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La Stampa Rassegna Stampa
23.03.2023 Un'analisi dettata da Putin
di Domenico Quirico

Testata: La Stampa
Data: 23 marzo 2023
Pagina: 9
Autore: Domenico Quirico
Titolo: «Con i proiettili all'uranio Londra alza solo la tensione»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 23/03/2023, a pag.9 con il titolo "Con i proiettili all'uranio Londra alza solo la tensione" il commento di Domenico Quirico.

Anni fa Domenico Quirico è stato rapito da un gruppo di terroristi. Il suo innamoramento per il terrorista Putin non sarà una forma di sindrome di Stoccolma?

Ecco l'articolo:

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Domenico Quirico

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Lenin lo definiva l'imperialismo dei pezzenti. Perfetto. Sono coloro che non hanno i mezzi ma vorrebbero, quelli che fanno la voce grossa con slogan brodosi e di facile impegno ma hanno arsenali e borsellino vuoti, i bluffatori, i rospi della politica internazionale che si gonfiano per sembrare più grossi. Li riconoscete subito. Perché fanno chiasso con superlativi esuberanti e deliranti. Gli imperialisti veri, quelli di zecca, quelli con la Roba, sono silenziosi, colpiscono, occupano, distruggono. Putin per esempio. Come gli invadenti americani: lo potrebbero testimoniare popoli interi, a partire dai messicani nel 1846 quando i "gringos" appena sbocciati alla primavera del Destino Manifesto, li alleggerirono con una guerra di aggressione sporchissima di metà del territorio. Nella orribile mischia ucraina, scontro tra imperi veri o verosimili, spuntano rospetti da un anno impegnati a gonfiarsi a dismisura. Purtroppo contribuendo scalino dopo scalino, tacca dopo tacca a far ascendere il conflitto verso orizzonti sempre più vasti e foschi. Perché gli imperialismi di riporto, di modesta pecunia, sono convinti che soltanto se la guerra si fa grossa, al riparo di una potenza vera, loro avranno spazio e diritto a ritagliarsi sciacalleschi bocconcini della vittoria. Devo a Boris Johnson, primo ministro di Sua Maestà nella prima fase della guerra, una doverosa riparazione. Pensavo che il fervore bellicista, le sbandierate passeggiate da moschettiere a Kiev insieme all'amico Zelensky che hanno fatto scuola costringendo anche gli altri leader occidentali a imbarazzati pellegrinaggi nella aggredita Gerusalemme ucraina, fosse tutta opera sua. Non era la doverosa, obbligatoria scelta dell'aggredito di fronte alla prepotenza dell'aggressore. La infarinava con qualcosa di più, officiava patriarcalmente sulla successiva resa dei conti, sulla vendetta. Se qualcuno nella Nato esitava il micro Churchill dell'era del tweet inveiva, fulminava la pavidità degli indecisi, faceva saltar fuori come un prestigiatore da un sacco senza fondo munizioni bombe cannoni, era sulle barricate della Terza guerra mondiale che per lui aveva un solo difetto, di non esser ancora dichiarata, esplicita, combattuta sul campo. Perfino gli americani arrancavano dietro la linea rossa, un po' zizzagante, di difendere l'Ucraina e non oltre; ma al Numero Dieci già eran pronti a caricare di nuovo a Balaclava, a marciare su Mosca e chissà fin dove. Ho pensato fosse solo il bluff di uno sgangherato Falstaff bellicista che non aveva epurato dalla biblioteca i libri di Kipling profumati con il redditizio fardello dell'uomo britannico. Infatti gli stessi inglesi lo hanno licenziato bruscamente, sepolto da un cumulo di bugie e incompetenza. E invece mi sbagliavo. Due primi ministri dopo, Londra guida sempre l'avanguardia della guerra contro la Russia a tutti i costi, con tutti i mezzi, in ogni luogo, non hanno affatto smarrito il lessico di Boris. Munizioni contraerea missili obici anticarro siluri carrarmati istruttori: non basta? No! É il momento dei proiettili insaporiti all'uranio, per nuocer di più e lasciar tracce velenose e su tutti, buoni e cattivi. Gli europei stanno entrando in guerra camminando all'indietro, rinculando, ripetendo ad ogni passetto in più verso la catastrofe dell'impegno diretto sul campo la giaculatoria dell'esser pacifisti, di non veder l'ora di imboccare il boulevard della pace. Come se questi due estremi non fossero degli opposti che si elidono, e l'una uccide l'altra. Facendo finta di non sapere che la pace su questa via è possibile solo se si chiama resa senza condizioni del nemico. E quella bisogna ottenerla, accettando di pagare un prezzo diretto e non solo versando cambiali agli altri. Il Regno Unito no: della pace non vuol sentir parlare, coniuga la parola solo se si traduce con vittoria. Sono sempre un passo avanti, gli inglesi, incitano, eccitano, soffiano e quando la brace sembra meno vispa trovano i modo per ravvivarla provocando e aumentando la posta. Come accade gettando sul campo i proiettili all'uranio. Un tempo operavano in proprio, dalle guerre dell'oppio alla strage degli zulu alla più domestica Irlanda. Facevano scuola di imperialismo: nel 1952 in Malesia, messi alle strette dalla guerriglia comunista, irrorarono le selve con l'acido. Gli americano vi trassero proficua ispirazione per ammansire con i defolianti i Vietcong. L'ultima impresa imperiale autonoma fu Suez, 1956. Un figuraccia, una umiliazione per di più proprio per mano americana che voleva sfilare all'Impero agonizzante il vicino oriente. In quel momento i politici inglesi compresero che il mondo era diventato troppo grande per un made in England lillipuziano, decrepito e fatiscente e hanno scelto le meste attrattive della subordinazione istituzionale e sistemica agli americani. Sì. erano loro ad aver bisogno degli americani per contare ancora qualcosa nel groviglio polimorfo del mondo nuovo e non il contrario. Tutti i premier inglesi, laburisti e conservatori, hanno fatto a gara a chi era il maggiordomo più efficiente e laborioso di Washington. Erano passati nel palazzo imperialista dal piano nobile alla soffitta della servitù. Poco male, l'importante era restare nel palazzo, raccogliere mance e briciole dalla potenza dei nuovi padroni di casa. Come fu per il micro revival coloniale delle Falkland regalato da Reagan alla Thatcher con pecore e ottusi golpisti argentini. L'unico primo ministro che cercò davvero un'altra via fu il conservatore Heath, un volenteroso europeista che sperava in una sponda per non doversi appollaiare sempre sulla spalle del presidente americano di turno. Parentesi senza seguito. La perfezione ancillare fu raggiunta con Blair, inventore della formula dell'imperialismo postmoderno, diceva lui, informale e filantropico. Una bugia come quelle, assai formali, che pronunciò per appoggiare l'invasione americana dell'Iraq. Nel 1997 l'ambasciatore inglese a Washington, appena nominato, ricevette queste istruzioni da Jonathan Powell capo gabinetto di Blair: «Attaccati al culo della Casa Bianca e resta lì». Blair parlava più pudicamente di «camminare spalla a spalla» con la democrazia americana. Son cambiati i governi, le guerre, le bugie. Gli inglesi sono sempre fermi lì.

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