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La Stampa Rassegna Stampa
19.03.2022 Il tiranno Putin è fragile di fronte a Zelensky
David Remnick dialoga con Stephen Kotkin

Testata: La Stampa
Data: 19 marzo 2022
Pagina: 18
Autore: David Remnick
Titolo: «Il tiranno Putin è fragile di fronte al pop Zelensky»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/03/2022, a pag. 18, con il titolo "Il tiranno Putin è fragile di fronte al pop Zelensky", il dialogo tra David Remnick e Stephen Kotkin.

David Remnick: 'There is no vaccine for climate change' | David Remnick |  The Guardian
David Remnick

Kotkin crafts comprehensive portrait of Stalin's place in the world
Stephen Kotkin

Crede sia vero che all'origine di quello che sta accadendo in Ucraina c'è l'espansione verso est della Nato e che gli Stati Uniti hanno la gran parte della responsabilità?
Stephen Kotkin. Chi sostiene questa tesi, presume che qualora la Nato non si fosse allargata, la Russia non sarebbe come è oggi. Invece, molto prima che esistesse la Nato, già nel XIX secolo, la Russia era governata da un autocrate, ricorreva alla repressione, credeva nel militarismo, diffidava degli stranieri e dell'Occidente. L'espansione della Nato ha messo il paese in una situazione perfino migliore per affrontare e combattere questi habitus culturali. Se Polonia e Stati baltici non fossero entrati nella Nato, oggi sarebbero nello stesso limbo in cui si trova l'Ucraina. Diversamente da altri paesi della Nato, la Polonia ha contestato più volte la Russia, sconfiggendola almeno in un paio di occasioni, la più clamorosa delle quali è stata con Solidarnosc.

David Remnick: Può spiegare meglio in che modo le dinamiche interne russe hanno portato al putinismo? S.K: La Russia è una civiltà completa, più che soltanto un Paese. E sente di occupare un posto speciale e di ave Stiamo continuando ad alzare la posta con sempre più sanzioni e rescissioni di contratti re una missione speciale. È ortodossa orientale, non occidentale. E vuole spiccare come grande potenza. Il suo vero problema non è l'idea che ha di sé o questa identità, bensì il fatto che le sue capacità non sono mai state all'altezza delle sue aspirazioni. Ed è tormentata dal fatto che l'Occidente è sempre stato più potente. La Russia è una grande potenza, ma non è la grande potenza. Cercando di essere all'altezza dell'Occidente, o quanto meno di gestire e colmare il divario tra Russia e Occidente, i russi ricorrono alla coercizione. Usano un approccio pesantemente stato-centrico per cercare di spingere a forza il Paese più avanti e più in alto per poter eguagliare o competere, dal punto di vista militare ed economico, con l'Occidente. E questo funziona una volta, ma molto superficialmente. La Russia ha un'impennata di crescita economica e rafforza il proprio esercito e poi, naturalmente, finisce contro un muro. Poi ha un lungo periodo di stagnazione durante il quale i problemi si aggravano. Il tentativo stesso di porvi rimedio aggrava ancora di più il problema, e il divario con l'Occidente si allarga. La parte peggiore di questa dinamica è il confluire dello stato russo e di un regnante che accentra tutto a sé. Invece di ottenere lo stato forte che desiderano, per gestire il divario rispetto all'Occidente e spingere e innalzare la Russia al massimo livello, i russi ottengono un regime incentrato su una persona sola. Ottengono una dittatura, che di solito si trasforma in despotismo, in tirannia. Si sono trovati in questa difficile situazione per un bel po', perché non riescono a rinunciare a quell'aspirazione a essere la più grande potenza ma, nella realtà, non riescono a essere all'altezza.

