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Il Foglio Rassegna Stampa
10.08.2013 Le radici ebraiche dei super eroi dei fumetti
cronaca di Cinzia Leone

Testata: Il Foglio
Data: 10 agosto 2013
Pagina: 4
Autore: Cinzia Leone
Titolo: «I nipoti di Mosè»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 10/08/2013, a pag. IV, l'articolo di Cinzia Leone dal titolo "I nipoti di Mosè".

Tutti ebrei gli inventori dei supereroi di carta. Da Superman a Batman, passando per X-Men, Daredevil, Spider-Man, Thor e Silver Surfer, il pantheon in calzamaglia dell’immaginario americano nasce dai figli degli immigrati originari dell’Europa sbarcati ad Ellis Island agli inizi del secolo scorso. Lieber, Kurtzberg, Kahn, Siegel, Shuster , Eisner, Klein, Blum… Leggere i nomi dei padri dei supereroi a fumetti è come scorrere i banchi di una sinagoga. Pubblicano le prime storie a fumetti nella stampa yiddish e quando decidono di fare il salto nel mercato si americanizzano il nome: millenaria consuetudine della diaspora. Stanley Martin Lieber, diventa Stan Lee, Jacob Kurtzberg cambia in Jack Kirby e insieme collaborano all’invenzione dei bicipiti da supereroe di Popeye e per la Marvel creano i Fantastici quattro e X-Men. Robert Kahn, del Bronx, diventa Bob Kane e inventa Batman, l’eroe di Gotham City. Siegel trasforma Jerome in Jerry e con Shuster , che da Joseph è diventato Joe, battezzano il primo supereroe moderno: Superman. Un uomo venuto dal cielo per combattere il Male. Capace di imprese miracolose e di cambiare identità in una cabina telefonica simile a un confessionale, ma che funziona come il lettino dello psicoanalista, non può che avere un retrogusto messianico. In fuga dai pogrom e catapultati nel Nuovo mondo trafitto dalla Grande depressione, gli immigrati ebrei hanno bisogno di eroi e cercano il riscatto. Prima della nascita dello stato d’Israele è impossibile immaginare un ebreo “vincente”: fino a quel momento gli ebrei avevano solo perso. Ma per liberarsi da un’umiliazione millenaria si può sempre tentare un colpo di scena inventando un supereroe-messia: un Mosè yankee.
Nel ’33, alla vigilia della guerra, a un passo dal baratro della Shoah, Superman, il primo supereroe moderno, nasce da due ragazzi di Cleveland, Shuster e Siegel, su una fanzine ciclostilata della Glenville High School. Rovesciando la formula consueta del supereroe che si avventura in un pianeta sconosciuto, lo fanno arrivare da lontano, proprio come un emigrante, e lo tuffano in un ambiente ordinario e familiare: la Terra. Era la prima volta. All’inizio è “Super-Man” con il trattino, ed è un malvagio che vuole dominare il mondo. Durerà poco, meglio seguire il mainstream rooseveltiano e buonista. Schierandosi con il Bene, Superman perde il trattino ma guadagna la doppia identità e svela le sue origini. Lotta per la Verità, la Giustizia e per l’american way of life. Raddrizza le storture del mondo: sposta grattacieli, sfonda muri, folgora con saette. La mascella squadrata e le imprese titaniche affrancano dai pogrom e difendono da un futuro minaccioso. Il superomismo americano finisce per essere inventato dai figli dei ghetti centroeuropei. “Superman, Champion of the oppressed” è il titolo della rivista a fumetti Action Comics su cui viene pubblicato nel ’38: un manifesto politico. E il numero 17 dell’estate del ’42, in pieno conflitto, con Germania e Italia sconvolte dalle leggi razziali, in copertina mostra il supereroe con il mantello rosso e la tutina blu che cattura Hitler e l’imperatore giapponese Hirohito. Una premonizione. Le origini ebraiche del supereroe sono trasparenti nel gioco della doppia identità: Superman alias Clark Kent. L’alter ego timido, impacciato e ordinario del supereroe ricalca la tradizione degli ebrei centroeuropei del doppio nome: uno integrato e uno ebraico. Se Clark Kent, è un nome americano, e goy, e i suoi occhiali sono presi in prestito a Harold Lloyd, il nome kryptoniano di Superman è Kal-El: in ebraico “Voce o vascello di Dio”. Quello del padre a Krypton è “Jor-El”. Ed è Kara- El, cugina di Kal-El anche lei spedita sulla Terra, a diventare Supergirl. La desinenza ebraica “El”, abbreviazione di “Elohim”, in ebraico significa Dio. La citazione biblica è evidente, ma celata dalle rassicuranti dichiarazioni degli autori: “Jerry creò tutti i nomi – racconta Shuster in un’intervista –. Eravamo dei grandi appassionati di film, ci ispiravano gli attori e le attrici che vedevamo. Per Clark Kent, combinò i nomi di Clark Gable e Kent Taylor”. Meglio mimetizzarsi sotto la polvere di stelle. Nato dallo sradicamento della diaspora, il binomio ebraico tra integrazione e identità viene così risolto dal supereroe-messia messia grazie all’identità segreta che garantisce l’assimilazione ma anche la difesa delle origini, custodendo un’alterità che somiglia ai nomi americanizzati dei loro autori. Non si attraversa una diaspora millenaria senza tifare per una prudente invisibilità. Come ogni messia che si rispetti, Superman è votato al Bene ed è un vincente. Ma per trovare il modello dell’ebreo vincente Shuster e Siegel debbono andare a ritroso di tremila anni.
