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Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/03/2023, a pag.4, con il titolo "Sul fronte polacco", la cronaca di Francesca Paci.
I carrarmati sbucano dalla foresta dopo il cimitero evangelico di Dawny e attraversano la strada provinciale. Dal trattore, fermo in attesa come fosse al passaggio a livello, il contadino Pavel Piatek conta. Uno, due, quattro, dieci. «Ormai ne incrocio tutti i giorni – dice, abbassando il volume della vecchia radio portatile -. Le grandi manovre che l'Italia guarda in televisione sono per noi una forma di quotidianità». Questione di storia e di geografia. Il corridoio Suwalki, l'estremo lembo della Polonia al confine con la Lituania che se conquistato dalle truppe filo-Putin di Minsk collegherebbe la Bielorussia all'enclave russa di Kalinigrad, comincia qui, dietro i campi di Pavel. A dieci minuti d'auto c'è l'ex poligono che ospita il gruppo di combattimento Nato di Bemowo Piskie, dall'altro lato si snodano 70 km di curve fino alla città di Suwalki e il confine incandescente oltre cui, ancora mercoledì, Alexander Lukashenko ha minacciato l'invasione. Il cielo è plumbeo. Ieri il Presidente Duda ha sospeso il Trattato sulle forze convenzionali in Europa, per cui la Polonia potrà non rispettare più limiti al riarmo. «Zona militare interdetta» ripete l'enorme tenente americano all'ingresso di Bemowo Piskie. Il reticolato che circonda le baracche, le tende mimetiche e la cappella, corre accanto a un mucchio di case basse lambite dalla fanghiglia del fiume Dziekalowka. «C'è parecchio più movimento del solito» racconta una signora bionda, stretta nel piumino lungo. La percezione non è quasi mai la realtà ma da queste parti, tre settimane fa, è passata Dragon 24, ventimila soldati e 3.500 unità di equipaggiamento a testare per terra, mare, aria e cyberspazio la deterrenza sul fronte Est, la più massiccia esercitazione alleata dalla guerra fredda. Mentre i militari svicolano, rimandando le domande ai loro superiori, una fonte Nato conferma che il 25 marzo, parlando con il ministro degli esteri polacco Radoslaw Sikorski, il segretario generale Jens Stoltenberg ha ricordato come l'alleanza atlantica abbia «significativamente aumentato la sua vigilanza e migliorato la sua posizione sul fianco orientale, Polonia inclusa». Il "fianco orientale" sembra un concetto astratto ma significa persone, scuole, ospedali, una comunità reale come Suwalki, 70 mila anime, il municipio neoclassico, le altalene nei giardini. Nonostante la distanza di 500 km, il missile da crociera russo che martedì ha sorvolato il villaggio di Oserdow, al confine con l'Ucraina, ha tolto il sonno a molti qui. «Se Kyiv perde la guerra, Mosca ci metterà alla prova e non sono certa che il tanto evocato articolo 5 ci proteggerà» ammette Agniezska O., insegnante di matematica in odor di pensione. I sessantenni come lei ripetono che in Polonia la seconda guerra mondiale è finita nel 1989 e non dimenticano, chi può permetterselo pensa alla fuga investendo in Spagna, i più giovani riconoscono il privilegio d'essere nati dopo la fine del comunismo e non lo danno per scontato. Tutti credono che dietro l'attentato al Crocus City Hall ci sia il Cremlino. «L'Europa occidentale non conosce i russi e soprattutto ignora cosa voglia dire averli alle porte» osserva Andreji, 28 anni, bevendo birra nel Black Pub Komin. Un muratore, al bancone, annuisce e aggiunge di aver preso il porto d'armi. Mima il fucile. «Sebbene la Nato sia la nostra assicurazione sulla vita, dobbiamo essere pronti a difenderci per dare agli alleati la possibilità di reagire» ragiona, a margine di un evento elettorale per il voto locale del 7 aprile, il presidente della commissione esteri del Parlamento Radek Fogiel. Ricorda che il suo partito, la destra di Diritto e Giustizia oggi all'opposizione, mette in guardia dalle mire imperiali di Putin sin dall'invasione della Giorgia nel 2008. Un ciclico