Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 09/10/2022, a pag. 1, con il titolo "Autocrazia e scienza per il primato della Cina" l'analisi del direttore Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Vladimir Putin con Xi Jinping
Ha le radici nel cuore del Novecento ma è un interlocutore indispensabile per affrontare le sfide globali di questo secolo: il Partito comunista cinese (Pcc) che inaugura fra una settimana a Pechino il suo XX Congresso ha un’agenda che riassume ed esalta contraddizioni e incognite del nostro tempo. Le radici del Pcc sono nel secolo scorso perché fu la rivoluzione bolscevica ad ispirare la “Lunga marcia” con cui Mao Zedong conquistò la Cina ed inaugurò, nel 1949, il primo Congresso del Pcc della neonata Repubblica Popolare. Mao governò come un imperatore, fino alla morte del 1976, e il successore Deng Xiaoping decise che la modernizzazione aveva bisogno di nuove regole: dunque, il segretario generale del Pcc avrebbe potuto godere al massimo di due mandati quinquennali. Non un giorno di più. Così fu per i suoi due discepoli, Jiang Zemin e Hu Jintao, ma Xi Jinping, eletto nel 2012, ha fatto abolire nel 2018 la “regola Deng” e dunque verrà rieletto dal XX Congresso per la terza volta consecutiva. Senza avere più alcun limite davanti a sé se non la morte. Proprio come Mao. Avere di fronte a sé l’onnipotenza a vita alla guida della Cina, il gigante economico che cresce più velocemente al mondo, significa per Xi diventare all’istante il demiurgo del nuovo “balzo in avanti” di Pechino ed anche l’interlocutore obbligato per il resto del Pianeta nell’affrontare l’agenda globale di lungo termine. Per avere un’idea del “salto in avanti” che Xi Jinping pianifica per il proprio Paese bisogna guardare alla struttura piramidale che il XX Congresso rinnoverà: i 370 membri del Comitato Centrale, 25 membri del Politburo e 7 membri del Comitato permanente del Politburo che gli rispondono in passato venivano dalle campagne o da una formazione soprattutto umanistica mentre ora i nuovi volti che presto conosceremo hanno alle spalle studi in gran parte scientifici non solo in Cina ma nelle migliori Università di ogni Continente, a cominciare da Europa e Nordamerica. Per centrare l’obiettivo di superare gli Stati Uniti nel 2050 come nazione più ricca, Xi si appresta dunque ad affidarsi ad una schiera di ingegneri, scienziati e ricercatori accomunati dalla volontà di polverizzare la leadership dell’Occidente nell’innovazione del sapere. D’altra parte, i vaccini anti-Covid arrivati da Europa e Stati Uniti grazie alle start up del biotech — a fronte degli scarsi risultati della ricerca statale in Cina e Russia — devono aver confermato a Xi, che da giovane funzionario andò a studiare le fattorie dell’Iowa, che è proprio l’innovazione il terreno sul quale le democrazie restano l’avversario con cui misurarsi. Per comprendere il valore della sfida globale sulla scienza che tutto ciò preannuncia bisogna tener presente che la Cina è già la nazione-leader sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale, come dimostrano i lettori hi-tech capaci di riconoscere i volti anche in presenza di mascherine solo sulla base delle rughe sulla fronte, come se fossero impronte digitali. E bisogna ascoltare le parole di Patrick Collison, il trentenne irlandese co-fondatore e ceo di Stripe, definito dalNew York Times come “l’unico pensatore della Silicon Valley”, quando afferma: «Il dilagare di diseguaglianza e tristezza nel nostro tempo si deve ad un ritmo di scoperte scientifiche che è ancora troppo lento in questo secolo rispetto ai precedenti». Ovvero, la sfida globale che conta di più è sull’accelerazione di scoperte capaci di cambiare radicalmente il nostro modo di vivere. Ma non è tutto perché il XX Congresso di un Pcc a tal punto rinnovato — forse anche nel numero di donne ai vertici, oggi assai poche — sarà chiamato a sostenere Xi nella realizzazione della sua dottrina, destinata ad essere inclusa nella Costituzione, che prevede la restaurazione del ruolocentrale del partito comunista nella società, l’affermazione del potere cinese sul palcoscenico internazionale, la modernizzazione delle forze armate (incluso l’arsenale nucleare), la repressione delle minoranze etnico-religiose (dai tibetani agli uiguri) e l’aumento del controllo dello Stato sulle aziende private. Sono linee di pensiero ed azione che descrivono la volontà di preservare e rafforzare l’autocrazia cinese come modello alternativo e rivale delle democrazie occidentali nel lungo termine: trasformando la repressione del dissenso a Hong Kong, la volontà di riappropriarsi dell’isola nazionalista di Taiwan, l’acquiescenza con l’arsenale atomico di Kim Jong-un e l’estensione delle rotte strategiche nell’Indo-Pacifico in un percorso destinato a ridimensionare il ruolo di leadership conquistato dagli Stati Uniti in questa regione dall’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale sulla scia della dissoluzione dell’Impero britannico. Ciò non toglie che, per Xi, diventare, a 69 anni di età, il vero successore di Mao implica anche affrontare le sfide che rischiano di indebolire in maniera critica la credibilità del Pcc rispetto ad oltre 1,2 miliardi di abitanti con cultura, reddito e aspirazioni assai differenti da quanto avveniva nel 1949. Le maggiori minacce interne per Xi sono infatti: il rallentamento della crescita economica, che per la prima volta dal 2000 non è più a doppia cifra; i fallimenti nella lotta al Covid-19, talmente evidenti da aver indebolito la fiducia popolare nelle autorità; l’aumento delle diseguaglianze economiche in un Paese dove, secondo il World Inequality Database il 10 per cento più ricco della popolazione guadagna in media 14 volte in più del 50 per cento più povero; l’aumento dell’inquinamento dell’ambiente a livelli tali, soprattutto nei grandi centri, da generare dissenso politico-sociale in particolare fra i giovani; l’invecchiamento della popolazione che porterà il 40 per cento degli abitanti ad avere una pensione nel 2050 con un peso finanziario complessivo che oggi Pechino avrebbe difficoltà a sostenere. È un’agenda di emergenze cinesi con molti punti di convergenza con quanto sta avvenendo nelle democrazie avanzate e ciò pone l’interrogativo se Xi maturerà la scelta di cooperare più di quanto è avvenuto finora nell’affrontare temi universali come il clima e le diseguaglianze. Da qui al legame con Vladimir Putin il passo è breve. Se Xi sceglierà di far crescere la Cina in una cornice di stabilità internazionale e rilancio della globalizzazione — anche per salvare la sua Belt and Road Initiative — il distacco dallo zar del Cremlino che minaccia devastanti attacchi nucleari può diventare inevitabile, trasformando Pechino nella protagonista di un nuovo accordo globale con l’Occidente su pace e sicurezza. Se invece in lui prevarrà il timore del contagio democratico e di una nuova Tienanmen, il rifugio nella pericolosa solidarietà fra autocrazie potrebbe prevalere, aprendo non solo per la Cina gli scenari più bui.
|