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La Stampa Rassegna Stampa
26.05.2022 L'Italia, Draghi e il gas di Mosca: 'No alla sottomissione'
Cronaca di Alessandro Barbera

Testata: La Stampa
Data: 26 maggio 2022
Pagina: 14
Autore: Alessandro Barbera
Titolo: «L'Italia, Draghi e il gas di Mosca: 'No alla sottomissione'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/05/2022, a pag. 14, con il titolo "L'Italia, Draghi e il gas di Mosca: 'No alla sottomissione' ", la cronaca di Alessandro Barbera.

Alessandro Barbera
Alessandro Barbera

Draghi:
Mario Draghi

Più che la dipendenza, rischiamo «la sottomissione» al ricatto del gas russo. A pochi giorni dal vertice straordinario di Bruxelles dedicato all'energia, le parole ad effetto assumono un preciso significato. Milano, ieri. Mario Draghi è nell'aula magna dell'Università Bocconi per discutere di temi molto diversi da quelli raccontati nel noto saggio di Houllebecque, ma in effetti si parla anche qui di nemici della democrazia e di futuro dell'Europa. La guerra in Ucraina ha sconvolto il mondo, ha fatto esplodere l'inflazione, sta cambiando le regole della globalizzazione. Il premier invita a prenderne atto, accelerando con quella che per lui è ormai un'idea fissa: più Europa. «La pandemia ci ha insegnato che ci sono ormai questioni che non possono più essere affrontare dalle singole nazioni». Draghi però non sembra scommettere nell'Europa che temono i sovranisti. Lo chiama ancora una volta «un federalismo pragmatico» in cui l'integrazione si fa se e quando conviene a tutti. Oggi all'Unione serve una difesa comune, e così dovrebbe essere. Se sarà capace di crearla, il resto verrà da sé: una politica estera vera, il numero di telefono a Bruxelles che invocava Barack Obama, e magari un barlume di politica industriale europea. «Non abbiamo bisogno di spendere di più di quanto si faccia ora, perché il nostro bilancio è già il triplo della Russia. Basterebbe avere maggiore coordinamento». Dire che lo si farà in modo integrato a Stati Uniti e Nato «non è del tutto vero». Il premier è a Milano per ricordare l'amico Alberto Alesina, parla a braccio in inglese, alla sua destra c'è l'ex segretario al Tesoro americano Larry Summers, a destra l'ex direttore del Financial Times. In prima fila un pezzo di establishment: l'amico e consigliere Francesco Giavazzi, il ministro della transizione digitale Vittorio Colao, i più famosi economisti italiani. Insomma, il contesto è di quelli che lo mettono a suo agio, più consoni delle riunioni coi partiti. L'unica caratteristica invariabile dell'uomo è l'eloquio controllato. Draghi dice che la situazione dell'economia europea è molto diversa da quella americana, e che l'inflazione "core" (ovvero depurata dei prezzi dell'energia) è molto più bassa. Il retropensiero è quello che l'ex banchiere centrale non può esplicitare: l'aumento dei tassi di interesse da parte della Bce può aspettare. Per l'Italia ogni piccolo aumento significherà un aumento del costo di finanziamento del debito pubblico. Certo è che la guerra sta facendo danni enormi alla catena del valore delle imprese. Per Draghi «occorre una riforma dell'Organizzazione mondiale del commercio», e pensa ne siano convinti anche a Pechino. L'economista non se la sente di prendere sul serio il concetto di «deglobalizzazione», e però in alcuni settori è inevitabile: l'energia. Il premier spiega la strategia, sottolinea che la guerra ci ha costretti «ad affrontare finalmente la dipendenza da Mosca» e che per questo è andato a cercare alternative in Africa. Durante il panel non entra nel dettaglio, ma a inizio settimana il premier sarà a Bruxelles per tentare ancora una volta di ottenere dai partner più coraggio per ridurre il prezzo del metano di Mosca. Si consumerà probabilmente uno scontro, perché l'insoddisfazione per le poche risorse del piano va oltre quella dell'Italia. C'è ancora il veto ungherese sull'embargo del petrolio, e la proposta di introdurre un tetto ai prezzi russi non andrà oltre l'impegno a farlo in caso di emergenza delle forniture. Il premier pensa comunque che aver messo il tema sul tavolo abbia contribuito a calmierare i picchi sui mercati. La chiosa è sulle parole che «devono seguire i fatti». E qui Draghi torna ai problemi lasciati a Roma. «Parlo da ex presidente della Banca centrale europea: stare dentro al proprio mandato è parte della credibilità come policy-maker». E poiché «io non sono stato eletto ma nonimato dal presidente della Repubblica, il mio ruolo è quello di ottenere risultati». Anche qui occorre aggiungere un inciso che Draghi non può esplicitare: senza i fatti, la sua permanenza a Palazzo Chigi perderebbe di senso.

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