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La Stampa Rassegna Stampa
26.01.2021 Giornata della Memoria: il ricordo non basta, si deve anche narrare
Commento di Elena Loewenthal

Testata: La Stampa
Data: 26 gennaio 2021
Pagina: 24
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Il ricordo non basta, si deve anche narrare»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/01/2021, a pag.24, con il titolo "Il ricordo non basta, si deve anche narrare" il commento di Elena Loewenthal.

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Elena Loewenthal

Giornata della memoria: l'importanza di ricordare - Paidea

Qual è il senso del Giorno della Memoria? La distanza da quel passato segna oggi un momento particolarmente fragile: la voce dei testimoni si va spegnendo a poco a poco. La perdiamo perché il tempo è inesorabile. Come faremo, da domani in poi, ad ascoltare ciò che è stato? Se ogni commemorazione è ipso facto un rituale e come ogni rituale si fonda sulla ripetizione, il rischio che la monotonia conduca verso un inconsapevole ma irreversibile svuotamento di senso è più che mai insidioso. La Shoah è stato un evento tanto assurdo quanto reale, come ha detto Primo Levi: «Comprendere è impossibile, conoscere è necessario». Quel buco nero della storia esercita l'effetto opposto del suo corrispondente interstellare, dall'invincibile forza di attrazione. La Shoah respinge lontano da sé: è una storia cui nessuno vorrebbe appartenere, riconoscere come propria.

27 GENNAIO, LA GIORNATA DELLA MEMORIA - Impresa Diretta

«Non ci riguarda!»: la dismissione di quel passato è la reazione più istintiva, immediata. Non si è disposti a immedesimarsi né con le vittime né con i carnefici né tantomeno con la ben più vasta umanità di passivi testimoni, in quegli anni. Tutta l'Europa lo era. Questo istintivo respingimento ha due effetti, deleteri ciascuno a suo modo. Troppo spesso le celebrazioni del Giorno della Memoria diventano un atto di omaggio alle vittime, nel segno dell'alterità. «E' capitato a loro, non può capitare a noi». E invece la memoria della Shoah dovrebbe servire proprio a sentire quella storia come uno scomodo, doloroso e insopportabile ma comune portato. Quella storia siamo noi. L'altro aspetto, ancor più grave, è la deriva di violenza, simbolica, verbale ma anche fisica, che accompagna questo periodo. In questi giorni più che nel resto dell'anno si assiste a scatti di intolleranza, di antisemitismo, di cieco negazionismo. Bisogna, dunque, trovare il coraggio di connettere una cosa all'altra, e provare a capire come mai. Perché la memoria, e più che mai questa memoria, è una cosa fragile, delicata. Terribilmente vulnerabile. Misurarsi con quel passato è difficile: questo dobbiamo sapere. Proprio perché esso non appartiene agli ebrei, ai tedeschi, ai fascisti, ai partigiani. Appartiene a tutti, tutti gli apparteniamo. Allora, con il tempo che spegne le voci dei testimoni, la distanza che ci offre un'illusione di riparo, il rito del ricordo che sistema la coscienza, bisognerebbe provare a fare della memoria qualcosa di diverso. Come quando, ad esempio, diventa narrazione e persino creazione letteraria, e si dimostra capace di innescare un meccanismo di com-passione che è forse l'unico modo vero per vincere ogni distanza e provare a «sentire» quel che è stato. Ma la memoria deve soprattutto diventare interrogazione. Ayekha? «Dove sei?», è la prima domanda che viene al mondo nella Bibbia. La pronuncia Dio in cerca di Adamo, che si è nascosto dopo aver assaggiato il frutto proibito. «Dove sei?», è l'insopportabile ma necessaria domanda che l'uomo e Dio si lanciano a vicenda lungo la storia, l'uno in cerca dell'altro, quando il male sembra negare il senso di ogni cosa.

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