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La Stampa Rassegna Stampa
07.01.2020 L'Iran minaccia Israele e Usa. Trump: 'Se attaccano reagiremo con durezza'
Commenti di Giordano Stabile, Paolo Mastrolilli

Testata: La Stampa
Data: 07 gennaio 2020
Pagina: 7
Autore: Giordano Stabile - Paolo Mastrolilli
Titolo: «Minacce dei pasdaran. E ora Israele si blinda - Giallo sul ritiro degli Usa dall'Iraq. E Trump minaccia sanzioni durissime»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/01/2020, a pag.7, con il titolo "Minacce dei pasdaran. E ora Israele si blinda", la cronaca di Giordano Stabile; a pag. 6, con il titolo "Giallo sul ritiro degli Usa dall'Iraq. E Trump minaccia sanzioni durissime", il commento di Paolo Mastrolilli.

Bene ha fatto Donald Trump a chiarire che ogni aggressione iraniana riceverà una risposta e che gli Stati Uniti non sono più disposti a concedere al regime degli ayatollah di proseguire la destabilizzazione dell'intero Medio Oriente. Le sanzioni sono indispensabili per contenere il regime terrorista sciita di Teheran.

Ecco gli articoli:

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Esmail Ghaani (a destra), designato successore di Suleimani (a sinistra)

Giordano Stabile: "Minacce dei pasdaran. E ora Israele si blinda"

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Giordano Stabile

Israele si sente di nuovo in prima linea e il premier Benjamin Netanyahu convoca il Consiglio di difesa per perfezionare i piani di prevenzione dopo le minacce dei Pasdaran: rafforzato lo schieramento dello scudo anti-missile su tutto il Paese e delle unità corazzate lungo i confini con Siria e Libano. Ciò significa che Israele teme lanci di missili o incursioni di terra da parte delle milizie sciite filo-iraniane schierate in Libano, Siria o Iraq. La vendetta per l'uccisione di Suleimani ha infatti come primo obiettivo le basi Usa, ma subito dopo «Tel Aviv». Lo Stato ebraico teme di diventare bersaglio di razzi e missili su due fronti. Al Nord ci sono gli ordigni dell'Hezbollah libanese e quelli piazzati a ridosso del Golan in Siria. Nella Striscia di Gaza operano due alleati di Teheran. Uno strettissimo, la Jihad islamica. L'altro, Hamas, si è riavvicinato alla Repubblica islamica proprio in occasione dell'uccisione del comandante dei Pasdaran, e il leader politico Ismail Haniyeh è stato ricevuto ieri dal successore di Soleimani. È una tenaglia fra estremisti sciiti e sunniti che rende la posizione di Israele delicata. Netanyahu ha ordinato ai ministri di non esprimersi via radio sull'Iran nel timore che possano anche loro essere obiettivo di attacchi. L'unico autorizzato ai commenti è Netanyahu, che domenica ha lodato Trump «per aver agito con determinazione, potenza e velocità» nel blitz di Baghdad. Un omaggio alla relazione speciale che ha portato una serie di vantaggi a Israele, dallo spostamento dell'ambasciata Usa a Gerusalemme al riconoscimento della sovranità sul Golan. Dalle analisi delle dichiarazioni dei leader sciiti l'Intelligence ritiene poco probabile attacchi sul territorio, anche se l'esercito mantiene uno stato di vigilanza elevato alle frontiere. Secondo il quotidiano Israel ha-Yom misure di sicurezza particolari sono state adottate nelle rappresentanze diplomatiche occidentali. L'ambasciata Usa a Gerusalemme ha lanciato un appello ai suoi cittadini affinché mantengano «la massima vigilanza», in quanto «incidenti, inclusi lanci di razzi, spesso avvengono senza preavviso». L'altro timore è il rapimento di civili Usa o europei da parte di gruppi estremisti. Washington ha ordinato l'evacuazione del personale delle aziende petrolifere in Iraq e le ambasciate nelle capitali arabe hanno invitato alla prudenza i cittadini nella regione.

