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Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/05/2023, a pag.1-27, con il titolo "Il compromesso non porta la pace", il commento di Nathalie Tocci.
Nathalie Tocci Vladimir Putin Piovono missili e droni sulle città ucraine. A Uman, nell’ultima settimana, sono morti 23 civili, di cui 4 bambini. L’altra notte, la difesa aerea ucraina ha intercettato e distrutto 18 droni russi su 24. Non è difficile fare i conti: quanti civili ucraini sarebbero morti se non ci fosse stata una difesa antiaerea, di cui gli ucraini dispongono solo perché inviata dai Paesi occidentali? Chi si oppone all’invio di armi, chi sostiene che tutto questo sia solo il frutto di cinismo e miopia per beneficiare l’industria delle armi, chi si gonfia il petto con la parola “pace”, farebbe bene a fare un calcolo veloce. Prendo spunto per una riflessione sulla pace ed il pacifismo. Nel dibattito pubblico italiano, tutto spesso si riduce a tifoserie contrapposte: pacifisti contro guerrafondai, sinistra contro destra, diplomazia contro armi. Ma se davvero ci interessa capire cosa accade nel mondo con un briciolo di onestà intellettuale, tocca chiederci: queste contrapposizioni nette sono utili? Johan Galtung, apripista degli studi sulla pace negli anni Sessanta, definì la pace come il soddisfacimento reciproco di bisogni primari umani, a partire da diritti umani e libertà fondamentali, ma inclusi anche diritti collettivi come quelli delle minoranze, al pari dei diritti sociali ed economici. Tra questi bisogni primari rientra la sicurezza, ma non, invece, le velleità di un leader come Vladimir Putin di voler passare alla storia ricostituendo un vecchio impero tramite l’occupazione illegale di territori e la repressione di popoli più piccoli e deboli. Un confitto diventa violento quando la via prescelta per soddisfare questi bisogni primari nega quelli altrui. È, dunque, sacrosanto il diritto alla sicurezza dei russi all’interno del loro Stato. È vero per la Russia così come lo è per Israele, per l’Arabia Saudita o qualunque altro Stato. Diverso però se la via prescelta per assicurare la propria sicurezza è l’occupazione del territorio altrui e la negazione dei diritti della sua popolazione – sia essa ucraina, palestinese o yemenita. La diplomazia non serve a trovare un “compromesso” tra il violentatore e la violentata, che si lascerebbe così violentare solo a metà. Serve, semmai, a persuadere il violentatore che i suoi bisogni primari non richiedono la sottomissione dell’altra parte. Raramente, tuttavia, il violentatore si convince solo a parole. Purtroppo, prima deve capire che la violenza non è una via percorribile. La costruzione della pace predilige la diplomazia, ma non ripudia la difesa. L’invasore deve essere respinto. E sì, deve essere sconfitto. La pace non è sinonimo di compromesso né coincide con l’idea che non ci possano essere né vincitori né vinti. Dipende da chi sono e cosa volevano tanto gli uni quanto gli altri. Se un compromesso porta all’imperialismo a metà, ad un’occupazione a metà, a pulizia etnica o genocidio a metà, quel compromesso è antitetico alla pace. La pace non è sinonimo di giustizia, ma non può essere in contrapposizione ad essa. È vero che se una sconfitta-vittoria porta a calpestare i diritti degli aggressori a favore degli aggrediti, la fine di una guerra non porta ad una pace giusta. Ma se invece, una sconfitta-vittoria militare apre la strada, attraverso la diplomazia, ad una soluzione in cui i bisogni primari di tutti vengano rispettati, allora sì che diventa possibile una pace duratura. La pace non è né di destra né di sinistra. Queste due sono categorie che mal si applicano alle relazioni internazionali, ambito in cui ci sono realisti, idealisti, costruttivisti, e molto altro. Per capirci, tra i realisti si trovano marxisti vecchio stampo e repubblicani “kissingeriani”, tra gli idealisti, liberali e democratici ma anche i più radicali tra i neoconservatori. Pace e pacifismo non sono sinonimi di menefreghismo o indifferenza. I pacifisti, quelli veri, vogliono costruire un mondo migliore in cui la pace si costruisce tanto in Ucraina quanto in Palestina, in Yemen o in Sudan. Non voltano le spalle all’Ucraina negandole il diritto di difendersi solo perché in Italia la liberazione è già avvenuta e l’esercito di Putin non arriverà mai a Roma. Ciò che accade al di fuori dei nostri confini è anche affare nostro e vale la pena rischiare e pagare un prezzo per difendere i più deboli, mettendoli nella condizione di costruire una pace giusta. Per questo sostengo il diritto di Kyiv a resistere e difendersi, ponendo così le basi per una pace giusta in cui il diritto internazionale sia rispettato, in Ucraina come altrove. Quando venti anni fa manifestavo assieme a centinaia di migliaia di persone in tutt’Europa nei mesi bui che precedettero l’invasione americana dell’Iraq ero circondata da pacifisti, quelli veri. Sarebbe bello vedere le stesse folle in Italia manifestare contro l’invasione russa dell’Ucraina. Quello sì che sarebbe un pacifismo volto alla costruzione della pace.
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