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Il Foglio Rassegna Stampa
27.02.2021 Russia, caso Navalny: vergogna Amnesty, nella rete di Putin
Commento di Micol Flammini

Testata: Il Foglio
Data: 27 febbraio 2021
Pagina: 2
Autore: Micol Flammini
Titolo: «Denudare e cancellare Navalny. Amnesty si è fatta intrappolare da Putin»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 27/02/2021 a pag.2, con il titolo "Denudare e cancellare Navalny. Amnesty si è fatta intrappolare da Putin", il commento di Micol Flammini.

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Micol Flammini

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Aleksej Navalnyj

II viaggio di Alexei Navalny verso la cancellazione è incominciato mercoledì, l'oppositore è stato trasferito dalla prigione Matrosskaya Tishina di Mosca verso una località che ancora nessuno conosce. Non i suoi avvocati, non la sua famiglia e sarà comunicata soltanto una volta che l'oppositore arriverà nella destinazione in cui dovrà trascorrere due anni e mezzo. A volte questi viaggi possono durare una settimana, è così che funziona la rotta verso la cancellazione. Ma l'azione di chi spera che Navalny e quel che gli è stato fatto - il tentativo di omicidio, poi l'arresto e il processo pretestuoso - non si limita a questo viaggio. C'è la demonizzazione del personaggio, portata avanti con un'opera di propaganda chirurgica che lascia capire quanto Mosca sappia bene come rimuovere, distorcere la memoria e le storie. Amnesty international, che ha detto qualche giorno fa di aver tolto a Navalny lo status di prigioniero, ha contribuito alla demonizzazione del personaggio dicendo che l'etichetta non è applicabile a chi in passato ha fatto discorsi d'odio, razzisti e nazionalisti, senza neppure pentirsene.

Amnesty International - Wikipedia

Alcuni giornalisti si sono messi a ricostruire la vicenda, l'esaltazione dei media russi vicini al Cremlino era troppo sospetta, ed è venuto fuori che alle varie sedi dell'organizzazione, erano arrivate mail molto simili tra di loro. Tutte chiedevano come mai Amnesty avesse deciso di fare di Navalny un prigioniero di coscienza, forse non aveva saputo dei suoi discorsi xenofobi? Molte denunce all'organizzazione sono arrivate portando come fonte una serie di tweet di un account noto come Katja Kazbek. Nome che sta per Ekaterina Dubovitskaya: si definisce un'attivista comunista, ma la direttrice di Rt, Margarita Simonyan, l'ha presentata come un'editorialista dell'emittente del Cremlino. L'ha ringraziata, ha gioito per il suo lavoro e deriso i giornalisti ancora pronti a difendere Navalny. La beffa è andata oltre, perché la segretaria generale di Amnesty, Julie Verhaar, ha ringraziato pubblicamente Leonid Volkov per la loro conversazione e per essere tutti e due dello stesso avviso: "La cosa più importante è liberare Navalny". Volkov, uno dei collaboratori più stretti dell'oppositore, poche ore dopo ha detto di non essere d'accordo con Amnesty e soprattutto di non aver mai scambiato le sue opinioni con Verhaar. Era uno scherzo di uno dei più famosi imitatori russi: Alexei Stolyarov. Amnesty si è trovata nel mezzo di una campagna di diffamazione e ha perso di vista l'obiettivo più importante: ora non è il credo politico di Navalny, non sono le sue ambiguità, i suoi discorsi del passato a dover essere sottolineati, ma la violenza che sta subendo da parte dello stato russo. Il Cremlino ha un'impalcatura solida per restare in piedi e la diffamazione dei suoi avversari è una strategia antica. Li mette sotto i riflettori, sviscerai loro peccati, compiuti o presunti - a questo servono i processi - e poi li avvia verso la cancellazione, verso il silenzio. Prima rende impresentabile, poi rimuove. Uno degli esempi più forti di questa pratica forse non è neppure Navalny, che conta di un suo piccolo esercito di sostenitori per smentire la propaganda del Cremlino e tenere in vita il ricordo di quello che è stato fatto al loro leader. L'esempio più eclatante, come scrive la giornalista del New Yorker Masha Gessen, è Yuri Dmitriev, l'uomo che ha cercato di ricostruire la memoria dei gulag di Stalin in Karelia. Ha scavato, trovato corpi, ha catalogato, ha studiato. Ha fatto venire fuori una storia che il Cremlino non è interessato a ricordare. A Dmitriev non è stato semplicemente impedito di continuare le sue ricerche. E' stato accusato di un reato orribile, è stato spinto sotto i riflettori con l'accusa di aver abusato di sua figlia adottiva. Dopo l'accusa atroce, la condanna a quindici anni di carcere, Dmitriev è scomparso. Con lui le carte dei gulag.

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lettere@ilfoglio.it

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