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La Stampa Rassegna Stampa
02.08.2021 Se la Polonia nega i danni della Shoah
Commento di Elena Loewenthal

Testata: La Stampa
Data: 02 agosto 2021
Pagina: 23
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Se la Polonia nega i danni della Shoah»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/08/2021, a pag.23, con il titolo "Se la Polonia nega i danni della Shoah" il commento di Elena Loewenthal.

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Elena Loewenthal

Poland's Holocaust Law: What You Need To Know | Time

Quella storia fa ancora tanta, tanta paura. Come fosse un presente troppo ingombrante per essere riconosciuto, ammesso, fatto proprio per riuscire a guardarlo dritto negli occhi. E proprio così, quel passato: un peso insostenibile, almeno fino a quando non farà veramente parte di una memoria condivisa. La Camera di Varsavia ha approvato nei giorni scorsi un provvedimento che fissa in trent'anni il termine massimo per impugnare una decisione amministrativa. Una decisione dall'innocua apparenza burocratica che ha invece delle colossali implicazioni storiche perché di fatto rende impossibile la restituzione dei beni ebraici sequestrati, cioè rubati durante la Shoah. Tanto è vero che a corredo di questa norma si staglia una nota da brividi da parte del ministro degli Esteri polacco: "La Polonia non è responsabile dell'Olocausto, un crimine commesso dagli occupanti polacchi". Per molto tempo dopo la fine della guerra le campagne intorno a Oswiecin, cioè Auschwitz, restarono coperte da una patina impalpabile, arida, grigiastra: era la cenere fuoriuscita dalle ciminiere dei forni crematori. Le si vedeva da molto distante, in quel paesaggio uniforme, quasi desolato. E i treni: i treni che passavano sempre carichi in una direzione e vuoti nell'altra.

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L'Europa era in quei mesi un reticolo ferroviario di viaggi avanti e indietro verso i campi di sterminio. A volte si fermavano nelle piccole stazioni sperdute, a volte correvano lasciando dietro di sé la scia di grida di terrore, dolore, sgomento. Qualche biglietto lanciato dallo stretto spiraglio d'aria dei carri merci. Quella storia riguarda tutti: vittime. Carnefici. Il resto del mondo che non poteva non vedere, non sentire. Tutti sono responsabili di quell'orrore. Tutti. In Polonia, prima dell'inizio della guerra vivevano tre milioni di ebrei: erano lì da secoli, disseminati in una miriade di shtetlach, borghi di campagna con le sinagoghe fatte tutte di legno, e per le grandi città. Alla fine della guerra il novanta per cento di loro era stato sterminato. Sparito nel silenzio dell'assenza, nel fumo dei forni crematori. "Tornare in Polonia, dopo quello che era successo? Non ci ho mai più messo piede e finché vivo non ci tornerò mai più. Ho paura. Tanta paura". A più di cinquant'anni di distanza così mi disse mia suocera, israeliana dal 1948, polacca di nascita. Quel giorno capii che toccava a me, e non a lei, spiegare ai miei figli il perché di quel numero tatuato sul braccio della nonna, sbiadito dal tempo ma non dalla memoria. Per questo, e per tanto altro, come fa il ministro degli Esteri polacco a sostenere che la Shoah non riguarda i polacchi? Quella storia, come ha detto qualche settimana Ursula von der Leyen in visita a Fossoli, è colpa e responsabilità di tutti. Lei si sente chiamata in causa da quella storia in quanto tedesca, ma tutti dovrebbero essere così come lei, di fronte a quella storia: perché riguarda tutti. Perché fino a quando non se ne sarà fatta memoria condivisa e responsabile, fino a quando non la si sarà riconosciuta come propria e non altrui, quella storia resterà un ostacolo a tutto. All'Europa, ai diritti comuni, a una pacificazione che non sia rimozione ma consapevolezza di un passato scomodo. Un passato inaccettabile, che diventa insopportabile quando si tenta, invano, di dimenticarlo.

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