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La Repubblica Rassegna Stampa
09.01.2023 Berlusconi e Salvini filo-Putin
Cronaca di Tommaso Ciriaco

Testata: La Repubblica
Data: 09 gennaio 2023
Pagina: 2
Autore: Tommaso Ciriaco
Titolo: «Un caso lo scudo per Kiev dubbi tecnici e politici. Il decreto solo a febbraio»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 09/01/2023 a pag.2 con il titolo "Un caso lo scudo per Kiev dubbi tecnici e politici. Il decreto solo a febbraio" l'analisi di Tommaso Ciriaco.

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Silvio Berlusconi, Matteo Salvini

È la grande partita dello scudo per difendere Kiev. Una richiesta che Giorgia Meloni ha ricevuto personalmente da Volodymyr Zelensky. Su cui Washington ha insistito due giorni fa, con Palazzo Chigi. La volontà politica della premier c’è tutta. Al momento, però, manca il decreto. Probabilmente non arriverà prima di febbraio. Il momento della verità, trapela adesso da fonti dell’esecutivo, è fissato a fine gennaio, quando il governo stabilirà quali e quanti mezzi spedire agli ucraini. In ballo non c’è solo il possibile invio Samp-T, ma anche i missili Aspide. Per capire cosa ruota attorno a questa delicatissima partita geopolitica, è necessario scavare. E fare luce su un rebus che sta complicando le scelte sullo scudo. Il piano da cui partire è quello politico. Interno e internazionale. Riguarda prima di tutto il rapporto con Washington. Ucraini e americani chiedono il sistema di difesa. Meloni è disponibile e spera in una soluzione prima del 24 febbraio, perché entro quella data sarà a Kiev da Zelensky e non intende farlo a mani vuote. Guido Crosetto vanta a sua volta rapporti strettissimi con gli Stati Uniti ed è atteso il 20 gennaio al vertice alleato nella base aerea di Ramstein, dove con la Nato si stabiliranno gli avanzamenti nelle forniture. E dunque si impone la domanda: cosa complica questo percorso? Secondo alcune fonti, peserebbero gliequilibri assai delicati nella maggioranza. Non è un mistero che Matteo Salvini e Silvio Berlusconi premono per sostenere le ragioni di Putin e sono scettici sul sostegno militare a Kiev, tanto da aver chiesto un rallentamento del flusso di armi. Dai vertici del governo, però, questa tesi viene negata con decisione: nessun condizionamento, nessuna resistenza da Lega e Forza Italia. C’è un altro punto, controverso, su cui si dibatte in queste ore e che non va sottovalutato: il timore di sguarnire i cieli italiani. L’Esercito possiede cinque batterie operative, più una per l’addestramento. Sono cinque però solo sulla carta. Una è attiva in Kuwait, inviata per difendere l’area ai tempi dell’escalation tra Iran e Arabia Saudita e oggi utile a difendere la base da cui partono i voli militari sull’Iraq. Un’altra è stata promessa dal precedente governo agli Stati Uniti: verrebbe schierata in Slovacchia e servirebbe a sostituire una batteria americana di Patriot posizionata nel Paese dell’Europa orientale, che sarebbe a sua volta dirottata in Ucraina. La “staffetta” dovrebbe concretizzarsi a gennaio, e il Samp-T resterebbe comunque di proprietà italiana. La decisione è stata confermata politicamente dall’attuale esecutivo. In questo modo, però, già due esemplari sono impegnati. Un altro paio sono ciclicamente in manutenzione. Ma può questa circostanza, da sola, giustificare la difficoltà a fornire lo scudo a Kiev? Secondo fonti militari, è possibile. Perché si indebolirebbe l’ombrello sull’Italia. In realtà, quella che andrebbe offerta a Kiev è la batteria utilizzata per l’addestramento, dunque non operativa. E in ogni caso, esiste la presenza della Nato sul suolo italiano a garantire la difesa. E poi, un dettaglio emblematico: quando nel 2016 andò in scena il golpe in Turchia, l’Italia aveva schierato in quel teatro un Samp-T nell’ambito dell’operazione Nato “Active Fence” contro missili balistici provenienti dalla Siria. Dopo quel colpo di Stato fallito, i turchi pressarono per mantenere la batteria. E il sistema fu lasciato al suo posto. L’altro grande capitolo riguarda i costi. Può essere questa la ragione che frena Roma? Un Samp-T completo costa circa 750 milioni di euro. Quello che il governo dovrebbe fornire agli ucraini vale però circa 250 milioni: è privo di alcune componenti - e dei missili - che sarebbero assicurati dai francesi. Sono cifre importanti, ma in linea con i cinque precedenti decreti varati dall’esecutivo Draghi: una stima ufficiosa (e che non può essere confermata, perché secretata) indica in 200 milioni il costo medio di ogni singolo intervento. Certo, l’esecutivo Meloni preme con Bruxelles per aumentare la portata dei ristori europei ai Paesi che assicurano armi a Kiev. Ma il peso politico dell’impegno assunto dallapremier è comunque decisivo e prevale sui dubbi di natura contabile. E poi ci sarebbero le resistenze dei tecnici. Prima di ogni decreto si è registrata una dialettica tra militari e governo attorno alla scelta dei mezzi da inviare e al peso di una riduzione delle scorte. È però chiaro che la Difesa ha sempre ponderato le scelte tenendo a mente l’obbligo di non scendere sotto gli standard di sicurezza necessari. E in ogni caso, quelli dei militari restano comunque soltanto dubbi: dal Dopoguerra in poi, ogni scelta è e resta in capo solo alla politica. Né è giusto tirare in ballo l’Eliseo, per spiegare le difficoltà. Di recente, è vero, non sono mancate tensioni tra i due governi, culminate nello scontro tra Meloni ed Emmanuel Macron. Ma sul punto, trapela, non ci sarebbero più particolari resistenze e sarebbe stata raggiunta un’intesa. Anche perché nel frattempo va avanti il progetto per costruire un nuovo modello di Samp-T, progetto a cui hanno chiesto di partecipare anche i turchi. L’investimento del governo Meloni sull’Ucraina è forte, anche sul piano economico: in settimana il ministro dello Sviluppo economico Adolfo Urso sarà a Kiev con il presidente di Confindustria Carlo Bonomi. E poi, le forniture del quinto decreto sono ormai di fatto quasi esaurite. E dunque si torna alla domanda di partenza: perché? Il rebus dello scudo manca ancora dell’ultimo capitolo.

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