L’archetipo del supereroe ebraico è Mosè, che con Superman ha molto in comune. Abbandonato dai genitori e adottato dalla figlia del faraone, nella Bibbia Mosè è definito “il mansueto”. Cresce ebreo tra gli egiziani, ma non è così mite come lo definisce l’Antico testamento e predilige effetti speciali devastanti. Guidando gli ebrei verso la Terra Promessa, divide il mar Rosso con un gesto e lo richiude dopo il passaggio del suo popolo travolgendo l’esercito egiziano all’inseguimento. Il suo bastone si trasforma in serpente e con lui i roveti parlano e ardono senza consumarsi. “Quando Mosè alzava la sua mano, Israele era più forte, e quando abbassava la sua mano, era più forte” (Esodo 17, 11), ma quando era stanco Aronne gli teneva le mani alzate e gli ebrei vincevano ancora. Segni divini, comunque superpoteri. Lanciato sulla Terra con un razzo dai genitori prima che il pianeta d’origine Krypton esplodesse, Superman viene cresciuto a Smallville da una coppia di genitori adottivi: Jonathan e Martha Kent e alla loro morte si trasferirà a Metropolis. Ambedue immigrati, ugualmente miti e ugualmente cazzuti, Mosè e Superman non possono che essere fratelli gemelli. E prima di salvare il mondo devono provare la tragedia. Come Mosè, Superman ha i superpoteri, ma come Sansone ha un handicap: solleva automobili, salva fanciulle, blocca meteoriti e ferma pallottole, ma a contatto con la kryptonite radioattiva del pianeta d’origine i superpoteri scemano. Nelle avventure di Superman la kryptonite spunta per la prima volta nel 1949. Subito dopo Hiroshima e Nagasaki. La kryptonite depotenzia Superman perché gli ricorda le origini e insieme il peccato dell’assimilazione. Vietato voltarsi indietro. Come tutti i supereroi, combatte i mali del mondo, ma la sua nemesi è il suo nemico Lex Luthor. Un capitalista corrotto e geniale a capo di una multinazionale, con uno stuolo di avvocati che gli permettono di uscire impunito dai crimini, e che ha il terribile difetto di aver scoperto la vera identità di Superman. Ottavo nella lista di Wizard dei “100 più grandi cattivi di sempre”, Luthor, il plutocrate così simile agli stilemi della propaganda antisemita, più che una confessione è un coming out dell’odio di sé ebraico di Shuster e Siegel. Quella che per Theodor Lessing è la tendenza nascosta in ogni ebreo e che lo porta a concepire ogni sua disgrazia come espiazione di una colpa. Superman e Luthor, eroe e antieroe, due facce di un conflitto interiorizzato. ”Cosa sarà quel coso che si muove così velocemente? Un uccello, o forse un aereo?” Si interroga la middle class americana vedendo Superman sfrecciare nei cieli di Metropolis, la città rubata al film di Fritz Lang.
Ebreo nelle midolla ma americano nei colori del costume fasciante, rubati alla bandiera stelle e strisce, Superman è un alieno. La science fiction da Asimov a Sheckley fino a Robert Silverberg è popolata di autori ebrei a caccia di mondi paralleli e di un futuro migliore. Il pericolo viene da nuovi mondi e il fumetto e la fantascienza raccolgono la sfida. Il Golem, il silenzioso gigante d’argilla della mitologia ebraica e i dybbuk, le anime dei trapassati capaci di possedere gli esseri viventi, nei secoli avevano aiutato gli ebrei a sentirsi più forti e meno soli. “Il Golem è il precursore della mitologia del supereroe – scrive Will Eisner, l’inventore di Spirit e della graphic novel –. Gli ebrei, da sempre perseguitati, avevano bisogno di un eroe capace di proteggerli dalle forze oscure. Siegel e Shuster , gli inventori di Superman, l’hanno inventato”. Superman protegge i suoi inventori, e nel volume “Jewish 100” Jerry Siegel compare tra i cento ebrei più influenti di tutti i tempi, assieme a Mosè, Henry Kissinger e Steven Spielberg. Tutti Ben Hur i supereroi americani? Tutti Golem, Mosè, o meglio ancora Messia? Personaggi archetipici generano eroi solitari, ambivalenti e sempre più sfaccettati. La crisi del ’29 e l’ascesa dei fascismi in Europa chiedono risposte rassicuranti e giustizieri instancabili. La psicoanalisi fa il resto. Siegel e Shuster battezzano il primo supereroe ebraico nel ’38. Il 30 ottobre dello stesso anno va in onda “La guerra dei mondi”, la trasmissione radiofonica di Orson Welles che precipita l’America nel panico descrivendo in diretta l’arrivo dei marziani. La paura dell’invasione degli alieni si sovrappone a quella temuta di Hitler e Stalin?


