Riduci       Ingrandisci
Clicca qui per stampare

La Repubblica Rassegna Stampa
15.05.2023 Turchia: conteggi farsa
Cronaca di Gabriella Colarusso

Testata: La Repubblica
Data: 15 maggio 2023
Pagina: 16
Autore: Gabriella Colarusso
Titolo: «Turchia al ballottaggio Erdogan in testa ma lo sfidante accusa: “Conteggio farsa”»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 15/05/2023, a pag.16, con il titolo "Turchia al ballottaggio Erdogan in testa ma lo sfidante accusa: “Conteggio farsa” ", la cronaca di Gabriella Colarusso.

Gabriella Colarusso (@gabriella_roux) | Twitter
Gabriella Colarusso

Turkey: Erdoğan faces his greatest electoral challenge yet | Financial Times
I due sfidanti Kilicdaroglu ed Erdogan


ANKARA — La caotica notte elettorale della Turchia inizia alle 18.25 quando Anadolu, l’agenzia di stampa controllata dal governo, e Trt, la tv governativa, battono le prime proiezioni: il presidente Erdogan al 54%, lo sfidante Kemal Kilicdaroglu al 39%, un risultato che nessun sondaggio aveva previsto. L’Anka, più vicina all’opposizione, risponde: Kilicdaroglu in vantaggio con il 52%. Quattro ore dopo, la Corte suprema per le elezioni, Ysk, l’unica deputata a certificare il voto, tace ancora. Kilicdaroglu twitta: «È una farsa, siamo in vantaggio, non dormiremo stanotte». Erdogan non demorde: «Tentare di annunciare i risultati in modo avventato significa usurpare la volontà nazionale». Dopo ore di tensione, con notizie di alterchi e pressioni in alcuni seggi tra i rappresentati dei partiti e minacce di riconteggi, anche le agenzie governative alle 23.30 confermano che nessuno dei due candidati alle elezioni presidenziali ha il 50%dei voti necessario per vincere. Anadolu dà Erdogan al 49% e Kilicdaroglu al 45%. Anka segna 48% per il presidente e 45% per lo sfidante. Sospesa e spaccata in due, la Turchia si avvia verso altri 14 giorni di campagna elettorale che si annunciano tesissimi, per il ballottaggio del 28 maggio, la prima volta da quando è stato introdotto il presidenzialismo, nel 2018, che si va al secondo turno. L’affluenza massiccia, superiore all’87% - alta anche per un Paese abituato a una grande partecipazione popolare – non è bastata a dare una risposta definitiva a una sfida considerata cruciale da entrambi i contendenti: Erdogan, che cerca la riconferma dopo 20 anni al potere, e Kemal Kilicdaroglu, l’uomo che ha riunito per la prima volta quasi tutti i partiti di opposizione, dai nazionalisti alla sinistra, con l’obiettivo di «riportare la democrazia in Turchia». Al secondo turno Erdogan potrebbe avere maggiori chance di vittoria, secondo diversi analisti, ma decisivi saranno i voti della sorpresa di queste elezioni, il nazionalista Sinan Ogan, terzo candidato che ha preso il 5,3%. È considerato soprattutto dai giovani un volto nuovo della politica, anche se è già stato parlamentare, è vicino ai LupiGrigi, il movimento estremista nazionalista che predica il panturchismo, è un falco anti-migranti e ha intercettato una parte del voto di protesta. La giornata di Erdogan inizia a Istanbul, la città dov’è nato e che gli ha regalato una scia di successi politici. Arriva nel seggio di Uskudar, quartiere conservatore sulla sponda asiatica, a metà mattina, giacca blu e camicia azzurra, si ferma con un gruppo di bambini, dà loro dei soldi. L’ha fatto spesso in campagna elettorale: giochi e monete regalati ai più piccoli come farebbe un premuroso padre di famiglia. «Auguro un futuro radioso al Paese e alla democrazia turca», dice, quasi a rispondere alle critiche di chi lo accusa di aver trasformato il Paese in un’autocrazia concentrando su di sé un enorme potere. Appare stanco, da tempo si rincorrono voci di una presunta malattia al colon, ma la presidenza ha sempre smentito. Lo sfidante Kemal Kilicdaroglu vota invece ad Ankara, la città dove vive con sua moglie Selvi nell’appartamento diventato famoso in questa campagna perché molti dei suoi video Twitter li ha girati dal tinello: «La democrazia è mancata a tutti noi. Vedrete, la primavera sta per tornare in questo Paese se Dio lo vuole e durerà per sempre». Le file ai seggi della capitale fotografano la spaccatura tra le due Turchie. «Prima di Erdogan la sanità pubblica praticamente non esisteva, queste strade che vedi così pulite e ordinate sono merito suo, anche il rispetto che la Turchia si è guadagnata nel mondo è un suo risultato», dice Soner, un signore sulla cinquantina che incrociamo in un seggio di Subayevleri, quartiere conservatore a Nord della città. È venuto a votare con tutta la sua famiglia, tre generazioni di turchi, nonni e nipoti. Sostengono il presidente. «Quasi tutti», ci sussurra l’unica giovane della tribù, divertita dalla scelta ribelle. «Se vince ancora Erdogan saranno guai», sospira Mehmet, che parla un buon inglese e vota in centro. Fa l’ingegnere, viaggia molto per lavoro, ha scelto Kilicdaroglu. «Ho 54 anni, voglio un futuro luminoso per i miei figli, un Paese libero e avanzato, non guidato da una consorteria attenta solo ai suoi interessi». Sadoh e Nurdan, invece, 26 e 27 anni, escono dal seggio mano nella mano. Sono designer. «Ho votato Kilicdaroglu », racconta lei, Sadoh. «Io per Ogan», dice Nurdan. «Serve un cambiamento reale, servono faccenuove». Nel primo pomeriggio ad Ankara arriva anche Erdogan per seguire lo spoglio. Kilcdaroglu resta insieme agli altri leader della coalizione nel quartier generale del Chp. Quando escono i primi dati dell’agenzia governativa Anadolu, la tensione sale. Ekrem Imamoglu e Mansur Yavas, i sindaci di Istanbul e Ankara, candidati vicepresidenti del Chp, si precipitano in sala stampa: «Non credete ad Anadolu controllata dal presidente. Abbiamo i nostri dati, sono buoni». Il vantaggio di Erdogan si assottiglia con il passare delle ore, la battaglia si fa serrata. I funzionari del Chp compulsano i cellulari. Si guarda alle province curde dell’Est dove Kilicdaroglu ha prevalso, alla costa Ovest, con Izmir a trascinare il rosso Repubblicano. Arrivano i voti delle grandi città, Ankara, Istanbul, la distanza con il presidente si riduce. «La farsa, iniziata con il 60%, ora è scesa sotto il 50», scrive Kilicdaroglu sul suo profilo Twitter. «Gli osservatori elettorali e i funzionari del consiglio elettorale non devono lasciare per nessun motivo i loro posti. Non dormiremo stanotte, popolo mio». Ma la rimonta non c’è. La Turchia resta sospesa, in attesa del 28 maggio.

Per inviare la propria opinione alla Repubblica, telefonare 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui