto l’oblast di Donetsk e quello di Luhansk, l’avanzata è lenta e nei prossimi tre mesi per l’esercito di Putin le cose possono andare peggio. Giovedì il portavoce del Pentagono John Kirby ha detto che il 90 percento dei cannoni M777 Howitzer promessi con l’ultimo pacchetto di aiuti sono già arrivati in Ucraina, e percorrendo le autostrade che collegano l’est all’ovest capita di incontrarli mentre muovono in direzione opposta. Quei cannoni nei prossimi giorni raggiungeranno la linea del fronte e sono esattamente ciò di cui i soldati ucraini della Joint Forces Operation (che combattono in Donbas dal 2014 e sono gli uomini migliori dell’esercito ucraino) hanno bisogno. Finora la loro strategia è stata questa: riposizionarsi e lasciare avanzare i russi lentamente, causando il maggior numero di perdite di uomini e mezzi. E’ una guerra lunga e una guerra d’attrito: infliggere perdite come distruggere le riserve di carburante o i depositi di munizioni del nemico conta più che conquistare pezzi di campagne semideserte nell’est. Vale per entrambe le parti e il 3 maggio, quando Putin aveva già ripiegato sulla strategia “liberazione del Donbas”, c’è stato uno dei peggiori attacchi missilistici su tutto il territorio ucraino compreso l’ovest – proprio per distruggere le riserve e le linee logistiche. Allo stesso tempo, gli ucraini stanno liberando i villaggi a nord di Kharkiv e la controffensiva serve sia ad allontanare l’artiglieria russa fino al punto in cui non può più colpire la città sia ad aggredire il corridoio che da Belgorod (in Russia) arriva nella città occupata di Izyum e da lì, procedendo verso sud, alla linea del fronte in Donbas. Tutto mentre continuano gli attacchi ai depositi di Belgorod, dove fanno rifornimento le autocisterne dell’esercito, e gli incendi misteriosi ai siti militari russi. Fino a questo momento per gli ucraini in Donbas riposizionarsi era la cosa migliore da fare per risparmiarsi in attesa degli obici occidentali come gli M777 Howitzer. Il problema della resistenza – nelle prime tre settimane da quando l’offensiva si è concentrata a est – erano le armi: l’artiglieria è la regina di questa fase della guerra e quella più utile in una battaglia convenzionale in campo aperto. I russi ne hanno di più e i soldati ucraini che combattono sulla linea del fronte di Pisky scherzano: “Per ognuno di loro ci sono tre artiglierie con cui poter sparare contemporaneamente, noi con quel rapporto di uomini e mezzi avremmo già dato ai russi un calcio fino a Mosca”. L’offensiva del Donbas è iniziata il 18 aprile e il fatto che i soldati di Putin, in tre settimane, non siano riusciti a ottenere nessuna conquista rilevante (a prendere almeno una città o a circondare una parte delle Jfo) secondo gli analisti militari significa che hanno già perso la grande occasione che avevano davanti: portare a casa i risultati prima dell’arrivo delle armi occidentali e prima di subire un numero di perdite che non sono in grado di compensare in tempi rapidi. Le due città di Sloviansk e Kramatorsk – a dieci chilometri l’una dall’altra – non sono accerchiate e anche Severodonetsk, quella più a est ancora sotto il controllo ucraino, è quasi assediata ma non è stata presa. Il problema dei russi è che la velocità con cui subiscono le perdite è superiore a quella con cui riescono a posizionare nuovi soldati al fronte e, secondo l’analista dell’Istituto Internazionale per gli Studi Strategici Franz-Stefan Gady, a giugno dovranno fermarsi per fare riposare le truppe perché non possono sostituirle. Per questo gli ucraini hanno paura che la giornata di oggi – la festa nazionale per la vittoria sovietica sul nazismo che a Mosca si celebra con una grande parata militare – si trasformi in una dichiarazione di guerra totale. A Putin mancano gli uomini e se la parola “guerra” (che in Russia è vietata) la pronunciasse lui per la prima volta al posto di “operazione speciale”, allora ci sarebbe la mobilitazione generale e nuovi soldati da spedire al fronte. Anche l’esercito ucraino nel Donbas sta subendo molte perdite (i numeri ufficiali del ministero della Difesa sono probabilmente sottostimati), ma nonostante la stagione e le distese brulle del Donbas siano un contesto meno favorevole alle sue tecniche rispetto a quanto fosse il territorio intorno alla capitale alla fine dell’inverno, anche per la battaglia nell’est gli ucraini hanno adottato delle tattiche di difesa che stanno funzionando e includono un largo uso di mine anticarro e droni. Le posizioni ucraine sono mobili, agili e sono composte da pochi uomini. A Lyman le trincee ci sono, ma spesso ci si trovano dentro dei manichini vestiti da soldato che servono a far sprecare munizioni ai russi per colpire bersagli inesistenti. “Qui non rimaniamo fermi in dei corridoi scavati nella terra ma siamo organizzati in gruppi di sei che si spostano continuamente”, dice Dimitri – nome di battaglia “cannibale” – che combatte sul fronte di Lyman. Le linee sono fluide e per questo per i russi è più difficile monitorarle e fare previsioni sui movimenti. L’ex tenente generale dell’esercito americano James Dubik – che insegna alla Georgetown University – ha scritto che stiamo entrando nella fase tre di questa guerra (che dal suo punto di vista sarà ancora molto lunga), ma l’ipotesi migliore che ha di fronte la Russia adesso è lo stallo. L’altra ipotesi è una controffensiva ucraina che comincia quando sono arrivate tutte le armi che servono e, contemporaneamente, Mosca è nel momento in cui non riesce più a rimpiazzare le perdite in un modo che le permetta di proseguire l’attacco (secondo Gady, è quello che succederà a giugno).
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