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La Stampa Rassegna Stampa
05.06.2023 Azar Nafisi: "A Teheran e a Kiev la stessa battaglia i diritti umani sono universali e vinceranno"
La intervista Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 05 giugno 2023
Pagina: 17
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Azar Nafisi: "A Teheran e a Kiev la stessa battaglia i diritti umani sono universali e vinceranno"»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/06/2023, a pag.17, con il titolo "Azar Nafisi: "A Teheran e a Kiev la stessa battaglia i diritti umani sono universali e vinceranno" ", l'intervista di Francesca Paci.

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Francesca Paci

Roma, a Plpl Azar Nafisi presenta il suo ultimo libro - Il Faro Online
Azar Nafisi

Le notizie che arrivano dall'Iran sono contraddittorie, si muore sulla forca e si balla per le strade. Azar Nafisi sente, in cuor suo, che questa è la volta buona. Deve esserlo. Proprio ieri l'Alto rappresentante dell'Ue Josep Borrel ha affidato a Twitter l'auspicio che dopo la liberazione di tre europei con doppia cittadinanza detenuti a Teheran il regime possa «rilasciare tutti i suoi cittadini», ma la grande scrittrice di cui Adelphi ha da poco tradotto in Italia "Quell'altro mondo" non crede nella presunta razionalità della teocrazia sciita. Semmai ci abbia creduto, racconta in questa intervista a La Stampa alla vigilia della sua partenza per il Taubuk festival di Taormina, non è più tempo: l'iniziativa oggi è delle ragazze, delle piazze, del popolo. Donna, vita, libertà.

Come sta la rivoluzione iraniana mentre la repressione incalza, il boia lavora senza tregua e le proteste di piazza appaiono più sporadiche, meno partecipate? «L'Iran si sta preparando un cambio di scena. Le manifestazioni sono una delle tante forme della protesta ed era prevedibile che non potessero durare a oltranza. Negli ultimi mesi però, sono accadute un paio di cose significative. La prima è che, nonostante la repressione, gli iraniani non sono tornati tra le mura domestiche: ho ricevuto un video di due giorni fa che mostra tante persone ballare e cantare davanti a un negozio di Teheran chiuso perché ammetteva clienti senza l'hijab. Succede spesso, si comincia a ballare e a cantare in modo estemporaneo, è la metafora di come rivoluzione prenda strade diverse, creative, si allarghi a nuovi segmenti della società, i lavoratori, le minoranze, le vecchie generazioni alla ricerca di un ruolo accanto ai giovani. La seconda riguarda le crepe all'interno del regime, quasi ogni giorno si leva una voce critica nei confronti della Guida suprema Ali Khamenei. Ci vuole tempo, dobbiamo guardare al lungo periodo. Non sarà domani ma arriverà il giorno in cui il malcontento sociale avrà la meglio sul regime»

In queste ore Khamenei rilancia il sospetto che "think tank occidentali" spingano la rivolta per rovesciare il governo. Ci risiamo... Ride. «La sola lingua che conoscono gli ayatollah è quella della violenza. Minacciano, ma non hanno la soluzione alla crisi del Paese».

Secondo gli attivisti la rivoluzione è cambiata. Dicono che le donne non hanno più paura di uscire senza velo. Che informazioni ha lei? «A quanto so è così. Da un lato le iraniane e gli iraniani sono frustrati, arrabbiati, oltraggiati. Dall'altro però, sentono che un cambiamento importante è in corso, la società si è mossa. Le donne lottano in questi mesi come lottavano nei giorni successivi alla rivoluzione del '79, quando, già consapevoli, contestavano Khomeini urlando che la libertà non era ne occidentale né orientale. Il malcontento femminile è rimasto sottotraccia per decenni. Ai miei tempi mettevo un po' di rossetto e lasciavo uscire qualche ciocca di capelli dall'hijab per dire che non ero proprietà del regime, e come me facevano in molte. Ma la cosa restava lì. Ora siamo oltre, rifiutare il velo in pubblico è atto politico collettivo, è la libertà di scegliere».