Paolo Mastrolilli: "Giallo sul ritiro degli Usa dall'Iraq. E Trump minaccia sanzioni durissime"

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Paolo Mastrolilli

Giallo sulla presenza delle forze americane in Iraq. Il loro comandante, il generale dei Marines William Seely ha annunciato il riposizionamento dei suoi reparti e di quelli antiterrorismo contro l'Isis dopo la richiesta venuta dalle autorità locali di rispettare la sovranità nazionale. Il capo del Pentagono Mark Esper ha però detto che non ci sono piani per il ritiro dall'Iraq, e sembra che la notizia del ritiro delle truppe Usa fosse solo una bozza del Pentagono trapelata per errore. Mentre è certo che gli Usa invieranno i B-52 nella loro base dell'Oceano Indiano per rispondere a qualsiasi ritorsione da parte dell'Iran. 
Sono gli ultimi sviluppi della crisi esplosa con l'uccisione del capo dei pasdaran Soleimani, che impongono di riflettere sulle prossime mosse di una strategia in cui Trump ha assunto il ruolo del poliziotto cattivo, mentre gli europei cercano di interpretare quello buono. La convergenza starebbe nella speranza di spingere l'Iran ad accettare il negoziato per un nuovo accordo, allargato alle questioni rimaste fuori da quello nucleare, evitando la guerra aperta e riportando una misura di stabilità nella regione mediorientale. Se il capo della Casa Bianca non vuole un conflitto totale, magari per distrarre l'attenzione dall'impeachement dove ora anche l'ex consigliere per la sicurezza nazionale Bolton sembra disposto a testimoniare, questa parrebbe l'interpretazione più logica degli eventi delle ultime ore. Confermerebbe la durezza di Trump, che però ribadisce di essere disposto ad una nuova intesa, sommata all'offerta della nuova presidentessa della Commissione Europea Ursula von der Leyen di mediare fra Teheran e Washington.
Domenica sera, tornando dalla vacanza in Florida, il presidente ha parlato con i giornalisti sull'Air Force One rincarando la dose della sua minacce. Dopo una giornata passata dal segretario di Stato Pompeo a rassicurare che gli Usa in ogni caso gestiranno la crisi iraniana restando nell'ambito della legalità e della responsabilità, il capo della Casa Bianca ha confermato di essere pronto a colpire i siti culturali storici della Repubblica islamica, se gli ayatollah reagiranno con la violenza all'uccisione di Suleimani. Quindi ha anche avvertito l'Iraq che verrà soffocato da sanzioni economiche mai viste prima, se davvero caccerà i soldati americani dal suo territorio, seguendo le indicazioni ricevute da Teheran. Ieri poi ha telefonato al conduttore radiofonico conservatore Rush Limbaugh, per ripetere che l'attacco contro il capo dei pasdaran era giustificato, e sarebbe dovuto avvenire almeno 15 anni prima.
Il messaggio sembra essere che Trump continua ad alzare la voce, per rafforzare la nuova deterrenza ristabilita con il raid di Baghdad. L'Iran infatti non ha convenienza a scatenare una guerra aperta contro gli Usa, perché difficilmente la vincerebbe, però può fare molti danni in diverse parti del mondo, provocando instabilità e mettendo a rischio la vita di centinaia di cittadini americani. Quindi Trump avverte gli ayatollah che è più imprevedibile di loro, per scoraggiare eventuali ritorsioni facendo il poliziotto cattivo.
L'altro lato di questa medaglia è quello degli europei, che invece hanno scelto il ruolo del poliziotto buono, in coordinamento con gli Usa, o comunque per evitare la deriva più pericolosa della guerra. Il più vicino al capo della Casa Bianca è stato il premier britannico Johnson, che ha detto di non rimpiangere Suleimani, ma nello stesso tempo, in una comunicato congiunto con la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron, ha sollecitato di evitare l'escalation. Nel comunicato si chiede anche il rispetto degli accordi sul nucleare. 
È lecito dunque supporre che von der Leyen abbia parlato per tutti, quando ha proposto la Ue come mediatore: «Il mio compito non è dare valutazioni, ma lavorare per una de-escalation e individuare soluzioni». Quindi ha aggiunto che bisogna «trovare spazio per la diplomazia e sostenere coloro che rimangono assennati».
Su questa strada però ci sono due ostacoli. Il primo è che una strategia simile era stata usata da Trump con Kim, quando aveva minacciato «fuoco e furia», ma dopo tre incontri fra i due leader, non ha risolto la questione del disarmo nucleare nordcoreano. Il secondo è il dubbio sulla disponibilità degli ayatollah a seguire questa via, con esiti migliori.

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