D.R. Cos'è il putinismo e perché ha portato all'invasione dell'Ucraina? S.K. Al potere c'è un autocrate — addirittura un tiranno, adesso—che prende decisioni completamente da solo. Non sappiamo come stiano le cose dentro il regime. Pochissime persone parlano con Putin, e mi riferisco sia ai russi all'interno della Russia sia agli stranieri. Quindi noi pensiamo, ma non sappiamo con certezza, che non riceva un ventaglio variegato di informazioni. In ogni caso, crede di essere superiore e più intelligente. Questo è il problema del dispotismo. E il motivo per il quale la tirannia, o anche solo l'autoritarismo, è potentissima e fragile a uno stesso tempo. La tirannia crea i presupposti della sua stessa compromissione. L'informazione peggiora. I sicofanti aumentano di numero. I meccanismi correttivi diminuiscono. E gli errori diventano molto più conseguenziali. Putin, a quanto pare, credeva che l'Ucraina non fosse un vero Paese e che il popolo ucraino non fosse un vero popolo. Credeva che il governo ucraino fosse un avversario facile. Credeva quello che gli era stato detto o che voleva credere delle sue forze armate. Si pensi a quello che accadde in Afghanistan nel 1979. L'Unione Sovietica non invase l'Afghanistan: vi effettuò un colpo di stato, inviando truppe speciali nella capitale Kabul. Assassinò la leadership afghana e installò un capo fantoccio, Babrak Karmal, che si era nascosto in esilio in Cecoslovacchia. Fu un successo su tutta la linea, perché le truppe speciali sovietiche erano davvero capaci. Ma, naturalmente, decisero che avrebbe potuto rendersi necessaria una certa sicurezza in Afghanistan per il nuovo regime, e quindi mandarono reggimenti dell'esercito di tutti i tipi a garantire la sicurezza e si sono ritrovati alle prese con un'insurrezione e con una guerra decennale che alla fine hanno perso. Nel caso dell'Ucraina, c'era l'ipotesi che potesse essere una versione di successo della guerra in Afghanistan, e non lo è stata. Si è scoperto che il popolo ucraino è coraggioso, che gli ucraini sono disposti a resistere e a morire per il loro Paese. Evidentemente, Putin non ci credeva. Invece, si è scoperto che "il presidente televisivo" Zelensky, che prima della guerra aveva un indice di gradimento di appena il 25 per cento — pienamente meritato, perché non sapeva governare —, adesso ha un indice di gradimento del 91 per cento. Si è visto che ha gli attributi. Che è incredibilmente coraggioso. Oltretutto, avere una società di produzione televisiva che governa un Paese non è una buona idea in tempo di pace, mentre in tempo di guerra è una cosa eccezionale di cui disporre. Per Putin la sorpresa più grande, naturalmente, è stata l'Occidente. Il coraggio del popolo ucraino e l'audacia e l'ingegnosità del governo ucraino, e il suo presidente Zelensky hanno elettrizzato l'Occidente, facendogli rammentare chi è. E questo ha sconvolto Putin.

D.R. Cos'è l'Occidente? S.K. Un insieme di istituzioni e di valori. Non è un luogo geografico. La Russia è europea, ma non è occidentale. Il Giappone è occidentale, ma non è europeo. "Occidente" vuol dire legalità, democrazia, proprietà privata, mercati aperti, rispetto per l'individuo, diversità, pluralismo delle opinioni, e tutte le altre libertà di cui godiamo, troppo spesso date per scontate. E l'Occidente, che negli anni Novanta si è ingrandito —secondo me in modo appropriato, con l'espansione dell'Unione europea e della Nato — adesso si è risvegliato e deve fermare Vladimir Putin in un modo che né lui né Xi Jinping si aspettano. Putin pensava che l'Occidente stesse ripiegando, perché era in declino ed è scappato dall'Afghanistan; che il popolo ucraino non fosse una nazione; che Zelensky fosse soltanto un comico: infine, ha anche pensato di poter conquistare Kiev in due o tre giorni. Tutte le sue supposizioni, però, erano false.

