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Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 30/10/2022, a pag.2-3 le cronache con i titoli "Cannoni e mezzi hi tech le armi date dall’Italia per l’offensiva ucraina", "E ora tocca a Meloni ma sui nuovi aiuti a Kiev crepe nella maggioranza".
"Cannoni e mezzi hi tech le armi date dall’Italia per l’offensiva ucraina"
Tra Kiev e Roma comincia a rompersi la cortina del segreto che copre le forniture militari all’Ucraina, mostrando l’importanza del sostegno alla resistenza deciso dal governo Draghi. Un contributo rilevante soprattutto dal punto di vista tecnologico, perché sono stati donati i due sistemi bellici più potenti e più moderni in assoluto. Si tratta dei semoventi Mlrs e Pzh2000, decisivi per permettere alle truppe ucraine di surclassare l’artiglieria russa. Dietro le sigle tecniche infatti ci sono i mezzi migliori in dotazione al nostro Esercito e alle forze Nato. Il semovente Mlrs è la versione aggiornata dell’Himars americano, l’arma diventata l’icona dei successi ucraini nell’offensiva di fine estate: usa gli stessi razzi con guida satellitare gps e portata di 70 chilometri. Il modello statunitense però è trasportato su un camion e può lanciare sei ordigni mentre quello concesso dall’Italia ha 12 razzi, che si muovono su un veicolo cingolato e corazzato. Il nostro Paese possiede in tutto 18 Mlrs: all’Ucraina ne sono in corso di consegna due, che si uniranno a quelli offerti da Londra e Berlino. I Pzh2000 sono invece obici semoventi di concezione tedesca: hanno un cannone da 155 millimetri a caricamento automatico e una direzione del tiro computerizzata.Possono colpire fino a 40 chilometri di distanza, sparando venti proiettili in soli tre minuti: in pratica, un solo Pzh2000 ha il volume di fuoco di tre cannoni russi. Inoltre utilizzano munizioni speciali che si comportano come missili e arrivano a 70 chilometri. L’Italia dispone di 68 semoventi: a quanto risulta, sei stanno per venire dati agli Ucraini e si aggiungeranno ai 15 regalati da Germania e Olanda. Il comando di Kiev ha già stabilito dove verranno schierati: a Bakhmut, la città chiave dei combattimenti di questi giorni, per affrontare il contrattacco della Wagner e dei tank di Mosca. L’ultimo decreto varato dal governo Draghi ha messo a disposizione altri armamenti pesanti, più datati ma molto apprezzati dagli ucraini: gli obici semoventi M109L. Anche in questo caso, si tratta di cingolati corazzati con un cannone da 155 millimetri che impiega munizionamento Nato. Negli ultimi anni della Guerra Fredda l’Italia ne ha prodotti centinaia, aggiornando il modello originale statunitense, poi dall’inizio del millennio sono tolti dal servizio. Da un paio di settimane, però, diversi M109 sono stati fotografati lungo le autostrade del Nord: alcuni hanno un simbolo ucraino sulla fiancata, che in realtà è lo stemma del reggimento Torino, ricordo della campagna nel Dnepr durante la seconda guerra mondiale. Questi mezzi subiranno una revisione e poi andranno direttamente in prima linea. Quanti? Tra i venti e i trenta esemplari, anche se il numero esatto resta top secret. Un aiuto prezioso, perché Kiev fatica a procurarsi proiettili per la sue batterie d’origine sovietica e sta sostituendolecon questi semoventi, regalati anche da Usa, Norvegia e Regno Unito. Dai depositi dell’Esercito vengono prelevati pure decine di veicoli trasporto truppe M113, il veterano dei nostri reparti meccanizzati: permetteranno alla fanteria ucraina di muoversi senza temere raffiche e schegge. Sono vecchi ma efficienti, fondamentali per rimpiazzare i blindati distrutti in otto mesi di lotta: pure Stati Uniti e Olanda li stanno consegnando a Kiev. Quelli che abbiano descritto sono i sistemi più pesanti, forniti dall’Italia sulla base dell’ultimo decreto. Nella tarda primavera abbiamo donato gli obici Fh70, sempre da 155 millimetri, che si sono rivelati utilissimi per la battaglia estiva nel Donbass, ingaggiando duelli con le batterie russe. Gli ucraini li hanno schierati nell’avanzata che ha riconquistato la regione di Karkhiv e continuano a impiegarli negli scontri a Donetsk. Invece i fuoristrada blindati Lince sono stati assegnati ai reparti d’assalto aviotrasportati nell’offensiva per liberare Kherson e Zaporizhzhia: sono camionette progettate per resistere all’esplosione delle mine, una minaccia molto insidiosa nelle pianure intorno al fiume Dnepr. Un po’ ovunque invece vengono fotografati i mortai da 120 millimetri, impiegati dai difensori durantel’assedio di Mariupol. Le mitragliatrici pesanti arrivate già ad aprile sono state montate su jeep e pick up mentre quelle leggere sono state distribuite pure alle brigate Azov. Il trasferimento di questo arsenale e delle scorte di proiettili è stato gestito dal Covi, il Comando Vertice Interforze diretto dal generale Francesco Paolo Figliuolo: un’operazione complessa per spostare armi e munizioni attraverso l’Europa, condotta senza incidenti nella massima segretezza. Il risultato non è solo militare, con un importante sostegno alla resistenza contro l’invasione, ma soprattutto politico, perché ha permesso al governo Draghi di ottenere una posizione di rilievo nelle scelte internazionali sul conflitto. Adesso tocca all’esecutivo Meloni stabilire i passi concreti per proseguire o meno su questa linea.
