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La Repubblica Rassegna Stampa
31.03.2023 Democrazia, il test dell’Africa
Analisi di Gianni Vernetti

Testata: La Repubblica
Data: 31 marzo 2023
Pagina: 34
Autore: Gianni Vernetti
Titolo: «Democrazia, il test dell’Africa»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi 31/03/2023, a pag.34, con il titolo "Democrazia, il test dell’Africa" l'analisi di Gianni Vernetti.

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Gianni Vernetti

Cooperazione con le autocrazie: quando è troppo, è troppo? — L'Indro

Si è concluso ieri il secondo “Summit per la democrazia” promosso dal presidente Joe Biden che, insieme ai Paesi co-promotori di Corea del Sud, Zambia, Olanda e Costa Rica, ha riunito a Washington ed in collegamento virtuale 120 presidenti e primi ministri delle democrazie di ogni continente. Il primo summit si era tenuto nel dicembre del 2021 in un mondo ancora scosso da una crisi pandemica senza precedenti e da una globalizzazione minacciata da un susseguirsi di crisi globali: finanziarie, economiche, climatiche. Ma l’inizio degli anni Venti del nuovo secolo registrava anche una nuova forma di recessione: per la prima volta dalla fine della Guerra Fredda si era interrotto quel processo, che pareva inarrestabile, di pacifica diffusione della democrazia e dello Stato di diritto. La Storia era tutt’altro che “finita”, ma si era incamminata lungo percorsi insidiosi e imprevedibili: una nuova “recessione democratica” irrompeva con forza nella storia del tempo presente. La nuova assertività di Russia e Cina con la china sempre più totalitaria impressa da Vladimir Putin e Xi Jinping; l’esportazione dell’autoritarismo cinese in Africa e nel “sud globale” con il progetto della nuova Via della Seta; il colpo di stato di Lukashenko in Bielorussia; la svolta autoritaria e islamista di Erdogan in Turchia; il “nuovo” corso in Iran dell’ultraconservatore Ebrahim, sono stati alcuni degli elementi che hanno connotato la nuova stagione di arretramento della democrazia nel mondo. Da lì a poco la Russia avrebbe invaso l’Ucraina riportando la guerra nel cuore dell’Europa e costringendo la comunità delle democrazie a forme più evolute di coordinamento politico, istituzionale e militare. Questo è il clima che si respirava nelle giornate del secondo Summit delle Democrazie: la sfida delle autocrazie può essere vinta giocando non soltanto in “difesa”, ma riprendendo contemporaneamente il cammino della promozione e della diffusione delle libertà e dei diritti su scala globale. E lo hanno ribadito in molti. Il premier britannico Rishi Shunak ha rilanciato la “Media Freedom Coalition” per sostenere la libertà di stampa ovunque sia minacciata; il presidente lituano Gitana Nauseda ha annunciato che l’1,5% dell’intero Pil del Paese verrà dedicato al sostegno all’Ucraina; la presidente estone Kaya Kallas, da poco rieletta, ha lanciato il programma “Technology for Democracy” per sostenere dissidenti e garantire l’accesso a Internet nei regimi dittatoriali; la presidente della Moldavia Maia Sandu ha raccontato gli sforzi enormi del suo piccolo Paese per costruire un sistema giudiziario indipendente e per confermare il destino di integrazione euro-atlantica di un Paese sempre più minacciatoda Mosca. Il presidente Joe Biden ha ricordato il bisogno di “dimostrare che la democrazia funziona e può migliorare la vita in modo tangibile di milioni di esseri umani. Per fare ciò, le democrazie devono unirsi per rafforzare ancora le nostre società aperte e per essere uniti nella difesa contro le minacce delle autocrazie”. L’unità e la coesione fra le democrazie euro-atlantiche nel sostegno all’Ucraina non è stato però l’unico indicatore di una positiva inversione di tendenza nel confronto fra democrazie e autocrazie. Ed il messaggio più forte è giunto ieri dall’Africa. I molti presidenti e primi ministri africani intervenuti al summit (Zambia, Botswana, Tanzania, Congo, Senegal, Malawi, Liberia, Kenya, Capo Verde, Gambia, Niger, Nigeria, fra gli altri) sono l’indicatore di un clima che sta cambiando a livello globale e che la “scorciatoia cinese” allo sviluppo del continente africano è guardata con sempre più sospetto. I dati resi pubblici qualche giorno fa dal Centro per la Finanza e lo Sviluppo della Fudan University di Shanghai parlano chiaro: fra il 2021 e il 2022, gli investimenti cinesi in Africa sono crollati del 55%. Trappola del debito e insostenibilità finanziaria dei progetti infrastrutturali promossi da Pechino rendono sempre meno attrattivo per i Paesi africani il sostegno cinese. La Fondazione “Alliance of Democracies” guidata dall’ex Segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen, ha lanciato il progetto di un “Articolo 5 per l’economia” per rispondere ai tentativi di coercizione economica autoritaria delle autocrazie. Il boicottaggio economico di Pechino contro la Lituania (dopo le aperture a Taiwan) e contro l’Australia (per avere chiesto una commissione sulle origini del Covid) rendono necessaria una maggiore coesione fra la comunità delle democrazie per rispondere con iniziative tempestive di sostegno economico ai Paesi minacciati. La premier Giorgia Meloni ha annunciato l’impegno dell’Italia per contrastare la falsa narrativa “sull’efficacia dei regimi autoritari”, impegnandosi a condizionare le relazioni internazionali del nostro Paese alla qualità del rispetto dei diritti umani fondamentali. Per troppo tempo i Paesi liberi si sono illusi che la globalizzazione delle economie sarebbe stata una condizione sufficiente per diffondere pacificamente democrazia, libertà e diritti. Così non è stato. La guerra della Russia in Ucraina e la nuova assertività della Cina su scala globale costringono ora la comunità delle democrazie ad un cambio di passo e il Summit per la democrazia, appena concluso, potrebbe presto trasformarsi in un Summit delle democrazie, per dare vita ad una nuova alleanza per la globalizzazione dei diritti.

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