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La Stampa Rassegna Stampa
09.11.2022 Grazie ai soldati ucraini per la libertà
Cronaca di Rick Mave

Testata: La Stampa
Data: 09 novembre 2022
Pagina: 16
Autore: Rick Mave
Titolo: «Ritorno alla vita»
Riprendiamo oggi, 09/11/2022 dalla STAMPA, a pag. 16, con il titolo "Ritorno alla vita", il commento di Rick Mave.

RickMavePhotography | Sedition
Rick Mave

Israel reportedly leaning toward sending defensive military aid to Ukraine  | The Times of Israel

La strada che da Krivy Rih si dirige verso sud è uno stradone sterrato che alterna ghiaia e polvere ad un asfalto rovinato e bucato dal tempo e dalla guerra, vi è un solo posto di blocco all'uscita della città dove vengono controllate solo le automobili in entrata. Nel percorso incontriamo una colonna di veicoli militari probabilmente diretti al fronte. Nella boscaglia ai lati della strada si trovano le postazioni militari, vediamo alcuni uomini indaffarati a riparare un mezzo blindato e carri armati interrati e mimetizzati sotto frasche e teli verdi per non essere identificati dai droni russi. La superstrada H23 che percorriamo va in direzione sud verso Maryanske sulle sponde del fiume Dnipro per poi continuare fino a Nikopol ed infine a Zaporizhzhia. Noi ne usciamo all'altezza di Apostolove per dirigerci in direzione di Vysokopillia. Abbandonato l'Oblast di Dnipropetrovsk, entriamo nell'Oblast di Kherson, andiamo verso i paesi che prima erano sotto il controllo russo, dove ora parte della popolazione sta ritornando lentamente a vivere. Man mano che ci si avvicina, curva dopo curva, il panorama cambia. Superate delle rotaie, relitti di un camion e di un autobus distrutti giacciono a lato di un campo di girasoli incolti, che neri e secchi oscillano al vento. Due enormi campane di ferro utilizzate per bloccare il passaggio ai russi durante l'occupazione sostano come pilastri ai lati della strada. Dall'altro lato le trincee scavate dagli ucraini, ed ora abbandonate, ridisegnano il paesaggio dove alcune vacche pascolano tra porte di calcio arrugginite. I primi colpi d'arma da fuoco che ascoltiamo mentre ci avviciniamo sono quelli dello sminamento del territorio di Vysokopyllia. Suono amico, ci dicono degli anziani che in questi mesi hanno imparato a distinguerli e riconoscerli. I paesini che visitiamo, a un primo sguardo fugace, sono per lo più distrutti e disabitati. A Knyazivka, come a Topolyne, i panni stesi tra le macerie sono il primo segno di case riabitate. In lontananza, ora, al rumore delle mine fatte brillare si aggiungono anche i colpi di artiglieria. Nei viali si sentono suoni acuti, metallici, martellii che risuonano di casa in casa: gente che aggiusta finestre, ripara tetti, divelle porte che non si aprono da mesi, taglia della legna da ardere per scaldarsi, smonta componenti di un carro armato abbandonato dai russi in fuga. Una comunità impegnata a riprendersi caparbiamente la propria casa, e con essa la propria vita. Certo le case sono distrutte, l'elettricità e il gas non ci sono e l'acqua dei pozzi scarseggia, ma chi ha almeno mezza casa ancora in piedi prova a rimetterla in sesto per tornare a viverci prima che arrivi l'inverno. Procediamo e attraversiamo Vysokopyllia, qui il panorama cambia ancora, incontriamo più distruzione, carri armati abbandonati, trincee russe distrutte, strade con segni di granate. Ci dirigiamo verso Potomkyne dove la polizia sta facendo ricerche per certificare possibili crimini di guerra commessi dall'esercito russo durante l'occupazione. Il paese è totalmente distrutto, inclusa la chiesa all'interno della quale i soldati russi avevano scavato un rifugio. Incontriamo Larysa e Sergey, marito e moglie, che prima dell'occupazione russa del paese sono riusciti a scappare a Krivy Rih. Sono ritornati a vedere la loro casa che hanno scoperto essere stata utilizzata come base dai russi. La moglie è preoccupata perché mentre il marito rimuoveva delle macerie ha trovato dei missili conficcati nel terreno, ci sono gli specialisti delle forze armate ucraine sul posto che controllano gli ordigni. La casa è totalmente distrutta, non ha neanche più il tetto, l'unica cosa che rimane tra le pareti scartavetrate sono due giacche militari russe appese al muro. Nel magazzino dove avevano le conserve, i semi e gli attrezzi per lavorare in campagna campeggia la scritta in russo Gorlovka, città della regione del Donetsk, nel Donbass, probabilmente scritta dai militari delle Forze separatiste filorusse dell'autoproclamata Repubblica di Donetsk. Torneranno a viverci in primavera, dicono, li salutiamo. Prima di andare via, Andrei, il militare che ci accompagna, riflettendo, mentre camminiamo in strada tra le macerie, ci spiega che l'Ucraina ha sempre vissuto in guerra sin dalla sua nascita come nazione, pur non avendo mai attaccato nessuno. «È un paradosso - afferma - un sanguinoso paradosso», mentre alza lo sguardo verso una bandiera ucraina che sventola su un palo di cemento semidistrutto dai bombardamenti. Su di essa, racconta, i primi civili tornati in paese hanno posto una scritta: «Grazie esercito ucraino per la libertà».

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