"E ora tocca a Meloni ma sui nuovi aiuti a Kiev crepe nella maggioranza"
Il sesto pacchetto di armi all’Ucraina, con i sistemi di difesa antiaerea chiesti dal presidente Volodymyr Zelensky alla nuova premier Giorgia Meloni. Attorno alla metà di novembre dovrebbe arrivare, con un decreto interministeriale, la decisione che darà corpo alla professione di atlantismo del governo. E proverà ad allontanare i timori degli Alleati sulle simpatie filo-russe di Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Dotazioni invocate da Kiev per difendersi e aiutare la controffensiva. Armi con una gittata tale, sottolinea una fonte di maggioranza, «da permettere agli ucraini di difendersi, non di attaccare in territorio russo». Una precisazione, questa, a uso degli azionisti di governo più recalcitranti. Perché alla voce Ucraina i segnali di insofferenza già s’iniziano ad avvertire. Traspaiono anche nelle parole di «pace» pronunciate ieri dal vicepremier leghista. Ma andiamo con ordine. Dell’impegno «a continuare a fornire assistenza all’Ucraina» Giorgia Meloni ha discusso lunedì - lo ha riferito la Casa Bianca - nella telefonata con il presidente americano Joe Biden. È la conferma dell’attenzione di Washington. Un faro sull’approvazione del sesto pacchetto di armi come prima decisione ‘atlantica’ del nuovo governo. «A oggi non c’è nulla», assicurano fonti di primo piano del ministero della Difesa. E in effetti il nuovo decreto dovrebbe arrivare solo dopo un confronto in sede Nato del nuovo ministro Guido Crosetto. Ma nell’interlocuzione mai interrottacon Kiev e con l’Alleanza, già è emersa una disponibilità a contribuire con missili contraerei. Italia e Francia si sarebbero accordate per fornire insieme una batteria SAMP-T, i modernissimi e costosissimi missili terra-aria di produzione europea: Roma dovrebbe dare i sistemi radar, Parigi i lanciamissili con gli ordigni, strumenti in grado di garantire uno scudo completo a Kiev perché possono intercettare aerei, missili cruise, missili balistici e droni. L’Italia inoltre, in coordinamento con la Spagna che addestra gli ucraini, dovrebbe dare batterie – almeno tre – di vecchi missili terra-aria Spada/Aspide tolti dal servizio. In concreto, il decreto interministeriale (secretato nei contenuti) dovrà essere firmato - com’è stato finora - dai ministri della Difesa, Crosetto, degli Esteri, Antonio Tajani, e dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Uno di FdI, uno di FI, uno della Lega. Tutti gli azionisti del governo dovranno metterci la faccia. Ma i tempi potrebbero essere allungati da un problema procedurale: la legge prevede che prima dell’invio il decreto venga illustrato al Copasir, ma dopo la nomina di Adolfo Urso a ministro, il Comitato per la sicurezza, prorogato in attesa della nomina dei nuovi componenti, non ha più il numero legale (4 membri su 8). Se il decreto armi arriverà prima della nomina del nuovo Copasir - complicata dalla lite per la presidenza tra Terzo polo, Pd e M5s - potrebbe servire un intervento dei presidenti delle Camere per integrare l’organo. Fin qui gli intoppi procedurali. Ben più preoccupante è il nodo politico. Perché a fine anno scade il decreto legge che dà copertura all’invio delle armi, adottato da Mario Draghi dopo il via libera politico data dal Parlamento con una risoluzione. Per confermare la linea del sostegno all’Ucraina anche nel 2023 servirà dunque un’altra risoluzione, un nuovo voto parlamentare, da tradurre poi in una norma che proroghi il decreto in scadenza o in un nuovo decreto. Un passaggio non facile. Che potrebbe tramutare in dissenso quei distinguo che solcano la Lega e (più sottotraccia) FI. Lo stesso Salvini in un’intervista a Bruno Vespa per il suo libro torna a battere sul tasto della pace: «L’Italia chieda una conferenza internazionale. C’è un aggressore e un aggredito, ma tutte le guerre finiscono a un tavolo negoziale. L’Ucraina è parte lesa e la comunità internazionale si farà garante dell’accordo». Il vicepremier, che nega legami della Lega con Mosca ma torna a definire le sanzioni dannose per le imprese italiane, assicura di non volersi opporre all’invio di armi. Ma non è difficile misurare la distanza da Meloni. La premier, che a breve andrà a Kiev, ha detto: «La pace si ottiene consentendo all’Ucraina di difendersi». Le parole dell’alleato sono avvisaglie, per ora.
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