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Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 28/05/2023, a pag.12, con il titolo "Turchia, un voto che pesa sulle donne: “Diritti a rischio, è ora di combattere” ", la cronaca di Gabriella Colarusso.
Gabriella Colarusso I due sfidanti Kilicdaroglu ed Erdogan ISTANBUL — La Turchia non era ancora Repubblica quando la prima romanziera turca, Fatma Alye, dibatteva sul Bosforo con le scrittrici cristiane venute dall’Europa, di donne e di Islam, difendendo - lei conservatrice - il diritto delle musulmane «alla più ampia conoscenza, come gli uomini». Era la fine dell’Ottocento, da allora il femminismo turco ha fatto molta strada, il movimento delle donne è uno dei più radicati e forti del vicino Oriente. Eppure l’uguaglianza resta lontana e le attiviste temono un’involuzione oscurantista dopo la tornata elettorale che si conclude oggi con la sfida decisiva tra Recep Tayyip Erdogan – dato per favorito - e Kemal Kilicdaroglu. Un dato basta a restituire il quadro: le donne rappresentano il 50% dell’elettorato turco, nel governo Erdogan c’è una sola ministra, quella della Famiglia. I media filo-governativi hanno celebrato il «record di parlamentari » elette alle ultime legislative, due settimane fa, il 20% contro il 17% della precedente legislatura: un numero ancora basso, sostenuto soprattutto dal partito curdo e della sinistra ecologista. In compenso, in Aula sono arrivati gli ultraconservatori islamisti di Huda Par, che l’opposizione chiama “gli Hezbollah curdi” e dell’Yrp, il partito del nuovo Welfare, alleati con l’Akp del presidente Erdogan. Con l’opposizione ci sono i conservatori di Temel Karamollaoglu. «Questo è il Parlamento piùmisogino della storia democratica della Turchia», dice Hülya Gülbahar, avvocata e attivista di Women for Equality Platform, che si batte per i diritti civili. Agita in aria i programmi elettorali di Huda Par e Yrp, li legge ad alta voce quasi a convincersi che siano veri. Ci sono «proposte allarmanti: limiti all’istruzione mista, uomini e donne; criminalizzazione della “propaganda perversa” e delle “perversioni sessuali” – così chiamano le persone Lgbtq; messa al bando dell’adulterio; limiti agli assegni di mantenimento per le donne in caso di divorzio; sistemi giuridici divisi per genere su molte questioni, dalla successione all’eredità. Ci sarà da combattere». Nel 2021, assecondando la sua base conservatrice, Erdogan ritirò la Turchia dalla convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, ora nel mirino dell’Yrp c’è anche la legge 6284 che il Parlamento aveva adottato nel 2012 per contrastare la violenza domestica. Quando Ozlem Zengin, la capogruppo dell’Akp, ha provato a difenderla – «è la nostra linea rossa», disse a marzo – è stata subito silenziata. L’onda nera, Nilden Bayazit l’aveva vista arrivare. Ex politica del Chp, due anni fa ha fondato la ong Ben Secerim insieme a un gruppo di giornaliste, docenti: vuol dire “Io Scelgo” in turco e lavora per far crescere la rappresentanza femminile nelle istituzioni. Il metodo è innovativo: selezionano le candidate che si impegnano poi a sostenere alle elezioni, sulla base della loro competenza e del loro potenziale elettorale, e le propongono ai partiti. L’hanno fatto anche per queste presidenziali: delle 20 personalità indicate, 9 sono finite in lista e solo 2 elette. «Molto deludente. Qui i partiti sono dominati dagli uomini e per le donne c’è un tetto di cemento da superare», ragiona Bayazit. Ci sono 19 città della Turchia che nei 100 anni di vita della Repubblica non hanno mai eletto una donna parlamentare, anche roccaforti laiche come Kirklareli, sulla costa. Eppure dalle «ricerche che abbiamo fatto risulta che più del 60% degli elettori vuole più donne in politica: la società è più avanti dei partiti». Con l’Akp il dialogo è quasi impossibile, dicono dall’associazione, «perché la nostra linea rossa è la Convenzione di Istanbul, e nessuna delle loro candidate ha mai detto di volerla difendere». Ma Bayazit non risparmia critiche neppure all’opposizione. Nel tentativo di conquistare i voti conservatori, «Kilicdaroglu ha fatto del velo una battaglia politica presentando una legge in Parlamento sei mesi fa, ma i problemi delle donne sono altri, il velo è una questione privata». E poi, in questo inseguimento ai conservatori, «dovrebbe sapere che gli elettori preferiscono sempre l’originale».
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