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La Repubblica Rassegna Stampa
05.06.2023 Kiev-Mosca, duello sulla Storia
Commento di Andrea Graziosi

Testata: La Repubblica
Data: 05 giugno 2023
Pagina: 52
Autore: Andrea Graziosi
Titolo: «Kiev-Mosca, duello sulla Storia»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 05/06/2023, a pag. 52, il commento di Andrea Graziosi dal titolo "Kiev-Mosca, duello sulla Storia".

Vasilij Grossman, la vita e il destino del Novecento
Vasilij Grossman

L’aggressione della Russia all’Ucraina ha messo in risalto l’importanza dei discorsi legittimanti nella costruzione di uno Stato e nell’influenzarne carattere e comportamento. Dopo il 1991 entrambi i Paesi hanno cercato nel passato esperienze forti in grado di dar loro una nuova identità. La Russia postsovietica provò prima con la rivoluzione del febbraio 1917, una soluzione difficile da “vendere” nel collasso del regime che quell’anno aveva partorito. Fu poi il turno di Pietro il Grande, e quello di Stolypin, l’ultimo riformatore zarista. Alla fine si affermò quasi naturalmente la vittoria del 1945, una scelta favorita dal peso della “grande guerra patriottica” nel Novecento russo e dalla decisione di Breznev di annullare, nel 1965, il divieto staliniano alla sua celebrazione. Il 9 maggio si trasformò presto in un anniversario più sentito di quello dell’ottobre 1917. Ma, come ha insegnato Vasilij Grossman, guerra e vittoria avevano due interpretazioni possibili. La prima, che aveva spinto Stalin al divieto, esaltava la resistenza a un invasore crudele e la riconquista della dignità di esseri umani umiliati e quasi paralizzati dalla durezza degli anni Trenta. L’altra celebrava il trionfo imperiale russo, la conquista del Baltico e dell’Ucraina occidentale, di Praga e di Varsavia, e la presa di Berlino. Grazie ai precedenti brezneviani, quest’ultima lettura era quella prevalente già alla metà degli anni Novanta, quando persino la parata del 7 novembre fu trasformata nella celebrazione della difesa di Mosca dai nazisti. Essa ha poi acquistato con Putin tratti sempre più aggressivi e autoritari, ed è dietro il rapporto di condanna e insieme ammirazione che Putin ha con Stalin, che represse anche il nazionalismo russo e la chiesa ortodossa, ma ricreò uno spazio imperiale moscovita e una nuova chiesa sottomessa allo Stato. In Ucraina si scontrarono invece la celebrazione della lotta partigiana delle regioni occidentali, annesse da Mosca nel 1939; il sovietismo delle zone favorite dal regime sovietico, che rimpiangevano i suoi magri privilegi e idealizzavano una quotidianità spesso pesante; e la memoria della terribile carestia del 1932-33 — quattro milioni di morti in pochi mesi — imposta da Stalin ai contadini per soggiogare e riplasmare una Ucraina che temeva di perdere. La prima ipotesi, ispirata a un nazionalismo integrale e antisemita ma capace di organizzare quella che è stata forse la più compatta e lunga resistenza europea della seconda guerra mondiale, guadagnò qualche riconoscimento, ma era indebolita dalla sua limitata base territoriale e compromessa dalla sua ideologia. La seconda ebbe il suo centro nel Donbass, un bacino minerario e industriale a lungo sovvenzionato e dove ancora negli anni Novanta parte degli abitanti rispondeva “sovietici” ai sondaggi che chiedevano di definirsi russi o ucraini. Ma la durezza della vita sovietica e le difficoltà legate al crollo del regime rendevano impossibile l’affermazione di questa soluzione. Fu quindi l’Holodomor a prevalere, per il suo terribile impatto sulla storia del Paese, le sofferenze che aveva imposto alla maggioranza della sua popolazione e l’impegno di parte dell’élite ucraina. Il monumento che lo ricorda a Kiev è il principale eretto dopo il 1991 e la sua vittoria ha favorito lo sviluppo di una coscienza di sé dell’Ucraina come nazione-vittima, che può eleggere un presidente di origine ebraica, rifiuta le distinzioni etniche e teme una Mosca dove quella carestia era stata concepita, anche se da Stalin e non dal nazionalismo russo. La guerra cambierà le cose. Una Russia sconfitta sarebbe costretta a rivedere il suo aggressivo trionfalismo, e un nuovo strato di orgoglio nazionale si aggiungerebbe al discorso legittimante di un’Ucraina capace di respingere un nemico così prepotente. Anche per questo il suo ingresso nell’Unione europea, che degli eccessi nazionalisti è nemica, è quanto mai auspicabile. E un’Unione alla ricerca di una legittimazione che non trova potrebbe giovarsi di un Paese che ne ha scelta una con successo.

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