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Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 23/11/2022 a pag. 17 l'intervista di Paolo Mastrolilli dal titolo "Vali Nasr: 'Da Mahsa agli ayatollah ora in Iran la protesta minaccia il regime' ".
Paolo Mastrolilli Vali Nasr Usa un’immagine molto evocativa, Vali Nasr: «Questa protesta è cominciata come il momento George Floyd dell’Iran, ma si sta allargando verso una contestazione complessiva della Repubblica islamica, e quindi rappresenta una minaccia esistenziale per il regime». Poi però il professore di origini iraniane alla Johns Hopkins University School of Advanced International Studies avverte: «L’Occidente sta sostenendo bene i manifestanti, ma non ha molte leve per favorire la caduta del regime, che potrebbe avvenire domani o anche mai. Quindi deve continuare a porsi il problema di come affrontare gli altri elementi di attrito con Teheran, come il programma nucleare, quello missilistico, e gli aiuti militari alla Russia in Ucraina».
Quali sono le origini della protesta? «È cominciata come reazione alla morte della giovane Mahsa, contro il velo e per la libertà delle donne di vestirsi come credono. Non aveva un particolare connotato anti regime, ma si è rapidamente estesa per la frustrazione assai profonda nella società iraniana contro il governo totalitario, le limitazioni culturali, le difficoltà economiche. Anche la parte più conservatrice è insoddisfatta del presidente Raisi. Quindi la protesta è diventata persistente, e si è allargata dalle ragazze che toglievano il velo alla squadra di calcio che non canta l’inno. Da poche piazze a molte città. Anche gli slogan sono cambiati, dalla richiesta di lasciare in pace il corpo delle donne, alla libertà della persona, ai diritti. Ora si inneggia alla morte della dittatura, quindi il regime è diventato il bersaglio».
Quanto è profonda nella società? «Si è sviluppata verso altre dimensioni. Siccome Mahsa era curda, la sua morte ha generato manifestazioni in quelle regioni, che non sono le uniche dove il regime ha imposto la legge marziale e inviato le truppe della Guardia rivoluzionaria. La repressione è stata sanguinosa anche nel Baluchistan, dove oltre cento persone sono state uccise in un solo giorno, negli scontri dopo la preghiera del venerdì dei sunniti locali. Quindi la protesta ha acquistato una dimensione etnica, che rende il governo incapace di fermarla. Non sono scese in piazza centinaia di migliaia di persone, o milioni come nel 2009, ma siamo ormai in una guerra d’attrito tra regime e manifestanti. Il governo non sta vincendo, la protesta persiste, e quindi sfida la Repubblica islamica».
Teheran accusa le interferenze straniere. «Non c’è dubbio che la frustrazione nella società sia ampia. Masha ha rappresentato il momento George Floyd dell’Iran, dove la morte di una ragazza mentre era detenuta dalla polizia per una questione frivola come il velo messo male, ha scatenato la rabbia non solo delle donne laiche, ma anche di molte famiglie vicine al regime. La gente è stanca delle sanzioni e l’isolamento dal resto del mondo. Poi c’è unaprofonda disconnessione tra le nuove generazioni e il governo rivoluzionario. I giovani, non solo i teenager, parlano il linguaggio dei diritti universali, mentre il regime usa ancora quello terzomondista e antimperialista degli anni Settanta. Sono differenze profonde e reali. I leader iraniani vedono la cospirazione straniera dietro qualunque problema, ma anche la guida Khamenei qualche settimana fa ha ammesso che le interferenze possono essere la mosca che si posa sulla tua ferita, ma se non avessi la ferita non ci sarebbe neppure la mosca».
La protesta è una minaccia esistenziale per il regime? «Potrebbe diventarla, perché si è estesa a molti temi, e ora è specifica contro il regime. La gente non crede più nella causa terzomondista e antimperialista della Repubblica islamica, e non è più disposta a pagare il prezzo che richiede».
Come giudica la risposta degli Usa e dell’Occidente? «Buona, stanno prendendo sul serio le proteste. Però non hanno molte leve sul regime, perché le sanzioni ci sono già per il programma nucleare e la vergogna internazionale non interessa alla Repubblica islamica. Più il regime si sentirà minacciato, più inasprirà la repressione».
L’accordo Jcpoa per impedire a Teheran di costruire l’atomica è morto? «Capisco che Biden dica di non volerlo rinnovare ora, però i problemi del programma nucleare, quello missilistico, e gli aiuti dati alla Russia restano. Serve un piano B per affrontarli, perché non c’è la certezza che la protesta rovesci il regime».
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