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Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 07/12/2022, a pag. 13, con il titolo "Mozart contro Wagner. Al fronte la Ong militare che salva soldati e civili", l'analisi di Bernard-Henri Lévy.
Bernard-Henri Lévy Conoscete Mozart? Quando la guerra in Ucraina sarà finita, quando verrà il momento di fare un bilancio delle devastazioni, dei crimini, delle pene e di alcuni momenti di nobiltà di cui sarà comunque stata teatro, l’azione del gruppo Mozart figurerà tra questi ultimi. Tutto comincia all’inizio dell’invasione, a marzo, quando un americano, ex colonnello dei Marines, scopre, dal suo ritiro in Florida, le prime immagini dell’ “operazione speciale” di Putin. Si chiama Andrew Milburn. È malinconico e coraggioso. È perseguitato dai fantasmi delle brutte guerre (Iraq...) in cui è stato coinvolto, ma non ha smesso di credere nel destino manifesto del suo Paese e nel suo secolare patto con il diritto. E ha fatto, a soli 55 anni, quello che molti suoi compagni d’arme hanno fatto prima di lui: ha seguito le orme del mio amico Elliot Ackerman, il cui libro sull’Afghanistan ho recentemente recensito; quelle di Philip Caputo, autore del bellissimo “A Rumor of War”; ha già preso posto in quella singolare, e così americana, confraternita rappresentata, dopo la guerra del Vietnam, dai veterani scrittori; e ha pubblicato un libro di memorie, “When the Tempest Gathers”, in cui, come tutte le anime nobili che hanno visto la guerra da vicino, racconta sia l’orrore che essa ispira sia la nostalgia per il servizio e le imprese militari da cui non si è mai ritirato del tutto, da Mogadiscio all’Ucraina. Ma, per il momento, è marzo. È sconvolto dalle immagini che gli giungono dell’assalto a Irpin, della marcia su Kiev, dei bombardamentinel Donbass. E siccome è anche un giornalista, parte come corrispondente di guerra per il sito online [/CAPL2-COM] Task&Purpose, per il quale scrive, tra l’altro, un articolo in cui è uno dei primi a prevedere il fallimento militare dei russi. Ben presto si rende conto che i volontari ucraini che accorrono coraggiosamente agli uffici di reclutamento non hanno la benché minima esperienza di combattimento. Decide dunque di impegnarsi diversamente e inventa un programma di addestramento che insegni loro, in pochi giorni, a usare un’arma, a costruire una barella, a correre piegando il busto, a stringere con un laccio una ferita, a guadare unfiume senza scivolare, a sopravvivere in una trincea. E via via si rende conto che, in una guerra contro i civili, l’evacuazione delle famiglie intrappolate nei villaggi, terrorizzate, paralizzate, prive di qualsiasi mezzo di trasporto, isolate, è una delle grandi urgenze e crea una task force incaricata di localizzarle, contattarle e andare, secondo le loro scelte, a prenderle o a portare loro dei rifornimenti. Ho incrociato gli uomini del gruppo Mozart in due occasioni. Una volta, a maggio, nella zona di Zaporizhzhia, dove stavano addestrando dei soldati che, se non avessero ricevuto l’ordine di arrendersi, avrebbero dovuto prendere il postodegli assediati della Azovstal. Poi, il mese scorso, a Bakhmut, nell’oblast di Donetsk, dove, mentre scrivo, si stanno svolgendo i combattimenti più feroci. Avevano deciso di raggiungere una coppia di anziani intrappolati nella cantina di una lugubre casetta, l’ultima rimasta in piedi nel villaggio, che non sapevano se uscire, rimanere dentro, aspettare l’ultima granata o ascoltare i soccorritori caduti dal cielo – «Per l’amor di Dio, non fatevi ammazzare, venite...». Quando Milburn chiama il suo gruppo “Mozart” ha ovviamente in mente il gruppo Wagner. Solo che il gruppo Mozart, qui, non è soltanto una risposta agli squadroni di pregiudicati, cani da guerra e altri assassini della Wagner, è l’esatto opposto. I suoi uomini sono disarmati. Non hanno auto blindate, e in una delle sequenze del film che sto girando attualmente, li vedrete girare in un minivan, a tutto gas, sotto il fuoco, inseguiti da droni sparati dalle colline. Non hanno nemmeno una pistola e, in caso di scontro, non avrebbero altri mezzi per difendersi se non l’intelligenza e l’arte di sottrarsi al pericolo acquisite nella loro prima vita, quando facevano parte dei commando d’élite delle forze speciali. Infine, non sono pagati, e niente fa arrabbiare di più Milburn - e Dio sa se le sue arrabbiature sono omeriche! - che vederli descritti come “milizia” e confusi, anche solo in parte, con mercenari venuti a rischiare la vita per denaro. Insomma, siamo più vicini al “fare la guerra senza amarla” di Malraux o all’Addio alle armi di Hemingway che ai sognatori con l’elmetto della cattiva letteratura di guerra. La Mozart non è un reggimento, è una Ong. Sono giovani veterani, ma impegnati a reinventare le regole dell’azione umanitaria sul campo di battaglia delle guerre giuste. Sono uomini e, a volte, donne esperti nel mestiere delle armi, ma che cercano di rispondere alla difficile questione, sancita dal diritto internazionale da vent’anni, di quella che i francesi chiamano la responsabilità di proteggere. Fanno parte dell’onore dell’America. Sono la risposta sferzante all’abiezione del modello Wagner. Wagner o Mozart, bisogna scegliere.
Traduzione di Luis E. Moriones
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