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La Stampa Rassegna Stampa
30.04.2020 Gay in Marocco: cacciati e spinti al suicidio
Cronaca di Karima Moual

Testata: La Stampa
Data: 30 aprile 2020
Pagina: 1
Autore: Karima Moual
Titolo: «Cacciati di casa e spinti al suicidio: il triste lockdown dei gay marocchini»
Riprendiamo dalla STAMPA online di oggi, 30/04/2020, con il titolo "Cacciati di casa e spinti al suicidio: il triste lockdown dei gay marocchini", la cronaca di Karima Moual.

Ecco quello che succede agli omosessuali in Marocco, tra i Paesi islamici relativamente meno fondamentalisti. Se questo accade in un Paese musulmano più aperto di altri alla modernità, possiamo solo immaginarci la situazione sotto feroci dittature come Siria, Iran eccetera.

Ecco l'articolo:

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Karima Moual

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All’ombra del Coronavirus, decine di omosessuali, in Marocco, sono stati cacciati dalle loro famiglie, e in alcuni casi spinti al suicidio. La condizione emergenziale legata alla pandemia infatti ha fatto emergere tutte le disuguaglianze sociali, e in questo caso a essere colpita è stata la comunità Lgbt marocchina. Tutto è cominciato dai social: il 13 aprile scorso, la transgender e influencer marocchina con base a Istanbul, Naoufal Moussa alias Sofia Talouni, era stata insultata per il suo orientamento sessuale. In preda alla rabbia, ha dunque deciso di pubblicare un video nel quale incoraggiava i suoi numerosi follower a scaricare le app per meeting basate sulla posizione, come Grindr e Planet Romeo, di solito utilizzate da uomini gay. Il suo obiettivo, ha poi dichiarato nei video successivi, era quello di rivelare l'ipocrisia della società marocchina, mostrando quanti uomini gay vivevano nelle loro vicinanze, o addirittura nelle loro case. Il consiglio della influencer Sofia è stato seguito alla lettera, andando oltre quelle che erano forse le sue aspettative e i suoi obiettivi, e trasformandosi di fatto in una catastrofe per la comunità Lgbt marocchina. Grazie alla creazione di account falsi sulle app sono state raccolte foto di uomini gay, che sono poi state pubblicate su pagine private e pubbliche di Facebook, scatenando l’omofobia e una vera e propria caccia alle vittime, facendo esplodere la questione omosessualità nella società marocchina in un momento tanto più critico a causa della pandemia. Da un giorno all’altro, in pieno lockdown – che anche in Marocco i cittadini sono tenuti a rispettare – e con il Ramadan in corso, le famiglie sono state messe di fronte a un outing violento e non voluto dai diretti interessati, perché l’omosessualità, oltre a essere non tollerata culturalmente, è anche perseguita penalmente. La prima conseguenza è stata che molti gay sono stati buttati in mezzo alla strada dai loro stessi familiari; sono poi arrivati i primi suicidi, come quello avvenuto a Rabat, di un giovane studente di 21 anni. Troppa era la vergogna verso i suoi conoscenti e familiari dopo che le sue foto erano finite sui social come gay da condannare. La questione, che ha colpito il Marocco, investe tuttavia l’intero mondo islamico, dove l’omosessualità “si sa ma non si dice”, dove gli omosessuali devono avere la fortuna di incontrare persone tolleranti – che pure ci sono, come ovunque – ma possono anche non averla, e nessuna legge li garantisce. Per la società marocchina, tuttavia, questa potrebbe essere un’occasione per cominciare a discutere del problema: non farlo significherebbe perdere l’opportunità di valorizzare la parte moderna del Paese, per restare ancorati a una gabbia di valori e idee che ricordano più il Medioevo che la nostra epoca.

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