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La Repubblica delle donne Rassegna Stampa
01.06.2009 'Decolonizzare' invece di 'coltivare'
Come a Gaza, cioè 'radere tutto al suolo '

Testata: La Repubblica delle donne
Data: 01 giugno 2009
Pagina: 0
Autore: Sandi Hilal - Alessandro Petti - Eyal Weizman
Titolo: «Dopo una guerra - Che fare dei territori occupati dai coloni israeliani, quando l'oppupazione finirà? Questa la domanda che pongono gli architetti del progetto Decolonizing Architecture. Ecco le risposte possibili»

Riportiamo dalla REPUBBLICA DELLE DONNE del 30/05/2009, a pag. 23, l'articolo di Sandi Hilal, Alessandro Petti e Eyal Weizman dal titolo " Dopo una guerra - Che fare dei territori occupati dai coloni israeliani, quando l'oppupazione finirà? Questa la domanda che pongono gli architetti del progetto Decolonizing Architecture ". E si rispondono da soli: Radere tutto al suolo ! Disegno tramite la distruzione. Distruggere tutto ciò che ricorda gli ebrei israeliani. Che invece il deserto l' hanno coltivato. Ma si sa, mai copiare dagli ebrei !  Sono furbi, questi architetti ! Ecco l'articolo:

Tutto nasce da un evento piuttosto fallimentare. Dopo l'evacuazione di Gaza, nel 2005, il Ministero della Pianificazione palestinese ci chiese di pensare come i 21 insediamenti israeliani potessero essere riciclati. Venivamo da una ricerca teorica sull'architettura dell'occupazione, e capivamo che non era sufficiente il riuso degli stessi spazi con le stesse funzioni: occorreva interrompere la logica coloniale. Di fatto, a Gaza, tutto fu raso al suolo: Israele voleva evitare la reversibilità delle proprie strutture ad uso dei palestinesi. Fu un disastro ambientale, le macerie sono ancora lì, la falda dell'acqua inquinata. Questo fallimento ci ha fatto immaginare uno scenario politico diverso dall'attuale, in cui l'architettura diventasse uno scenario positivo. Abbiamo così avviato Decolonising Architecture, individuando nella colonia di P'sagot, a nordest di Gerusalemme, il nostro laboratorio. Prima della colonizzazione era una popolare area di ricreazione. A oggi non è ancora stata evacuata. Ne è nato un ''manuale di decolonizzazione'' dell'architettura e dei modi in cui la si può trasformare, e non tanto nelle case unifamigliari, ma in ciò che sta tra esse: check point, muri, dispositivi di controllo. E' questo uno spazio che va cambiato davvero, altrimenti continuerà a funzionare così anche dopo, come sempre accade nelle situazioni post-coloniali. Oush Grab è una vecchia base militare a sud di Gerusalemme, prima inglese, poi giordana e poi israeliana. E' stata evacuata nel 2006, il terreno restituito alla municipalità di Beit Sahour, il che ha consentito di pensare la trasformazione inparco pubblico. Oush Grab è diventato il caso reale su cui verificare la teoria di P'sagot. Abbiamo realizzato alcuni play ground, cambiando le funzioni degli elementi architettonici: una torre di controllo che diventa fontana, e così via. Poi, nel marzo 2008, la cima della collina con gli edifici militari è stata rivendicata dai coloni per farne l'ennesimo avamposto civile. E allora, altra strategia: il ''disegno tramite la distruzione'', progettare l'inabitabilità dello spazio, perforare i muri per destinarlo agli uccelli migratori, renderlo inadatto agli uomini. Insomma, dilatare la disciplina architettonica, perché una realtà politica così volatile rende difficile il progetto tradizionale. Dobbiamo inventare altri modi, non con il disegno ma con azioni, interventi spaziali, situazioni che danno nuovo significato agli spazi. Senza illusioni sul progetto perfetto, poiché è un progetto senza fine. 

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