Batman

 Il bisogno di supereroi aumenta a dismisura. Un anno dopo Bob Kane sforna Batman, potente e dark come la sua Gotham City rubata al set del “Mostro di Düsseldorf” di Fritz Lang. “Lei è il nostro modello”, dichiara Goebbels a Lang e il regista gli risponde: “Non so se si rende conto di ciò che sta dicendo, mia madre è cattolica ma i suoi genitori sono ebrei. Io sono ebreo”. E Goebbels: “Ma caro Lang, non dica così: chi è ebreo e chi no lo decidiamo noi”. Lang è il capofila dei cineasti ebrei fuggiti in America che con un’iniezione di realtà spazzano via i telefoni bianchi e Valentino da Hollywood. Il percorso inverso degli autori delle strisce supereroiche. I supereroi attraversano indenni il conflitto e si sviluppano e diversificano nei primi anni Sessanta con Stan Lee e Jack Kirby, che per la Marvel inventano Spider- Man, l’Incredibile Hulk e Capitan America.


Captain America         I Fantastici 4


 E i Fantastici quattro, supereroi con menomazioni fisiche: Daredevil è cieco, Thor è zoppo e Silver Surfer non ha la carnalità umana. I supereroi continuano ad avere superpoteri ma anche superproblemi. Per trovare il realismo bisogna fare un passo indietro al 1940 a Spirit, l’autoironico, nostalgico, malinconico eroe di Will Eisner. Nato a Brooklyn da una famiglia di immigrati ebrei, Eisner inventa un detective mascherato che come Superman è il paladino della giustizia della middle class, ma che si muove nelle storie a fumetti senza poteri e senza trucchi. “Cercavo di sviluppare la caratteristica di realismo di Spirit. Il suo costume non era la cosa più importante per me. Indossa un vestito blu e una maschera perché sono stato costretto a vestirlo così”. La mascherina sugli occhi del personaggio di Eisner è l’ultimo brandello del costume dei supereroi. Non è detto che i colpevoli verranno sempre puniti e che il torto diventerà diritto, solo affrontando la realtà del dolore e della miseria umana si trova la salvezza. Con Eisner, il bastone di Mosè, dopo essere stato serpente, torna legno, il roveto ardente ridiventa un cespuglio e le acque del mar Rosso restano al loro posto. Dopo Spirit” memoria e identità culturale ebraica diventano il centro del lavoro di Eisner fino al suo capolavoro, “Contratto con Dio”. Solo con la nascita dello stato di Israele i supereroi nati dalla penna di autori nel mainstream ebraico diventano esplicitamente celebrativi, ma percorsi da un brivido di autoironia.