déjà-vu. Per questo, insiste il collega della difesa Bartosz Kownacki, «dopo aver disarmato l'esercito all'inizio degli anni '90 scommettendo sulla pace, il governo polacco ha approvato all'unanimità l'innalzamento delle spese militari fino al 4% del Gdp, uno dei più alti dell'alleanza atlantica». Se a Berlino il ministro della difesa Pistorius paventa una prova di forza russa sul corridoio Suwalki entro otto anni e a Vilnius dimezzano la stima, a Varsavia sorridono disincantati, ne basteranno tre. Il viaggio lungo il confine con la Lituania è molto più lungo dei 65 km che corrono tra Suwalki e la frontiera di Kaliningrad, un susseguirsi frastagliato di pini, distese di pale eoliche, rallentamenti per i lavori al manto stradale e villaggi rurali come Rudziszki, dove il cinquantaduenne Antoni Bilas e la moglie Kasja giurano che all'alba, quando portano il mangime alle galline, sentono i russi. «Sono laggiù, oltre la foresta, li sento muoversi, automobili, camion, magari anche mezzi corazzati» dicono. Nell'enclave visitata da Putin alla fine di gennaio, c'è, oltre alla tomba di Immanuel Kant, un arsenale tutt'altro che rassicurante, con tanto di missili tattici Iskander. «La situazione è sotto controllo, ma la squadra d'allarme da due piloti e sei specialisti è sempre pronta, il nostro operato è tattico, sirena e decollo in pochi minuti» spiega il colonnello Gianluigi Colucci, comandante della Task Force Air 4th Wing, la missione italiana di polizia aerea della Nato schierata nella base polacca di Malbork, a venti minuti dalla Divisione Multinazionale Nord-Est di Elblag e due ore da Kalinigrad. All'esterno dell'hangar compare, assordante, il muso da condor di uno dei quattro Eurofighter dell'Aeronautica Militare che rientra dopo aver intercettato e identificato un velivolo russo sopra le acque internazionali del mar Baltico. L'allarme, quattro attivazioni da metà febbraio, è risuonato due volte nelle ultime ventiquattr'ore. Per quanto si stemperi l'escalation è nei fatti. Giovedì Putin ha avvertito che se Kyiv dovesse usare contro le sue truppe gli F-16 facendoli decollare da Paesi occidentali, quei caccia sarebbero «un obiettivo legittimo» dovunque fossero dispiegati. «La Russia alza sempre i toni prima di agire, l'ha fatto a suo tempo mentre si preparava a invadere i Baltici, la Finlandia, la Cecoslovacchia e l'ha fatto nel 2022» nota il giornalista Jazek Palazinsky. Il niet dell'ambasciatore russo alla convocazione del ministro degli esteri sul missile sopra Oserdow è parso a Varsavia più d'uno sgarbo diplomatico. Secondo l'esperto della rivista "Defence 24" Aleksander Olech si tratta dell'ennesima provocazione: «Le forze di Mosca non entreranno boots on the ground perché per ora non serve, sono già in Polonia con la guerra ibrida, propaganda, fake news, spionaggio. L'intelligence ha scoperto una rete che fotografava lo scalo di Rzeszow, da cui parte l'80% degli aiuti militari a Kyiv. Inoltre, per fare un altro esempio, ci sono eserciti di bot a soffiare sulla rabbia degli agricoltori per la concorrenza di quelli ucraini». Il tallone d'Achille è il fianco est, l'intera Polonia però, per quanto costruisca shelter nei garage di Varsavia e arruoli i volontari della difesa territoriale, si sente esposta. «C'è un nodo militare e uno politico – avverte l'analista Jan Zielonka –. Seppure la consapevolezza della guerra possibile è argomento concreto e non da talk show, i polacchi iniziano a mostrarsi un po' schizofrenici, da un lato sostengono la lotta degli ucraini e dall'altro ne accusano il peso, dai sussidi per i rifugiati alla contesa sul grano. È un monito per il governo. Può aprirsi un fronte interno molto più vulnerabile dei confini». Soft power. La partita più insidiosa per l'ultimo centimetro della Nato. Per inviare alla Stampa la propria opinione, telefonare: 011/065681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante lettere@lastampa.it |
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