D.R. Chi conta davvero nel regime russo? S.K. E una dittatura politico-militare. La banca centrale e il ministero delle finanze sono tutti guidati da professionisti di altissimo livello. Questo spiega perché la Russia ha una fortezza macroeconomica, riserve di valuta straniera, un fondo peri 'tempi bui'. Ha un'inflazione ragionevole, un budget molto equilibrato, un indebitamento pubblico molto basso pari al 20 per cento del Pil, il più basso di qualsiasi altra economia di grandi dimensioni. Per la stabilità macroeconomica, per la crescita economica, è indispensabile avere rapporti decorosi con l'Occidente. Invece, per la sicurezza militare del regime, che è quella dominante, l'Occidente è il nemico. Naturalmente, è da lì che proviene Putin. Sotto il suo regime gli oligarchi non sono mai stati al potere: Putin ha tarpato loro le ali. Hanno lavorato per lui perché, se non l'avessero fatto, avrebbero perso tutto. Ha rimesso tutti in riga, ha distribuito soldi, ha consentito espropriazioni dai suoi stessi oligarchi, persone cresciute insieme a lui, persone che avevano praticato judo con lui, che trascorrevano l'estate con lui. Le persone che erano nel Kgb con lui a Leningrado ai vecchi tempi o nella San Pietroburgo post-sovietica sono diventate oligarchi e hanno espropriato proprietà per vivere la bella vita. Putin ha costruito un regime nel quale la proprietà privata, ancora una volta, dipende da chi è al comando. Purtroppo, questo ha incoraggiato gente in alto e in basso nel regime a iniziare a derubare le proprietà e le aziende altrui. Il regime è diventato sempre più corrotto, sempre meno raffinato, sempre meno affidabile, sempre meno popolare. Si è svuotato.

D.R. La Cina, per quanto corrotta, ha tolto dalla povertà estrema decine di milioni di persone, dando loro un'istruzione. S.K. Ma chi ha prodotto questi cambiamenti? E stato il regime cinese? Oppure la società cinese? Stiamo attenti a non permettere che i comunisti cinesi esproprino, come stavano facendo, il lavoro duro, l'imprenditoria, il dinamismo di milioni e milioni di persone in quella società. Sa, nel caso della Russia, Navalny è stato arrestato... È stato incarcerato durante i preparativi dell'invasione all'Ucraina. In retrospettiva, si potrebbe benissimo considerare il suo arresto un preparativo dell'invasione, proprio come Ahmas Shah Massoud, per esempio, è stato ucciso (da al-Qaeda) nel nord dell'Afghanistan subito prima dell'abbattimento delle Torri gemelle. Devi impedire ed eliminare le alternative, devi sopprimere qualsiasi opposizione, arrestare, esiliare e soltanto così potrai prosperare come élite. Non lo farai grazie alla crescita economica, ma soltanto con il ladrocinio. E in Russia la ricchezza spunta letteralmente fuori dal terreno! Il problema dei regimi autoritari non è la crescita economica, ma pagare il clientelismo, le élite, come mantenerle fedeli a te, specialmente i servizi di sicurezza e i funzionari di grado più elevato.

D. R. Come si valuta la "popolarità" di un regime autoritario come quello di Putin? S. K. Ha storie da raccontare. E, come è risaputo, le storie sono sempre più efficaci e potenti della polizia segreta. Si, ha una polizia segreta oltre a quella regolare, e si tratta di persone pericolose, che stanno commettendo cose atroci a tutti quelli che protestano contro la guerra, mettendoli in isolamento in carcere. Questo è un regime che non scherza, che non deve essere preso alla leggera. Si sceglie il nemico come si prenderebbe un libro da una biblioteca, scegliendo sullo scaffale. Quando pensiamo alla censura immaginiamo un'informazione con il bavaglio. Invece, la censura è anche la promozione attiva di alcuni tipi di storie che riecheggeranno tra la popolazione. L'aspirazione a essere una grande potenza, l'aspirazione a espletare una missione speciale nel mondo, il timore e il sospetto che gli outsider stiano cercando di prenderti odi destituirti: queste sono le storie più efficaci in Russia. Non sono per tutti. Sappiamo che molti russi non si bevono queste storie, sono abbastanza svegli e ne sanno di più.

