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La Repubblica Rassegna Stampa
15.01.2022 Per fermare il contagio ripartiamo dai bambini: ecco che cosa insegna Israele
Analisi di Luca Ricolfi

Testata: La Repubblica
Data: 15 gennaio 2022
Pagina: 1
Autore: Luca Ricolfi
Titolo: «Per fermare il contagio ripartiamo dai bambini. Cosa ci insegna Israele»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 15/01/2022, a pag. 1-13, con il titolo "Per fermare il contagio ripartiamo dai bambini. Cosa ci insegna Israele", l'analisi di Luca Ricolfi.


Luca Ricolfi

Virus e Spillover - CDI Centro Diagnostico Italiano

Siamo stati abituati, in questo primo anno di campagna vaccinale planetaria, a considerare Israele il primo della classe. Si è assicurato il vaccino giusto (Pfizer), e lo ha fatto nel modo più tempestivo, senza i problemi di approvvigionamento che hanno messo in difficoltà i Paesi dell’Unione europea. Si è accorto prima di tutti gli altri Paesi che la protezione dura poco, e che è necessaria una terza dose (o booster). Ha iniziato a somministrare la terza dose prima degli altri, e ora si sta preparando a somministrare la quarta. Ha iniziato tempestivamente le vaccinazioni dei bambini, preceduto soltanto dagli Stati Uniti.

Con tutte queste medaglie all’onor vaccinale, ci aspetteremmo che le cose, in Israele, andassero a gonfie vele. E in effetti per certi versi è proprio così: in questo momento nessun Paese occidentale avanzato ha una mortalità per abitante bassa come Israele. Questa, tuttavia, è solo una delle due facce della medaglia. L’altra faccia è che, da circa 2 settimane, i contagi stanno esplodendo: il valore di Rt è vicino a 3 (un valore catastrofico, il peggiore dell’occidente), le ammissioni quotidiane in terapia intensiva triplicano ogni settimana e oramai sono il doppio che in Italia, gli ospedali sono costretti ad aprire nuovi reparti pediatrici per accogliere i bambini che contraggono il Covid. Che succede? È la prova che il vaccino non funziona? Difficile rispondere con sicurezza, ma forse una spiegazione c’è. Ed è sorprendentemente semplice: a dispetto di quel che si crede, Israele è uno degli ultimi Paesi dell’occidente quanto a copertura vaccinale. Fra le società avanzate di tipo occidentale, solo gli Stati Uniti hanno una copertura vaccinale più bassa. Vediamo qualche numero. Il Paese star è il Portogallo, con il 90% della popolazione vaccinata, la Spagna è all’82%, l’Italia al 75%, Israele non arriva al 65%, gli Stati Uniti sono al 62%. Per trovare Paesi relativamente avanzati meno vaccinati degli Stati Uniti occorre avventurarsi fra i paesi europei dell’Est, notoriamente ostili alla vaccinazione. Come è possibile che il Paese vaccinalmente più virtuoso abbia più di un terzo della popolazione non vaccinata? La risposta è che la demografia esiste, e la religione pure. La demografia fa sì che Israele sia la società avanzata più giovane del mondo, con un numero di minorenni doppio di quello dell’Italia. E una parte considerevole dei minorenni o non si possono vaccinare (sotto i 5 anni), o si possono vaccinare ma solo da pochissime settimane a questa parte (dai 5 agli 11 anni). Il tutto aggravato dall’apertura delle scuole, che forniscono ai non vaccinati il luogo ideale per propagare l’infezione (su questo, se non si leggono i risultati con gli occhi dell’ideologia, le evidenze scientifiche sono piuttosto chiare).

Quanto alla religione, non è un mistero che, nonostante i rabbini si siano per lo più pronunciati a favore della vaccinazione, gli ultraortodossi (12% della popolazione israeliana) sono convintamente contrari non solo al vaccino, ma persino al rispetto delle principali regole di prudenza. Un fenomeno, quello delle resistenze religiose alla vaccinazione, di cui in occidente non si ama parlare, ma che ha compromesso gravemente la vaccinazione nei Paesi europei dell’est e in parte pure in quelli dell’ovest, ora per il peso della Chiesa ortodossa (come in Grecia), ora semplicemente per le diffidenze di una parte del mondo cattolico, specie nelle campagne e fra i fedeli tradizionalisti. Pochi lo sanno, ma anche nella popolazione adulta il peso dei non vaccinati è molto più alto in Israele che in Italia. Quali lezioni dalle difficoltà di Israele? La prima, ovvia, è che raggiungere una copertura vaccinale elevata, pur non essendo sufficiente a bloccare la circolazione del virus, è assolutamente necessario. La seconda è che bambini e ragazzi, ancora in gran pare non vaccinati o non vaccinabili, sono diventati il tallone di Achille cruciale della lotta al virus. La terza è che, proprio perché per vari motivi una frazione significativa degli under 12 non potrà essere vaccinata, diventa fondamentale affrontare il problema della messa in sicurezza delle scuole, fin qui colpevolmente snobbato dai politici e dalle autorità sanitarie. Capisco che aumentare il numero di aule, assumere più insegnanti, introdurre la ventilazione meccanica controllata, siano misure che hanno un costo, e inevitabilmente distraggono risorse da ambiti elettoralmente più promettenti. Capisco anche che, ai politici, convenga credere e far credere che le scuole non siano un problema, e che basti dire «no alla Dad» per scongiurare nuove chiusure e nuove quarantene generalizzate. Ma mi permetto di osservare che, nella lotta al virus, il banco di prova cruciale è costituito dalla stagione fredda, e da ciò che nella stagione fredda accade negli ambienti chiusi, a partire da quelli più affollati e in cui si rimane più a lungo. E poiché mettere in sicurezza gli ambienti chiusi richiede tempo (almeno 8 mesi, secondo l’esperienza di chi ci ha provato), il momento di agire è adesso. Farci trovare impreparati per il terzo anno consecutivo sarebbe imperdonabile.

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