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La Repubblica Rassegna Stampa
14.09.2022 Nelle celle degli orrori
Cronaca di Daniele Raineri

Testata: La Repubblica
Data: 14 settembre 2022
Pagina: 14
Autore: Daniele Raineri
Titolo: «Nelle celle degli orrori dei territori liberati: 'Io torturato con i cavi'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 14/09/2022, a pag. 14, la cronaca di Daniele Raineri dal titolo "Nelle celle degli orrori dei territori liberati: 'Io torturato con i cavi' ".

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Daniele Raineri

Il contrattacco dell'Ucraina intorno a Kharkiv infligge la sconfitta alla  Russia - ultimenotizie.live

Artom, 32 anni, smilzo, capelli appiccicati sulla fronte, ha passato 45 giorni dentro alla stazione di polizia di Balakliya quando era occupata dai soldati russi. Gli occupanti cercavano uomini che in questi anni hanno combattuto nel Donbass, è una pratica standard da quando è cominciata l’invasione dell’Ucraina: ovunque prendono il controllo setacciano la popolazione per cercare i veterani dell’Est, considerati il tipo di ucraino più difficile da sottomettere. «Sono entrati in casa, hanno visto delle foto con mio fratello, lui ha combattuto nel Donbass, sul telefono hanno scoperto che ci parliamo, mi hanno portato alla stazione. Lì mi hanno torturato, mi hanno attaccato dei cavi elettrici alla testa e alle mani. Quando mi hanno lasciato libero mi hanno preso il passaporto e mi hanno detto di presentarmi alla stazione una volta alla settimana», dice aRepubblica . Balakliya è la città liberata una settimana fa all’inizio della controffensiva che ha travolto le forze russe nell’Est dell’Ucraina. La stazione di polizia è un edificio basso con una gabbia di inferriate robuste aggiunta davanti all’ingresso e dentro tre piccole celle che erano destinate a tenere per poche ore le persone arrestate. I russi l’hanno trasformata in un centro per occuparsi degli elementi che consideravano sospetti. All’interno ci sono quattro agenti della divisione della Procura di Kharkiv che indaga sui crimini di guerra, hanno giubbotti con la scritta in inglese “War Crimes Prosecutor”, spiegano che «in ogni cella i russi tenevano sette ucraini. I testimoni ci hanno raccontato di torture con metodi diversi: stupri, sigarette spente sulla pelle, elettrodi». È il repertorio della tortura a basso costo. Due agenti in guanti di lattice spennellano con la polvere una bottiglia di vodka lasciata su un davanzale per recuperare le impronte digitali. Conserveranno le impronte sconosciute anche se forse appartengono a un militare già scappato per sempre in Russia, non si sa mai, o a qualche collaborazionista locale. La Procura di Kharkiv tratta le città appena liberate dalla controffensiva come una gigantesca scena del crimine e un po’ sembra irrealizzabile, perché attorno c’è un panorama di rovine e case ridotte in macerie e si vedono anche buchi di cannonate e veicoli rovesciati, un po’ è il segno della tigna ucraina per rimettere le cose al loro posto e non dimenticare nulla di quello che è successo. Quanti morti avete contato? «Ancora nonlo sappiamo, è il nostro secondo giorno qui. Possiamo dire che ci sono state sparizioni, uccisioni e casi di stupro». Gli investigatori nelle aree liberate sono arrivati in massa per capire cosa è successo e non è come a Bucha o Irpin: i russi questa volta non hanno abbandonato i cadaveri per strada con le mani legate dietro alla schiena. Nelle celle e nei corridoi il pavimento è coperto da rifiuti e vetri rotti, le luci non funzionano, è tutto buttato all’aria. Alla parete di un ufficio ci sono schemi con molte figure colorate stampati dalla propagandarussa che spiegano il nazismo ucraino, carrellate di foto di gruppi neonazi, bandiere con svastiche, immagini dell’esercito di Kiev e materiale sulla divisione Galizia, che fu la divisione delle SS formata da volontari nell’Ucraina occupata dalla Wehrmacht. Un ufficiale di polizia ucraina li vede e li strappa dalla parete. Per un viottolo che scende verso i prati ad appena mezzo chilometro dalla stazione di polizia si arriva a un campo con due cadaveri appena disseppelliti, li hanno uccisi i soldati russi il 6 settembre, l’ultimo giorno prima di scappare via, erano in macchina a un posto di blocco. Gli abitanti li hanno sepolti nel prato perché portarli al cimitero era troppo pericoloso in quei giorni, in attesa di giorni migliori. Anche qui ci sono gli investigatori, contano i fori di proiettili nei corpi gonfi, li chiudono in due body bag nere. Arriva anche la madre di uno dei due, dentro un impermeabile: «Nessuno ha chiesto a Putin di venire in Ucraina, ma lui è venuto lo stesso. Io prego tutte le madri del mondo, che vedano quello che succede qui, ha ucciso i nostri figli, ha distrutto le nostre famiglie, vorrei che Dio lo punisse». Per le strade di Balakliya in questi giorni passano le macchine di comandanti e pezzi del governo, c’è da riprendere il controllo di un territorio enorme che fino a ieri non era nemmeno più connesso a internet. La vice ministra della Difesa, Hanna Malyar, dice a Repubblica che «gli aiuti militari dei nostri alleati sono stati indispensabili e straordinari, abbiamo una gratitudine immensa per quello che è stato fatto». Ma non teme che in Italia il nuovo governo cambi idea? «È una questione di politica italiana, non tocca a me parlarne ». E sempre a proposito delle armi donate dagli alleati, avete intenzione di chiedere all’Amministrazione Biden gli Atacms, la versione dei missili Himars che può arrivare a trecento chilometri? «Non citerò armi specifiche, ma questi sistemi d’arma fanno parte anche loro del possibile negoziato con i russi». È una rivelazione interessante. L’arrivo di armi più potenti è un fattore usato sul tavolo di un potenziale negoziato con Mosca.

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