|
| ||
|
||
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/01/2023, a pag.3 con il titolo "Vladimir pacifista non inganna più nessuno" il commento di Anna Zafesova.
«Non si può nemmeno parlare di una tregua!». È forse la prima volta che i soldati di Putin gli disobbediscono così apertamente, e il fatto che a esplicitare il disaccordo con la proposta di un cessate il fuoco sia proprio un uomo totalmente dipendente dal Cremlino come il governatore dei territori occupati della regione di Donetsk Denis Pushilin è sintomo di qualcosa che si sta incrinando nella piramide del potere russo. Il presidente diventa improvvisamente "pacifista", e perfino il suo portavoce Dmitry Peskov sceglie di dare un'altra chance alla tregua rifiutata dai funzionari di Kyiv, mettendo in dubbio che «sia una decisione di Zelensky». Ma a rispondere, ancora prima del presidente, è il popolo dei fedelissimi putiniani, gli "inviati di guerra", i blogger nazionalisti, i troll manovrati nelle chat delle "vedove dei soldati" e delle "madri del Donbass", che urlano tutti al «tradimento», al pericolo di «un nuovo accordo di Minsk», parlano di «follia» e si permettono addirittura di considerare l'ordine del presidente di far tacere i cannoni per 36 ore una "fake news". Se l'obiettivo di Vladimir Putin era mostrarsi un comandante supremo moderato e dialogante, oltre che un credente che fa un gesto di buona volontà prestando ascolto all'appello di pace del capo della chiesa russa, è proprio la sua base di fedelissimi "dio, patria e famiglia" ad affondare l'idea ancora prima della controparte ucraina, e mentre il patriarca Kirill propone una tregua di Natale in un «conflitto interno al nostro popolo», Pushilin non ha dubbi: «I leader dell'Ucraina non possono essere considerati ortodossi». I russi considerano dunque la guerra ora anche religiosa, dopo che il governo di Kyiv ha tolto alla chiesa di Mosca l'usufrutto della cattedrale dell'Assunzione, il santuario centrale del leggendario monastero delle Grotte, dove la liturgia del Natale ortodosso verrà officiata oggi dal capo della chiesa ortodossa nazionale ucraina. Resta da capire se Putin abbia lanciato la proposta di tregua come una provocazione, per poi addossare agli ucraini la colpa della sua violazione, o se veramente sognava le 36 ore di cessate il fuoco come una "boccata di ossigeno", come crede Joe Biden. L'esordio dell'anno sul fronte è stato tumultuoso per i russi: al massacro di centinaia neocoscritti a Makiivka, nei primi secondi dell'anno nuovo, si sono aggiunti già altri due attacchi mirati alle caserme russe nei territori occupati, con altre decine di soldati morti ancora prima di prendere in mano il fucile. La rabbia per la clamorosa incompetenza dei militari ha fatto ripartire la girandola di voci moscovite su un imminente cambio al vertice del ministero della Difesa e dello Stato Maggiore, e non è escluso che la proposta di tregua sia anche un tentativo degli esperti di immagine del Cremlino di evitare di aggiungere a una «carneficina di Capodanno» anche una «carneficina di Natale». Inoltre, sempre più commentatori russi insistevano per una apparizione del presidente al fronte, e la goffa smentita del solito Peskov - «non siamo a conoscenza dei presunti piani di Putin di visitare Donetsk a Natale» - fa pensare che la tregua poteva essere funzionale a creare una finestra di sicurezza per una photo opportunity di Putin in stile Zelensky. Che la Russia abbia bisogno di una "boccata di ossigeno" è evidente, ed è curioso che la proposta di tregua unilaterale sia venuta fuori nella telefonata di Recep Tayyip Erdogan con Putin, mentre a quanto pare, non se ne è fatta menzione nella successiva conversazione del leader turco con il presidente ucraino, al quale Ankara ha invece promesso una cinquantina di nuovi blindati. Quasi contemporaneamente anche gli Usa e la Germania hanno annunciato l'invio di altri mezzi militari e missili antiaerei, e la reazione della diplomazia internazionale all'apertura di Putin è stata molto tiepida. È possibile che sia stato proprio Erdogan a insistere con il collega russo per un gesto di buona volontà, dopo che le ripetute ondate di missili e droni russi su Kyiv e altre città ucraine avevano semmai mostrato una totale indifferenza di Mosca verso gli aspetti umanitari e umani della guerra. Anche l'ennesimo post minaccioso dell'ex presidente Dmitry Medvedev, che ieri ha definito la fregata russa con i missili Zirkon partita verso gli Usa come «il miglior regalo di Capodanno alla Nato» (e promesso di «usare solo il linguaggio della forza e delle armi»), sembra in netto contrasto con l'improvviso "pacifismo" putiniano. Ma anche se Putin avesse deciso veramente per una svolta, scopre ora che aver scommesso, consapevolmente e ripetutamente, sulle correnti più estreme e le retoriche più irriducibili, gli toglie spazio di manovra. Per essere convincente, un cambio di rotta a questo punto deve essere anche un cambio di sostanza del regime.
Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare 011/ 65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante lettere@lastampa.it |
Condividi sui social network: |
|
Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui |