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La Stampa Rassegna Stampa
03.06.2023 Iran, nel 2023 triplicate le esecuzioni in carcere
Commento di Fabiana Magrì

Testata: La Stampa
Data: 03 giugno 2023
Pagina: 22
Autore: Fabiana Magrì
Titolo: «I social diventano armi contro il regime la rivoluzione tech delle donne iraniane»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 03/06/2023, a pag. 22, con il titolo "I social diventano armi contro il regime la rivoluzione tech delle donne iraniane", l'analisi di Fabiana Magrì.

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Fabiana Magrì

Holes in the Net: Social Networks & Social Changes in Iran - Leiden  University

L'obiettivo più ampio, il rovesciamento del regime, è ancora di là da venire. Ma anche se il movimento delle proteste in Iran non ha ancora vinto la sua guerra, chi si abbevera al bicchiere mezzo pieno segnala e applaude i video sui social media che mostrano molte donne in pubblico camminare sicure di sé per le strade di Teheran a capo scoperto. Non tutte. Alcune portano il velo sulle spalle o a mo' di sciarpa, pronte a tirarlo su, perché non si sa mai. Ma, almeno nella quotidianità, qualcosa è cambiato. In un tweet con video di una ragazza a passeggio tra altre donne velate, lei lunghi capelli scuri, pantaloni neri e top senza maniche che lascia scoperte spalle e braccia, l'attivista Masih Alinejad scrive che "il leader supremo della Repubblica islamica ha tentato di costringere le donne iraniane alla sottomissione e costringerle a coprirsi i capelli e obbedire alle leggi obbligatorie sull'hijab o affrontare punizioni brutali. Le donne iraniane hanno risposto non solo lasciando i capelli al vento, ma anche vestendosi come vogliono". C'è poi un fenomeno di onda più lunga, emerso recentemente sui social, che nasce nel privato delle famiglie religiose, le cui giovani figlie femmine respingono le regole islamiche a casa. E si mostrano "prima" (con il velo) e "dopo" (senza). Ma anche prima e dopo la rivoluzione in nome di Mahsa Amini. I video sui social mostrano anche come le proteste, tra l'ottavo e il nono mese, vanno avanti, anche se non con l'intensità dell'inizio. Ma almeno una volta alla settimana, a Zahedan e in altre città della provincia del Sistan e Balucistan dove la repressione da parte dei pasdaran e dei basiji è stata più violenta, gli iraniani scendono in strada a scandire slogan come "da Zahedan a Teheran, sacrificherò la mia vita per l'Iran". O sporadicamente, come qualche sera fa, quando i manifestanti sono scesi in piazza, in piena notte, ad Abdanan, nella provincia di Ilam. L'ha riportato Radio Free Europe/Radio Liberty, canale di notizie indipendente, spiegando che la gente ha reagito alla morte di Bamshad Soleiman-Khani, studente di 21 anni arrestato durante precedenti proteste in città. La versione ufficiale sulla causa della morte parla di suicidio farmacologico. Perché in ogni caso, il bicchiere resta ancora mezzo vuoto. L'agenzia di stampa Mizan, due settimane fa, ha reso noto che tre giovani uomini arrestati mesi fa nell'ambito delle manifestazioni sono stati impiccati a Isfahan. Accusati di coinvolgimento nell'uccisione di tre agenti di sicurezza a Isfahan nel novembre del 2022, sono stati condannati a morte. Con loro è salito a sette il bilancio dei manifestanti impiccati da dicembre. Se la notizia dei tre ragazzi uccisi ha innescato altre proteste, i gruppi per i diritti umani temono che ulteriori condannati subiranno esecuzioni, nonostante il Dipartimento di Stato Usa abbia esortato l'Iran ad astenersene. E sei eminenti iraniani, giuristi e avvocati, hanno inviato una lettera al segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres esprimendo grave preoccupazione. Una preoccupazione che, denuncia Amnesty International, riguarda le sorti di tutti i prigionieri nelle carceri iraniane. "Dall'inizio del 2023 le autorità iraniane hanno messo a morte, sempre a seguito di processi iniqui, almeno 173 prigionieri per reati di droga, quasi il triplo rispetto al numero del 2022." Le autorità iraniane, secondo il rapporto pubblicato da Amnesty, hanno messo a morte prigionieri per altri atti che, in base al diritto internazionale, non dovrebbero mai comportare la pena capitale. La Ong denuncia ancora che nei primi cinque mesi del 2023, diversi uomini sono stati impiccati in relazione alle proteste, ma uno per "adulterio" dopo che aveva avuto una relazione sessuale consensuale con una donna sposata e altri due per attività sui social media. Atti che sono costati loro i capi di accusa di "apostasia" e "offesa al profeta dell'Islam".

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