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La Repubblica Rassegna Stampa
02.01.2023 Papa Ratzinger e la rottura con la tradizione nel rapporto con l’ebraismo
Analisi di Riccardo Di Segni

Testata: La Repubblica
Data: 02 gennaio 2023
Pagina: 4
Autore: Riccardo Di Segni
Titolo: «Quella rottura con la tradizione nel rapporto con l’ebraismo»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 02/01/2023, a pag. 4, il commento di Riccardo Di Segni dal titolo "Quella rottura con la tradizione nel rapporto con l’ebraismo".

Riccardo Di Segni - Wikipedia
Riccardo Di Segni

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Papa Ratzinger

Prima della sua nomina a pontefice, in una cena kashèr privata, organizzata dalla comunità di S. Egidio, ebbi l’occasione di discorrere a lungo con l’allora cardinale Ratzinger. Fu un incontro difficile in cui il cardinale si presentava come teologo rigoroso, cortese ma freddo e distaccato, disposto all’ascolto ma su posizioni rigide; l’argomento della conversazione era ovviamente il rapporto tra cristiani ed ebrei e non sembrava esserci molto entusiasmo. Con l’ascesa al soglio pontificio molto è cambiato in lui. Forse il non essere più schiacciato dal peso del suo predecessore, per il quale fungeva da guardiano della dottrina, gli dava la libertà di esprimersi più apertamente e anche più empaticamente. Nel rapporto con ebrei ed ebraismo, durante il suo pontificato e spesso proprio per le sue decisioni, è successo di tutto. Vi sono stati momenti di crisi: quando venne tolta la scomunica ai vescovi lefebvriani, uno dei quali apertamente negazionista e tutti in opposizione al Concilio che in uno dei suoi momenti più importanti promulgò la dichiarazione Nostra Aetate aprendo una nuova storia nei rapporti tra ebrei e cristiani; poi ci fu il primo passo per la beatificazione di Pio XII, quando ancora gli archivi storici vaticani erano inaccessibili agli studiosi; quindi la formula della preghiera per gli ebrei del Venerdì Santo nella messa in lingua latina, scritta dal papa stesso, nella quale si invocava che il cuore degli ebrei si aprisse al riconoscimento di Cristo, e che, almeno nella prima edizione, fu intitolata preghiera “per la conversione degli ebrei” (un refuso, si disse dopo). Ognuno di questi episodi sollevò polemiche e proteste. Nel primo caso non era tollerabile per gli ebrei che fosse legittimata l’opposizione alle decisioni conciliari; nel secondo che si passasse una spugna su una storia controversa; nel terzo che si mettessero in discussione i presupposti del dialogo, che per gli ebrei dovrebbe servire a una migliore conoscenza dell’altro, al rispetto reciproco, ma non come strumento dolce di politiche conversionistiche. Alle proteste seguirono chiarimenti, dei lefebvriani che non hanno ceduto non se ne parla più, la storia di Pio XII segue un iter faticoso, e la preghiera per la conversione è rimasta, accompagnata da una esegesi compromissoria. In pratica, viene spiegato, un conto sarebbe il desiderio ultimo della Chiesa e un altro il modo di realizzarlo, che non si traduce in politiche conversionistiche attive; una soluzione che consente spazi di confronto ma che certamente non è l’ideale. Tutto questo corrisponde al pensiero teologico del cardinale poipapa Ratzingere ne rappresenta l’aspetto problematico. Ancoranegli anni recenti, ormai papa emerito, ha continuato a elaborare il suo pensiero critico; ma i suoi scritti hanno avuto poca circolazione e il papa ha dialogato col rabbino Folger che sollevava obiezioni, dimostrando la disponibilità al confronto. D’altra parte è stato proprio il papa teologo a esprimere grande rispetto per l’ebraismo, mettendo indiscussione preconcetti e pregiudizi. Ha scritto molto e predicato sul valore di quello che per i cristiani è l’Antico Testamento, ha cercato sistematicamente di recuperare l’ebraicità di Gesù e di smussare e reinterpretare le numerose espressioni antiebraiche presenti nel Nuovo Testamento; nei suoi viaggi ha visitato Sinagoghe e non ha mancato di fare una visita a quella di Roma, stabilendo una continuità col gesto di Giovanni Paolo II; proprio in quell’occasione, sollecitato da una mia riflessione sulle storie dei fratelli nella Genesi (che prima si ammazzano poi si riconciliano) la sua anima di teologo ed esegeta ha voluto riprendere il tema che evidentemente lo toccava da vicino. Persino sul ritorno ebraico a Sion e lo Stato d’Israele, realtà che la tradizione politica e religiosa del Vaticano ha visto con ostilità all’inizio e con poca simpatia dopo, Benedetto XVI è arrivato a dire che per un cristiano non dovrebbe essere difficile vedere nella «creazione dello Stato di Israele la lealtà di Dio verso Israele, rivelatasi in modo misterioso»; questo concetto per lui conforta la fede cristiana, fermo restando il diritto alla critica verso ogni politica statuale. Sono concetti forti e quasi rivoluzionari rispetto alla tradizione precedente. In definitiva non è possibile una valutazione semplicistica, come quelle che vorrebbero dipingere un pontificato a tinte accese di un unico colore. Il pensiero di papa Benedetto è stato complesso come la sua personalità, ma sotto il suo pontificato e con la sua sollecitazione si è continuato a costruire.

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