La Repubblica islamica è sulla difensiva e picchia duro. Eppure all'esterno pare aver rafforzato la sua posizione, aggiungendo all'alleanza con la Russia una nuova amicizia con la Cina e la riappacificazione con l'Arabia Saudita. E' così? «Il regime sta tessendo la sua tela geopolitica nella regione. Ma più stringe patti e più cresce l'odio degli iraniani per il denaro investito in cause lontane, Siria, Yemen, la guerra di Putin contro l'Ucraina. La palla è ora nella metà campo delle società democratiche: scenderanno a compromessi con l'Iran o lo incalzeranno sui diritti? Sarebbe un errore credere che la politica estera di Teheran possa frenare l'onda popolare».

Come sono cambiate le iraniane da quando è via? «Le ragazze sono più che intrepide, stanno concretizzando il nostro sogno di passeggiare per le strade di Teheran senza velo. Per questo il regime ha paura: se si trattasse di combattere un'organizzazione politica sarebbe facile arrestarne i leader e finirla lì, ma si tratta di contrastare milioni di donne e di uomini che si oppongono con una lingua universale e non ideologica. Questa rivoluzione iraniana prova al mondo che i diritti umani non sono appannaggio delle democrazie ma sono universali. Il popolo iraniano da una parte e quello ucraino dall'altra difendono in questi mesi in modi diversi il diritto di qualsiasi società a rivendicare la libertà».

Come sono cambiati gli uomini in Iran, quelli che oggi vengono impiccati perché lottano con le compagne? «Dimentichiamo troppo spesso gli iraniani, quelli che ,contrariamente a quanto vorrebbe la teocrazia, affiancano le donne anziché pretendere di dominarle. Ricordo una campagna di qualche anno fa in cui le donne si svelavano e gli uomini si velavano. Non stiamo assistendo a una rivoluzione di genere, è la vita. Le donne sono iconiche, ma non ci sarebbe questo movimento senza l'altra metà della popolazione. E ballano».

L'opinione pubblica internazionale è incostante. Cosa potrebbe fare concretamente l'Europa per sostenere la sfida del popolo iraniano in modo da evitargli l'oblio? «Ci sono tante strade, una è certamente quella di mettere sotto pressione finanziaria la struttura del regime, dalle Guardie della Rivoluzione fino alle tv governative. C'è poi il supporto mediatico. Mia madre mi diceva sempre: "Racconta al mondo cosa ci succede, il regime vuole che gli iraniani si sentano isolati". Non dovreste distrarvi perché più democrazia in Iran significa più democrazia anche per voi, la destabilizzazione regionale promossa dall'Iran non riguarda solo la regione. E voglio aggiungere che non è più tempo di cercare l'accordo sul nucleare: quel tempo è finito».

A gennaio La Stampa ha raccolto quasi 400 mila firme per chiedere la fine delle esecuzioni in Iran e la liberazione degli attivisti. Cosa può fare oggi l'Italia? «La campagna promossa da La Stampa è stata utilissima per fare sentire l'Italia vicino agli iraniani. I media possono ancora avere un effetto sull'opinione pubblica e possono mettere sotto pressione la politica, anche in Europa, con specifiche domande. Penso all'ipotesi di inserire i pasdaran nella lista delle organizzazioni terroriste».

Cosa si aspetta dal regime iraniano adesso? «Proveranno ad aumentare la repressione perché hanno il terrore delle riforme, sanno che se dessero un'unghia gli iraniani vorrebbero di più. Al punto in cui siamo le riforme sono impossibili».

Chi pensa potrebbe guidare un'ipotetica transizione? «La transizione sarà difficile, nessuno la sottostima. Ma ci sono persone dentro e fuori l'Iran che stanno riflettendo su questo tema. Bisogna evitare l'estremismo opposto a quello del regime, che pure è un rischio. Quando penso al mio Paese penso al Sudafrica della riconciliazione post apartheid. Non abbiamo ancora un Mandela ma ci sono persone interessanti».

Un intervento americano sarebbe auspicabile o potrebbe essere controproducente per la rivoluzione? «C'è differenza tra interferenza e sostegno. Gli Stati Uniti dovrebbe pensarci. Gli iraniani chiedono loro di schierarsi con la società democratica ma non sui jet. Alcuni a Washington credono, paternalisticamente, che non tutti i popoli siano pronti per la democrazia. Basta guardare a come sono stati abbandonati gli afghani. Ecco, vorremmo che l'America e il mondo ci sostenessero da fuori, credendo che noi iraniani meritano di essere liberi».

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