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La Repubblica Rassegna Stampa
08.01.2023 Natale ortodosso tra i colpi di cannone
Cronaca di Daniele Raineri

Testata: La Repubblica
Data: 08 gennaio 2023
Pagina: 12
Autore: Daniele Raineri
Titolo: «Bakhmut senza tregua. Natale ortodosso tra i colpi di cannone»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 08/01/2023, a pag. 12, la cronaca di Daniele Raineri dal titolo "Bakhmut senza tregua. Natale ortodosso tra i colpi di cannone".

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Daniele Raineri

I soldati ucraini sparano con l’artiglieria a un ritmo folle, un colpo di cannone ogni pochi secondi per tutte le ore di questo che in teoria è il cessate il fuoco più importante dall’inizio dell’invasione russa. Sparano da Bakhmut, la città del Donbass che da sei mesi è al centro di combattimenti brutali. Alla tregua unilaterale di Putin, dichiarata in occasione del Natale ortodosso che cade il 7 gennaio, loro non credono, pensano che sia un trucco per spostare mezzi e uomini ancora più vicino alla città, e quindi non c’è tempo da perdere, è necessario fare fuoco anche se gli altri non lo fanno. I notiziari internazionali, i media e i social che da tre giorni discutono del cessate il fuoco della Russia qui è come se non esistessero. Con la temperatura che oscilla attorno ai meno dieci gradi centigradi, il fiume che divide le truppe russe da quelle ucraine ad appena un chilometro di distanza potrebbe gelare da un momento all’altro e diventare passabile a piedi in mille punti che prima non erano percorribili. Che i comandanti russi abbiano pensato a questo, quando qualche giorno fa hanno visto nelle previsioni meteo che il Natale ortodosso sarebbe coinciso con l’arrivo di una gelata che durerà almeno una settimana, non si può escludere. Da mesi alle truppe russe non riesce di attraversare una zona scoperta a est della città, che in condizioni normali coprirebbero in venti minuti. Intrappolati nel ruolo di attaccanti, quello che ti espone di più al fuoco nemico, sentono di avere Bakhmut in pugno ma non riescono a raggiungerla perché gli artiglieri ucraini continuano a sparare senza sosta. E così nelle postazioni ucraine l’idea che per un qualche decisione presa da Putin a Mosca si debba smettere di sparare contro il fronte dei soldati russi, così vicino, non attecchisce. «Non dovrebbero essere qui in Ucraina», dicono. Non che l’altra parte si astenga del tutto dal bombardare: si arrivain città da una collina che la sovrasta e la prima cosa che si vede è una colonna di fumo nero fra i tetti innevati. È il risultato di un colpo russo – e ci sono altri segni di bombardamenti freschi perché una spolverata di neve arrivata venerdì sera rende il terreno facile da leggere se si vuole capire cosa è successo nelle ultime ore. Sono arrivati colpi di cannone e di mortaio. La cosa non fa scandalo. Nel Donbass la storia delle tregue violate dalla Russia risale fino al 2014. Di testimoni diretti per confermare non c’è traccia. Bakhmut è una città fantasma senza più una finestra intatta, è un reticolo di viali in pendenza vuoti e di facciate mezze annerite. Sono rimasti soltanto ottomila abitanti dei centoventimila di prima della guerra e passano il tempo sottoterra oppure, le rare volte cheescono, a correre da un edificio all’altro come topolini. Da un momento all’altro possono cadere colpi dall’alto e nessuno può prevedere dove succederà. Un momento prima c’è calma, un momento dopo c’è un’esplosione. E così per centinaia di colpi al giorno, ogni giorno e in tutte le strade. Due giorni fa una cannonata russa ha centrato un cosiddetto “puntodell’invincibilità” e ha ammazzato un volontario. I punti dell’invincibilità erano tre, sono stati creati dal governo – se non si fosse capito dal nome – per aiutare le popolazioni sotto i bombardamenti. Sono piccoli rifugi che offrono un po’ di riscaldamento, perché mancano elettricità e gas, un po’ di connessione internet per mettersi in contatto con chi è altrove, medicine e cibo. In uno deidue centri superstiti Irina, che si occupa della distribuzione da dietro a un bancone improvvisato, dice aRepubblica che i farmaci più richiesti sono quelli contro i danni da freddo, «questa è soprattutto gente anziana che resta bloccata a lungo in posti freddi». Una stufa scalda lo stanzone senza finestre, sui tavoli ci sono piatti di plastica con biscotti, un altro bancone distribuisce tè caldo. Il posto è pieno, continuano a sgattaiolare dentro persone dall’ingresso, che è un po’ più basso del piano stradale e affaccia sul lato opposto a quello delle batterie russe – non garantisce protezione assoluta ma offre una sensazione di riparo in più. Sono soprattutto anziani infagottati. Questa gente è qui per il Natale? «No, ogni giorno è così», risponde Irina. Ci spostiamo in un altro rifugio,questa volta non gestito dal governo. I racconti degli abitanti di Bakhmut partono tutti da un’affermazione di principio che è assurda da ascoltare in queste condizioni: non se ne vogliono andare. Vivono nelle cantine da maggio, passano il tempo a gruppi di quaranta nei sotterranei, tirano avanti con i loro figli pallidi sotto la minaccia continua delle cannonate e dei razzi eppure non vogliono passare un’ora su un’automobile che li porterebbe verso il resto dell’Ucraina e una vita un po’ più normale. Costringono tutto un apparato di volontari bene intenzionati e dotati di furgoni a fare avanti e indietro con bombole di gas, coperte, cibo e medicinali, e quindi a esporsi al rischio concreto di farsi ammazzare, pur di non allontanarsi dalla città. I figli – ma i bambini sono pochissimi, quelli avvistati si possono contare su una mano – rispondono con poche sillabe. Cosa ti manca? «Duma ». La casa. Cosa vorresti? «Mira ». La pace. Igor risponde così sotto lo sguardo vigile del padre. Ogni tanto un colpo di cannone in uscita sparato dagli artiglieri ucraini scuote il telo di plastica che sostituisce il vetro della finestra. C’è pessimismo a Bakhmut sulla possibilità di resistere ai russi. Su Twitter ci sono molti spezzoni di video che mostrano cadaveri di soldati russi sparpagliati a decine sul terreno e altri braccati dai droni, ma in città si dice che presto gli ucraini si potrebbero ritirare come a giugno fecero da Severodonetsk e Lysychanks, per il semplice fatto che l’artiglieria russa spara centinaia di colpi di artiglieria sugli stessi pochi chilometri quadrati. È la solita tattica, non può essere usata su vasta scala ma in settori piccoli funziona. Chiediamo a Dima, 26 anni, se pensa che i russi riusciranno a conquistare Bakhmut. «Preferisco non dare una risposta pubblica su questo», dice, dentro a un punto dell’invincibilità.

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