D.R. Sun Tzu, il teorico cinese della guerra, scrisse che devi sempre costruire al tuo nemico un "ponte d'oro", così che possa trovare il modo di ritirarsi. Secondo lei gli Stati Uniti e la Nato possono contribuire a costruire un ponte perla Russia? S.K. Ci troviamo esattamente in questa situazione adesso e abbiamo davanti a noi alcune opzioni. Una è che Putin rada al suolo l'Ucraina: se io non posso averla, nessun altro potrà averla. E farà all'Ucraina quello che ha fatto a Grozny e in Siria. Questo sarebbe un esito intollerabile e tragico. Ed è la strada sulla quale ci troviamo. Anche se gli ucraini dovessero avere la meglio nella loro insurrezione, nella loro resistenza, ci sarebbe un numero incalcolabile di morti, una devastazione immensa. Dobbiamo trovare il modo di impedire questo risultato. Questo significa accelerare un processo per impegnare Putin in colloqui con il presidente della Finlandia, per esempio, che egli rispetta e conosce bene, o con il Primo ministro israeliano, che è stato in contatto con lui; meno probabile è la leadership cinese, Xi Jinping. Abbiamo bisogno che qualcuno coinvolga Putin in un iter nel quale non possa fare richieste massimaliste per guadagnare tempo, in attesa che sul terreno accadano determinate cose, e che risistemi il quadro di quello che può fare. Non che non siano in corso vari tentativi. I finlandesi conoscono la Russia meglio di qualsiasi altro Paese al mondo. Un'altra buona opzione è Israele, a seconda di quanto Naftali Bennet si rivelerà capace. E poi c'è la Cina, l'ipotesi più azzardata, dove si sta già pagando un prezzo molto salato e le élite sotto Xi Jinping lo sanno bene. In questo momento, nelle élite cinesi c'è una certa preoccupazione, ma Xi Jinping tiene in mano saldamente il potere e ha un rapporto personale con Putin. Xi è in combutta con Putin. Ma quanto a lungo durerà questa situazione dipende da un'unica cosa: se gli europei inizieranno a infliggere sanzioni ai cinesi. Gli europei sono i loro partner commerciali più importanti. Xi Jinping, che si avvia in autunno a iniziare il suo terzo mandato — evento senza precedenti — non aveva proprio bisogno che accadesse tutto questo, proprio come non si ha bisogno di una pallottola in testa. Adesso, invece, ce l'ha.

D.R. Lei ha reso merito all'Amministrazione Biden per aver diffuso le intelligence sull'invasione imminente, per le sanzioni e per una sorta di risposta matura a quello che sta succedendo. Che cosa ha sbagliato, invece? S. K. L'Amministrazione Biden si è comportata molto meglio di quanto avessimo previsto sulla base di ciò a cui abbiamo assistito in Afghanistan e nella maldestra corsa a vendere sottomarini nucleari agli australiani. Gli americani hanno appreso dai loro errori. Le amministrazioni che commettono errori possono apprendere e migliorare, e non è questo il caso di Russia o Cina. È un vantaggio che non dobbiamo dimenticare. Il vero problema adesso non è tanto che l'Amministrazione Biden ha commesso errori, ma è che è difficile immaginare in che modo allentare la tensione, come uscire dalla spirale del reciproco massimalismo. Stiamo continuando ad alzare la posta con sempre più sanzioni e rescissioni di contratti. Sudi noi c'è una grande pressione a "fare qualcosa", perché gli ucraini muoiono di giorno in giorno, mentre noi da una prospettiva militare da un certo punto di vista ce ne restiamo seduti ai margini. Abbiamo urgente necessità di allentare la situazione dalla spirale massimalista. Ci serve anche un pizzico di fortuna, forse a Mosca, forse a Helsinki o a Gerusalemme, forse a Pechino. Di sicuro a Kiev.

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