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Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi 29/11/2022, a pag.14, con il titolo "Il reduce di Tienanmen: 'Questo potrebbe essere l’inizio di una rivoluzione' " l'intervista di Gianni Vernetti.
Ci può raccontare cosa stia succedendo alla Urumqi Road di Shanghai, a Guanghzhou ed alla Tsinghua University di Pechino? «Potrebbe anche essere l’inizio di una rivoluzione. Le proteste si stanno diffondendo a macchia d’olio in tutto il Paese e in pochi giorni potrebbero diventare un movimento in grado di innescare un reale cambiamento».
Come descriverebbe questa protesta nata contro le politiche del cosiddetto Zero-Covid e che sta diventando sempre più una critica a tutto campo al regime di Xi Jinping? «Da molti anni la Cina è diventata una specie di “pentola a pressione” all’interno della quale 1,3 miliardi di esseri umani sono stati costretti a vivere. Il Partito Comunista guida un regime totalitario che non conosce altri linguaggi al di fuori del controllo più ferreo sulla società. La politica Zero-Covid è dunque coerente con questo regime. Ma c’è anche di più: la consapevolezza del ritardo scientifico sui vaccini e sulla loro inefficacia».
Era prevedibile questa rivolta cosi diffusa? «Chi sta scendendo in piazza non sopporta più di essere considerato unsoggetto insignificante, senza diritti e rispetto. Per questo i morti del condomino di Urumqi hanno suscitato tanta indignazione. Il regime non tratta la popolazione come cittadini ma come oggetti di cui disporre a piacimento».
Per la prima volta siamo inondati di video e messaggi sulla rivolta. La grande muraglia informatica (“the great firewall”) si sta sgretolando? «Gli strumenti di controllo e sorveglianza sono sempre attivi e l’esercito di censori è all’opera. I giovani hanno però iniziato a usare nuove tecnologie (come il Vpn) per rompere la muraglia della censura e poi c’è un fatto di scala: la quantità di video, informazioni, post sui social è tale che sta travolgendo i tradizionali meccanismi di controllo».
La Cina ha sempre legato la propria stabilità interna alla crescita economica. Ora tre anni di Zero-Covid, il crescente confronto con l’Occidente, la guerra dei chip, stanno rallentando la locomotiva cinese. Qual è la sua opinione? «L’Europa e gli Usa hanno fatto la scelta giusta a reagire a una Cinasempre più aggressiva sul piano internazionale. Il progressivo “decoupling” ha prodotto una riduzione degli investimenti esteri e una crescente rilocalizzazione di molte attività manifatturiere verso paesi più affidabili. L’industria hi-tech cinese ha perso di competitività e leadership. Tutto ciò ha avuto un impatto molto maggiore sulla vita della Cina delle politiche Zero-Covid: se il regime non è più in grado di garantire la crescita economica, perché i cinesi dovrebbe continuare a stare in silenzio?».
Nel 1989 durante i fatti di Tienanmen una parte del Partito si schierò con gli studenti. Crede che oggi qualche voce del regime potrebbe rompere l’unanimismo intorno a Xi? «Xi Jinping con la forzatura del terzo mandato ha eliminato ogni forma di dissenso interno e costruito un regime di fedelissimi. Per raggiungere questo obiettivo si è creato un grande numero di nemici. Qualche voce di dissenso emergerà di sicuro».
I fogli bianchi di Shanghai sono gli stessi dei manifestanti contro la guerra a Mosca e i giovani in piazza a Pechino gridano slogan simili ai loro coetanei di Teheran. Crede che stia nascendo un movimento globale contro le dittature? «Credo di si. Le dittature hanno generato paura per decenni e il massacro di Tienanmen è solo uno degli esempi nella storia recente. Ma la paura non si trasmette da una generazione all’altra. La voglia di libertà è scritta nel Dna degli esseri umani. Dobbiamo mandare un messaggio chiaro a tutti i dittatori: “Noi non abbiamo paura di voi”. Siamo una comunità globale e interdipendente e abbiamo il diritto a interferire nei vostri cosiddetti “affari interni”, che hanno a che fare con i nostri valori fondamentali, con la nostra sicurezza, con la nostra economia».
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