Spiderman


Spuntano: Menorah Man, Minyan Man, Sabra, Jewish Hero Corps, Sabraman o Shaloman. Il messaggio messianico dei supereroi non poteva trascurare Cristo. Decisamente cristologica l’idea editoriale della casa editrice di Superman, la D. C. Comics che nel novembre del ’92 pubblica la saga della “Morte di Superman”. Ma poche settimane dopo è in edicola con il racconto della sua resurrezione, risorgendo così anch’essa da una grave crisi commerciale. La seguono le altre case editrici dei supereroi come la Marvel, che fa morire e resuscita Iron Man, Thor, la Cosa, Capitan America, Occhio di Falco e Spider-Man. La metafora messianica di Superman vira decisamente verso la figura di Gesù nel film del 2006 “Superman returns”, dove Jor-El, il padre del supereroe, senza giri di parole, dice a Superman: “Possono essere un grande popolo, desiderano esserlo Kal-El. Manca loro solo la Luce, per questo ho inviato Te, mio Unico Figlio”. Lo stemma di Superman è un cuore irradiante come quello del Sacro Cuore di Gesù dell’iconografia cristiana, e il passaggio dal Vecchio al Nuovo testamento si completa con il recente “Man of Steel”. La matrice ebraica di Superman non era sfuggita al Terzo Reich. I nazisti conoscevano il supereroe di Siegel e Shuster e non mancarono di attaccarlo: “Jerry Siegel, un individuo circonciso intellettualmente e fisicamente che ha il suo quartier generale a New York”, scrive lo Schwarze Korps, il 25 aprile del 1940, “è il creatore di un pittoresco personaggio, dall’aspetto imponente, dal corpo poderoso, con un costume da bagno rosso, che gode dell’abilità di volare nell’aria. L’inventivo israelita ha chiamato questo tipo simpatico dal corpo sovrasviluppato e dall’intelletto sottosviluppato ‘Superman’”. Stigmatizzato da Goebbels come “eroe tipicamente ebraico”, Superman ebbe anche un clone fascista in Ciclone, l’Uomo d’acciaio, del 1939. Anche l’America non è sempre liberal con i suoi beniamini di carta. I supereroi inventati dai cartoonist ebrei sono considerati pericolosi e capaci di corrompere i giovani lettori con immagini troppo violente. Nel ’48 in un falò pubblico vengono bruciati più di 2.000 albi a fumetti e nasce una Comics Code Authority per censurare poliziotti morenti e stigmatizzare supereroine in odore di femminismo. Nella prima metà del secolo scorso la minoranza ebraica nel Nuovo mondo, ancora marginalizzata, nutre sogni di rivalsa superomistica in linea con il sogno dell’Übermensch, l’Oltreuomo nietzschiano coltivato nella vecchia Europa?
Moralista, travolto dal senso del dovere e inzuppato di un sentimentalismo alla Frank Capra, all’opposto dell’amorale e narciso eroe nietzschiano, Superman non ama essere acclamato, e quando la folla lo circonda per ringraziarlo trova il modo di svignarsela in una cabina telefonica e spogliarsi del suo senso etico per scivolare nelle pantofole dell’american dream piccolo borghese. Pennellato con i colori pop dei cartoon, Superman più che a Nietzsche fa pensare ad Andy Warhol. Con la faccia da divo del cinema e gli addominali da culturista, più che tragico-dionisiaco è ossessivo-apollineo: un eroe del Nuovo mondo rooseveltiano, bello e pieno di superpoteri. Rimane tale a patto di non entrare in contatto con il Vecchio mondo, l’Europa-Krypton da cui è stato fatto fuggire prima del disastro: pena la perdita dei superpoteri. All’“ariano” e biondo e longilineo ex giocatore di polo Flash Gordon si contrappone il bruno e introverso Superman, un eroe controvoglia e senza nazione, chiuso nella fortezza della sua solitudine. Vive a Metropolis ma nel suo cuore c’è ancora Kandor City, la capitale di Krypton sopravvissuta all’esplosione, rimpicciolita e conservata in una bottiglia come uno “shtetl”. Lì vengono custodite le tradizioni del Vecchio mondo. Superman riuscirà a riportare il suo popolo a una dimensione normale e li aiuterà a insediarsi su un altro pianeta che gira intorno a un sole rosso. I Kandoriani decidono di chiamarlo Rokyn, che in Kryptoniano significa “regalo da Dio”. E se l’esplosione di Krypton fosse una metafora della diaspora? E Rokyn una prefigurazione dello stato di Israele?

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