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La Stampa Rassegna Stampa
06.05.2023 La Wagner minaccia Putin
Commento di Anna Zafesova

Testata: La Stampa
Data: 06 maggio 2023
Pagina: 17
Autore: Anna Zafesova
Titolo: «Se le minacce del "cuoco del Cremlino" sono uno squarcio di verità nel regime»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/05/2023, a pag.17 con il titolo "Se le minacce del "cuoco del Cremlino" sono uno squarcio di verità nel regime" il commento di Anna Zafesova.

Anna Zafesova | ISPI
Anna Zafesova

Wagner Group boss Yevgeny Prigozhin applauds murder of former fighter | CNN
Evgeny Prigozhin

Strabuzza gli occhi, digrigna i denti, grida e sputa parolacce: la recitazione di Evgeny Prigozhin assume toni esagerati, ma è proprio questo che gli permette di conquistare i titoli dei giornali. Il capo del gruppo Wagner si è costruito con cura l'immagine del personaggio più estremo e brutale del regime putiniano, e non è la prima volta che appare accanto a dei cadaveri. È un esteta e un cantore della violenza, e uno dei motivi per cui fa paura – e fa notizia – è proprio la sua fama diabolica di un cattivo che si sente a proprio agio in mezzo all'inferno. Ma nel momento in cui ordina al suo cameramen di girare l'obiettivo sulle decine di cadaveri dei suoi mercenari stesi per terra, e gli urla «Riprendi! Mostrali!», smette di essere soltanto un abile manipolatore dei media (del resto, è stato lui a inventare la "fabbrica dei troll" che ha trasformato i fake in Rete in una industria e uno strumento politico), e va oltre anche il suo personaggio di signore della guerra che fa il lavoro sporco per il Cremlino. Diventa un politico. I tre video girati da Prigozhin nell'arco di poche ore lasciano pochi dubbi sui suoi obiettivi: sono le nuove puntate della telenovela «Wagner contro generali», con le ormai classiche accuse del capo dei mercenari al ministero della Difesa russo di non fornirgli le armi necessarie per la sua vittoria. Non è nemmeno chiaro perché il ministro Sergey Shoigu il capo dello Stato Maggiore Valery Gerasimov dovrebbero aiutare un uomo che li insulta con parolacce che, pronunciate in pubblico, possono costare in Russia un arresto, e che non si fa scrupolo di rivendicare per il suo esercito tutti i (pochi) meriti nell'offensiva di Bakhmut. Nel terzo video, uscito nel pomeriggio, un Prigozhin molto più pacato si rammarica per il licenziamento del generale Mizintzev, ex responsabile della logistica al fronte e suo alleato: dopo la furia della denuncia dei morti, e la minaccia del ritiro tra cinque giorni, si passa dunque a una lotta per l'influenza al comando. Che Prigozhin sta inevitabilmente perdendo: può essere più spietato a combattere, ma il suo background di galeotto e ristoratore, che ha vinto appalti ingraziandosi le guardie del corpo di Putin, non l'ha preparato allo scontro con una macchina del potere collaudata come l'esercito russo. È molto probabile che quanto affermato da diversi analisti sia vero: i Wagner hanno scommesso tutto su Bakhmut e, invece di portare a Putin la vittoria che voleva, sono stati mandati avanti dai generali a farsi massacrare. Dopo nove mesi, Bakhmut non è caduta, e invece di litigare per chi porterà al Cremlino la vittoria oggi Prigozhin e Shoigu competono su chi riuscirà a scaricare sull'altro i propri insuccessi. I militari hanno ormai imparato le tecniche, reclutano i galeotti senza appaltarli ai Wagner, e gli eserciti privati di contractor stanno proliferando. E Prigozhin comincia paradossalmente a raccontarsi non più come soldato del regime, ma come sua vittima. La sua filippica contro i generali che «stanno nei loro uffici rivestiti di mogano», «vanno nei club esclusivi» mentre i loro figli «girano video su YouTube» lo cala nel ruolo del comandante intriso di sangue e polvere che si scaglia contro i cortigiani. Un classico delle guerre. E un'accusa di una violenza che la politica russa non conosceva da anni. Mostrare i cadaveri di giovani insanguinati che «ancora ieri erano i padri e i figli di qualcuno» è un j'accuse impensabile, e anche se Prigozhin non pronuncia mai il nome di Putin, non è più una critica di singoli generali, e un'accusa al regime. Il padre dei fake dice una cosa vera, mostra brutalmente i caduti «inutili e ingiustificati», squarcia il velo della propaganda di cui lui stesso è uno degli elementi portanti. La sua estetica pulp, da film di Tarantino, appare molto più vera dell'immaginario cinematografico putiniano, un mix di pellicole belliche sovietiche e film spaccatutto con Steven Seagal. Nella sua filmografia, Prigozhin ricatta Putin, minaccia Putin, implora Putin. Ma, per la prima volta dopo decenni in cui tutti gli attori della politica russa, qualunque cosa avessero detto o fatto, si rivolgevano al capo dello Stato, non solo motore ma anche destinatario di ogni iniziativa politica russa, qualcuno si è rivolto anche all'opinione pubblica. Con il suo populismo rabbioso – le invettive contro i generali che si arricchiscono mentre i soldati muoiono potrebbero essere uscite dalla penna di un Navalny – Prigozhin non solo è già diventato il newsmaker russo più seguito, quasi più di Putin, ma appare molto più vero, e temibile, di quella corte di funzionari e propagandisti che continua a minacciare la bomba atomica contro Londra e Berlino, mentre manda le mogli a fare shopping a Parigi e i figli a studiare a Londra. Resta da vedere quanto potrà durare la trasformazione del capo dei mercenari in tribuno della rabbia popolare.

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