Riprendiamo oggi, 17/08/2021, dal FOGLIO, a pag. 1, con il titolo "Di Maio e Guerini escludono i corridoi umanitari con Kabul", l'analisi di Valerio Valentini.
Luigi Di Maio, Lorenzo Guerini
Roma. Se il problema di prospettiva è stato solo accennato, nei discorsi che gli uffici diplomatici di Palazzo Chigi hanno avuto coi loro omologhi europei, è perché il problema contingente è riportare i nostri a casa - s'è fatto subito proibitivo. Al punto che gli americani hanno deciso in serata di chiudere l'aeroporto di Kabul, dove ieri sono rimaste uccise almeno dieci persone, oltre a un marine ferito. Per almeno due giorni, dunque, decolli e atterraggi per far espatriare almeno 15.000 funzionari afghani, non saranno garantiti. Si era iniziato, in effetti, già la settimana scorsa. Solo che dei 580 collaboratori locali della nostra ambasciata, si era riusciti a portarne a Roma, con aerei che partivano da Herat, solo 288. Poi, con la capitolazione anticipata del capoluogo occidentale dell'Afghanistan, le operazioni di imbarco si sono trasferite nella capitale: e chi ha potuto raggiungerla, con mezzi propri e spesso di fortuna, ha trovato la salvezza. Per gli altri, per almeno 380 persone, è iniziato il calvario. "L'Italia è al lavoro con i partner europei per una soluzione della crisi, che tuteli i diritti umani, e in particolare quelli delle donne", ha dichiarato ieri Mario Draghi. E a qualcuno, nel Pd, è parso un accenno all'istituzione dei corridoi umanitari tra Roma e Kabul. E però sia Luigi Di Maio sia Lorenzo Guerini, ai rispettivi parlamentari hanno spiegato che no, che una simile soluzione è impraticabile, anche perché ciò implicherebbe stipulare un accordo coi talebani, e dunque riconoscerli come governanti ufficiali. Anzi, già garantire dei "corridoi terrestri" che possano consentire ai civili da rimpatriare di raggiungere l'aeroporto di Kabul dal centro della città appare un obiettivo non scontato nelle prossime ore. Si procederà invece così come s'è iniziato: allestendo un ponte aereo che, per forza di cose, sarà improntato alla gestione caotica del momento. Se, ad esempio, il Boeing dell'Aeronautica arrivato a Fiumicino ieri aveva solo 64 persone a bordo (45 italiani, 17 afghani, un britannico e un sudafricano), su una capienza di oltre 200 passeggeri, è stato perché ad attendere oltre, nell'aeroporto di Kabul preso d'assalto e dove resta a coordinare le operazioni solo un nostro compound con un C-130 e pochi militari, si rischiava di non decollare affatto. Tanto più che, se all'inizio i talebani sembravano ben disposti a lasciar rimpatriare i contingenti occidentali, col passare delle ore si sono irrigiditi assai. E così molti nomi di parenti (spesso presunti)che i vari interpreti delle ambasciate europee fornivano ai militari, sono stati in alcuni casi contestati. Alcuni interpreti sono stati intercettati dai miliziani nei ricoveri d'emergenza in cui si sono rifugiati intorno all'aeroporto di Kabul. Almeno due ong europee con personale italiano hanno visto i talebani fare irruzione. Ed è anche in virtù di queste enormi difficoltà che è stato disposto l'invio di oltre 120 unità speciali dalla nostra Difesa: militari stanziati ora a Islamabad, in Pakistan, e nella base di Alì Al Salem, in Kuwait, dove sono parcheggiati anche tre C-130 pronti a intervenire in caso di emergenza nella capitale afghana.
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